|
IL CINQUECENTO
|
|
|
|
TASSO: MADRIGALI AMOROSI
Il primo madrigale è una
lievissima rappresentazione di
elementi naturali colti in
rapida, fugace successione. E
qui si concentra la capacità
emozionale del poeta, più che
sugli ultimi versi che segnano
la comparsa in scena della donna
(Laura Peperara, evocata
mediante il senhal petrarchesco
de «l'aura», e implicata in un
gioco di rime interne e di
rispondenze foniche: «Aurora,
aura, aura, ristaura», oltre che
concettuale: l'Aurora è
annunciata dall'aura mattutina e
a sua volta annuncia Laura...).
Il poeta trascorre rapido sugli
elementi naturali che
rappresenta, senza soffermarsi
su alcuno; ma tutti si fondono
in quadro unitario e coerente.
Funzionali a questo esito
complessivo appaiono la
struttura sintattica (un
periodo, diviso in due membri
introdotti da «ecco» e
costituiti ciascuno da una serie
di frasi coordinate, con uso
dell'infinito che produce rime
interne - mormorar, tremolar,
cantar, rider - nel primo membro
e con uso dell'indicativo nel
secondo), la struttura metrica a
rima baciate (con rime a eco ai
vv. 1-2 e 13-14), la presenza di
chiasmi (ad es. «tremolar /
fronde/a l'aura / sovra i rami /
augelli / cantar», «alba /
appare / specchia / rasserena /
imperla / gelo» ma anche
«rasserena il cielo / e le
campagne imperla»), di
parallelismi e di rime interne.
Il secondo madrigale, Amatemi,
ben mio, assai più modesto
poeticamente, si risolve invece
in un diffuso gioco concettuale
e verbale, fondato com'è per
tutta la sua lunghezza sulla
figura della paronomasia (o
bisticcio), applicata al motivo
dell'amore e dell'amare (e
derivati), a sua volta legato in
antitesi a quello del morire.
Questo madrigale può ben
rappresentare uno degli esiti
estremi raggiunti dal Tasso in
direzione della artificiosità
espressiva: e come tale lo
abbiamo proposto.
Il terzo madrigale, Non sono in
queste rive, è stato definito
dal Di Benedetto un «piccolo
cosmo di sensazioni - visive,
uditive, termiche, olfattive -
soffuso di dolce erotismo e
tradotto in agile musica». E
possiamo aggiungere che il
sensualismo, in tutte le sue
accezioni, che diffusamente
percorre questa sezione della
lirica tassiana, accanto al vivo
e intenso musicalismo,
costituisce uno degli apporti
alla lirica cinquecentesca che
sarà più apprezzato e imitato
dai poeti barocchi.
Atmosfera paesaggistica e
sentimentale assai diversa è
espressa dal quarto madrigale,
Qual rugiada o qual pianto,
delicato notturno soffuso d'una
struggente malinconia per la
partenza dell'amata. Ma se
l'atmosfera è diversa, la
musicalità e la capacità di
legare natura e sentimenti in un
unicum che arricchisce di
sfumature emozionali entrambe le
componimenti è la medesima dei
componimenti precedenti (il I e
il III) e forse anche maggiore.
Si notino le predicazioni
antropomorfiche a proposito di
elementi naturali («lagrime»,
«volto», « dolendo» ), la
ripetizione delle interrogative
che non poco contribuisce a
determinare la linea melodica
del testo e infine l'insieme dei
procedimenti (assonanze, rime
interne, allitterazioni, ecc.)
che, con la metrica,
.costituiscono la trama di
rispondenze sonore e musicali di
base del testo.
Il quinto madrigale è una
giocosa fantasia che mescola
erotismo e crudeltà, amore e
morte in suggestiva
condensazione metaforica. Il
poeta vorrebbe tramutarsi in ape
e, giocando sull'equivalenza
tradizionale donna / fiore,
vorrebbe suggere il «mele»
dall'amata. Ma ecco che la
fantasia si complica: dal
suggere il polline si passa al
trafiggere, al pungere, ché la
donna è amata sì ma «crudele» e
il poeta vuol quindi al tempo
stesso appagare il suo desiderio
(suggere) e vendicarsi della sua
indifferenza (pungere). Pungere
il cuore evoca poi le
tradizionali immagini di Cupido
che fa innamorare trafiggendo il
cuore deglì uomini coi suoi
strali: il poeta-ape non può
trafiggere il cuore dell'amata,
facendola innamorare; si
accontenta allora di trafiggerle
il seno («dolce ferita»). Con
questo atto compie la vendetta,
appaga il desiderio, e può
morire felice (giacché l'ape
quando punge muore). Può esser
utile a proposito di questo
madrigale citare alcuni versi
dell'Aminta (IV, 1, vv. 1615-19)
che svolgono un motivo analogo.
I versi si riferiscono ad
Aminta, creduto morto, proprio
nel momento in cui Silvia mostra
pietà per la sua sorte e inclina
all'amore:
|
Tu in guisa d'ape che
ferendo muore
e ne le piaghe altrui
lascia la vita,
con la tua morte hai pur
trafitto al fine
quel duro cor che non
potesti mai
punger vivendo. |
|
|
|
|
Mario
Fubini | |
|
|
|
| |