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GIOVANNI BOCCACCIO

GHINO DI TACCO


Gentiluomo del contado senese fattosi rubatore di strada: menzionato da Dante, è protagonista di una novella del Decamerone, la seconda di quella decima giornata in cui si narra di atti di singolare magnificenza. E brigante singolare riesce il personaggio del Boccaccio, che fa prendere prigioniero il ricco abate di Clignì (Cluny) con tutto il suo seguito e, avendo saputo, che si recava ai bagni di Siena per guarire del male di stomaco, lo costringe per più giorni a un regime alimentare più che modesto: poi, dopo averlo in tal modo guarito meglio che non avrebbero fatto le acque minerali, lo lascia libero con tutti i suoi, rimettendo alla sua discrezione l'offerta di una parte della sua roba. Beffa signorile, di cui l'abate intende la finezza e che lo converte in un caldo ammiratore del brigante: perciò tornato dal papa Bonifacio VIII chiede e ottiene il perdono per Ghino, a cui il papa assegna anche una onorifica carica. Degni gli uni degli altri appaiono al narratore i due antagonisti e il papa, che bene intende il valore di Ghino "si come colui che di grande animo fu e vago de'valenti uomini"; si sente nelle sue pagine non già la simpatia che sarà dei romantici per la figura del brigante ribelle alla legge, bensì la simpatia dell'uomo del Rinascimento per la "virtù" dovunque essa si dimostri, virtù, fatta di intelligenza e di finezza spirituale, che congiunge uomini di disparata condizione sociale e li trasporta in una medesima sfera. Di qui, a parte il valore artistico della rappresentazione che è grande, il significato storico della figura boccaccesca di Ghino di Tacco, brigante gran signore.
 

Mario Fubini

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