IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

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GIOVANNI BOCCACCIO

 

L'AMETO

 

Favola idillico-allegorica nota anche sotto il titolo di Commedia delle ninfe forentine o Ninfale d'Ameto. Composta, con tutta probabilità, fra il 1341 e il 1342, l'opera è in prosa intercalata da brani lirici in terza rima, conformemente ai modelli medievali, quali la Vita Nova di Dante, le Nozze di Mercurio con la Filologia di Marziano Capella e il Lamento della natura di Alano da Lilla. Concetto informatore dell'allegoria, dallo "stil novo" in poi divenuto diffusissimo nella poesia italiana, è il riscatto dell'animo umano, per opera dell'amore, dalla ferinità e dall'ignoranza all'umanità e alla sapienza fino alla sua ultima sublimazione nella conoscenza e comprensione del mistero di Dio. Ma il concetto è, secondo il modello classico, proiettato in un fresco quadro rusticale con una franca contaminazione di temi e nomi pagani e di simboli cristiani. Ameto, giovane e rozzo pastore, dedito solo alla caccia, avendo un giorno scorto delle ninfe al bagno, si innamora di una di esse, Lia, alla quale osa infine rivelare il proprio amore. Nuovi e dolci sentimenti si fanno strada nel suo rozzo cuore, e a poco a poco egli muta tenore di vita. Nel giorno della festa di Venere, Ameto, con altri tre pastori, ascolta a turno dalla bocca di sette ninfe (le tre virtù teologali e le quattro virtù cardinali) la gioiosa storia dei loro amori: e si hanno sette novelle di spiriti gaiamente sensuali e galanti. È ripreso qui lo spunto novellistico del Filocolo, mentre si torna a preludere al Decameron. Finiti i racconti, una grande luce scende dal cielo, e si fa sentire la voce della dea Venere (simbolo di Dio) che esorta le ninfe a detergere le luci nubilose di Ameto sì che egli possa assurgere alla visione di Dio. Ameto è spogliato dei suoi rozzi panni, immerso, come già Dante nel Paradiso terrestre, in un sacro lavacro, e poi rivestito di nuove vesti. Il suo cuore arde di nuovo amore, il suo occhio è deterso di ogni nebbia (ignoranza), e solo allora il rozzo pastore sente di essere veramente "da animale bruto uomo divenuto". Pregio principale dell'Ameto è una freschezza esuberante e felice che fluttua nella cornice dell'idillio, e si distende nelle sette novelle d'amore, e nella dolcezza rusticale di certe cantate: felicità che redime in gran parte l'esuberanza pomposa degli elementi letterari, e fa passare in sottordine il vario gioco dei simboli, non tutti con precisione interpretabili, e nei quali sono trascritti anche diversi elementi autobiografici. Il Medioevo è nell'apparato simbolico; la sostanza più nuova e genuina è tutta nella lettera del testo, nella grazia scaltritamente rusticale, nei motivi festevolmente galanti, in quella natura ricomposta e stilizzata attraverso la memoria letteraria, ma pur così fresca e riposante. Nell'Ameto l'egloga dotta e rigidamente scolastica del Medioevo rifiorisce, al primo tepore primaverile del naturalismo del Rinascimento.

Daniele Mattalia

© 2009 - Luigi De Bellis