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 Autore Luigi De Bellis   
     

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GIOVANNI BOCCACCIO

FILIPPO ARGENTI


Sembra che derivasse il suo soprannome dall'aver fatto ferrare d'argento il proprio cavallo (Decamerone, IX, 8) e che cavalcasse per Firenze alteramente "con le gambe aperte a cavallo" (Sacchetti, novella 114). "Habebat summe odio populum florentinum" narra il Benvenuto: sembra anche che prediligesse questo passatempo: "Habebat unum equum quem vocabat equum populi Florentiae, quem promit tebat omnibus petentibus eum mutuo; de mane equus erat paratus tempestive et dabatur primo venienti; postea aliis supervenientibus dicebatur: Tarde, tu fuisti praeventus, et sic eludebat spes multorum, et de hoc habebat solacium et risum". Dante non conservava un buon ricordo di lui: "Una volta, avendo questione con Dante, diede uno schiaffo a Dante, perché erano di diverse e contrarie parti. E sempre fu inimicizia massima fra loro due" (Anon. laur. XLII, 14). Finché, l'offeso trovò modo di compiere nel poema la propria vendetta: solo che si tratta di una vendetta compiuta sul piano della fantasia, non su quello della pratica. Non quindi la foga di una scomposta oratoria, ma la complessità precisa, la furia serena della poesia. Dante si trova nella morta gora, il cerchio in cui vengono punite le colpe degli iracondi; e l'ira che permea quest'ambiente triviale è veramente il motivo dominante. Subito, sulla soglia della rappresentazione ("Inferno", c. VIII), egli scorcia con vigore la figura di Filippo Argenti: ecco che gli si fa dinanzi "un pien di fango". "Un" l'indeterminativo ha una apparenza oscura e anonima, quasi che il poeta voglia coprire di disprezzo il personaggio. Poi lo scoppio, il duello veemente: Filippo Argenti aggredisce ("Chi se'tu, che vieni anzi ora?"): Dante afferra l'ingiuria, la rintuzza ("S'i vegno, non rimango") e rimanda l'interrogazione ("Ma tu chi se'") rincarandone l'ingiuria ("che se' si fatto brutto?"): Filippo Argenti risponde breve, ma con un accento iroso ("Vedi") e dolente ("che son un che piango"); Dante riprende il motivo triste dell'avversario, glielo prolunga con veloce ferocia in un sinonimo ("Con piangere e con lutto") rincalzandolo con un'imprecazione ("spirito maledetto"), e suggella il battibecco ribadendo in una più larga battuta ("Ch'io ti conosco, ancor sie lordo tutto") l'avvilente leit-motiv della scena ("Un pien di fango [...] che si se'fatto brutto"); finalmente l'iroso, non bastandogli più le parole (allora), passa ai fatti ("stese al legno ambo le mani"). Nella vendetta di Dante c'è della malizia; e una voluttà che dal desiderio beffardo ("Molto sarei vago - Di vederlo attuffare in questa broda") sale all'anticipazione fantastica del piacere ("Di tal disio converrà che tu goda") e infine ha un respiro di trionfo ("Che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio"). Il duello si chiude con il rilievo potente di una folla di dannati: "Tutti gridavano: "A Filippo Argenti!"": grido che per la furia tagliente della collera che esprime e, nel contempo, per quel suo scoppio come di giuoco e di beffa, corona clamorosamente la superiore rappresaglia di un'intelligenza poetica. Nella scena, gli irosi aggressori fanno da sfondo alla figura centrale di Filippo Argenti che Dante abbandona dopo averlo scolpito in un atteggiamento di rabbia impotente; e nella fantasia del lettore rimane quell'immagine muta e convulsa.
 

Pio Bandelli

© 2009 - Luigi De Bellis