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GIOVANNI BOCCACCIO
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GENEALOGIE DEGLI DEI GENTILI
Trattato latino di mitologia, in
quindici libri. La prima
redazione fu scritta tra il 1347
e il 1360, per invito di Ugo IV
da Lusignano, re di Cipro e di
Gerusalemme, e riveduta e
ampliata dall'autore dopo la
morte di Ugo, avvenuta nel 1359.
È un vasto repertorio nel quale
il Boccaccio si propose di
illustrare con filologico rigore
le notizie concernenti la
paternità e le discendenze degli
dei greci e romani e di fissare
esattamente il contenuto dei
moltissimi miti classici. Egli
non si accontenta delle notizie
correnti ma vuol procedere con
metodo filologico per arrivare,
sia pur coi criteri del tempo, a
un'interpretazione critica del
mito: risale ai testi classici,
compulsa e confronta i repertori
medievali, appoggia la sua
versione citando testi e fonti.
Per l'interpretazione del mito
il Boccaccio si rifà alla
dottrina corrente nel Medioevo
ch'è, in sostanza,
l'applicazione alle opere
classiche dei canoni
dell'esegesi biblica. Il mito è
una poetica favola dietro il cui
velo si nasconde una verità
concettuale o morale o
religiosa. Nell'applicazione
della teoria dei tre sensi: il
letterale o storico l'allegorico
o morale, l'anagogico o
cristiano, appare l'eclettismo
del Boccaccio: del mito egli non
cerca di spremere con rigore
sistematico tutti e tre i sensi,
ma solo quello che meglio si
presta a spiegarne la materia e
l'origine. Così di molti miti
egli sostiene l'interpretazione
che si suol chiamare
evemeristica, secondo la quale
gli dei e gli eroi mitologici
non erano che uomini le cui
gesta vennero scientemente o
inconsciamente deformate e
ingrandite. Per altri miti il
Boccaccio preferisce ricorrere a
una spiegazione naturalistica:
l'Aurora, per esempio, fu
chiamata figlia di Titano (Sole)
in quanto essa è la luce
dell'alba che procede dalla luce
del sole, e figlia della Terra,
in quanto a coloro che la
guardano può sembrare che essa
esca dalla terra. Allegorica
invece è la interpretazione di
altri miti: così la favola di
Adone trasformato in fiore
sarebbe stata inventata per
dimostrare la caducità della
bellezza. Dal contatto con la
materia, tutta pagana, e dalle
insinuazioni di qualche
malevolo, il Boccaccio fu tratto
a riproporsi il problema
generale della poesia, della
quale il libro XIV, scritto,
pare, dopo il 1366, è una vivace
e appassionata difesa. Egli
difende i poeti dall'accusa di
essere semplici facitori di
favole senza senso: la favola è
velame e insieme simbolo di una
verità profonda. Concetto ancor
medievale; senonché di questa
difesa è interessante il tono e
quel conglobare insieme Dante e
Petrarca e i poeti pagani. Le
Genalogie vanno giudicate
soprattutto dallo spirito che le
anima e dalle intenzioni
dell'autore: esse sono non solo
un'opera di erudizione
eccezionale, nel metodo e negli
intenti, per il secolo XIV, ma
anche una delle prime
manifestazioni di quello spirito
filologico ch'è tra le grandi
conquiste dell'umanesimo.
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Daniele Mattalia |
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