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GIOVANNI BOCCACCIO
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LA VITA E LA PERSONALITA'
Nato nel
1313 a Certaldo, nei pressi di
Firenze, da una relazione del
padre, Poccaccio di Chellino,
con una donna rimasta ignota, a
soli dodici anni fu inviato a
Napoli per esercitarsi nella
marcatura, arte del padre, e
dedicarsi agli studi del diritto
canonico. In entrambe le
attività non diede buona prova
perché attratto dagli studi
letterari e forse proprio per
questo fu ammesso a frequentare
la corte del re Roberto d'Angiò,
ove visse alcuni anni di
spensieratezza, dedito alla
composizione delle sue prime
opere ed a vari amori, fra cui
quello per Maria d'Aquino,
figlia naturale del re, che egli
chiamò Fiammetta. Dopo il
fallimento commerciale del
padre, tornò a Firenze, ove
continuò gli studi e l'attività
letteraria, dovendo però anche
accettare numerosi incarichi
pubblici fertili per il proprio
sostentamento. Fra gli altri,
ebbe quello di recarsi a Padova,
nel 1351, per comunicare al
Petrarca che il governo di
Firenze aveva revocato la
confisca dei beni paterni e gli
offriva una cattedra presso lo
studio cittadino. Del Petrarca
divenne amico e con questo
convisse per tre mesi a Venezia,
nel 1363, afflitto da una crisi
di coscienza seguita ad una
visita fattagli l'anno prima dal
monaco Gioacchino Ciani, il
quale gli annunciava prossima la
morte e la dannazione eterna se
non avesse distrutto tutte le
sue opere di argomento profano:
fu proprio il Petrarca a
distogliere l'amico da una tale
soluzione, facendogli capire il
grande valore artistico di
quelle opere e come la vera
arte, in qualunque forma
espressa, non possa
assolutamente offendere Dio.
Dopo altre missioni condotte per
conto della Signoria di Firenze,
fu da questa incaricato di
commentare la "Divina Commedia"
nella chiesa di S. Stefano di
Badia, ma dovette fermarsi al
XVII canto dell' "Inferno" per
motivi di salute. Ritiratosi a
Certaldo, qui morì nel 1375.
Spirito indipendente, non si
schierò in politica con alcun
partito; gioviale, ma riservato,
fu attento osservatore dei
costumi del suo tempo e, in
particolare, della sua città,
quella Firenze in cui si andava
sempre più affermando il ceto
medio, intraprendente nelle
iniziative commerciali e già
ricco di mezzi economici, che
iniziava ad elaborare una
propria cultura laica. Di questo
fermento di pensiero e di azione
egli fu grande ammiratore e in
tutte le sue opere non fece
altro che "narrare", con
interesse disincantato e
cordiale, la vita "reale" del
suo tempo.
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