IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

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IL CINQUECENTO

TASSO: APOLOGIA

 

Operetta dottrinale scritta da Torquato Tasso nel 1585 in difesa del Goffredo, primo titolo della Gerusalemme Liberata, e dell'Amadigi del padre Bernardo (1493-1569) contro le censure degli Accademici fiorentini della Crusca sostenitori dell'Ariosto e in ispecie contro Lionardo Salviati (1540-1589), che col pseudonimo di Infarinato aveva scritto una Difesa dell'Orlando Furioso degli Accademici della Crusca, Stacciata prima (1585). Il tono del Tasso è pacatamente polemico, sereno il giudizio, raro l'equilibrio, anche dinanzi ad amici suoi, quale Camillo Pellegrino (1527-1603) che imprudentemente esaltando il Tasso contro l'Ariosto nel dialogo il Carraja o vero dell'Epica Poesia aveva dato esca alla grossa polemica. Con un richiamo al dialogo del Pellegrino, il Tasso inizia la trattazione dichiarando, come spesso poi, di riconoscere la superiorità dell'Ariosto e di non aver mai avuto intenzione di entrare in gara con lui. Nobile e commovente la difesa dell'Amadigi, quanto all'originalità inventiva, alla convenienza del linguaggio, alla bellezza della poesia. Passa poi alla difesa della Gerusalemme. Il dialogo, più apparente che reale, si svolge tra il "forestiero" (Tasso) e il "segretario". Quest'ultimo legge le censure principali degli accademici, cui il forestiero replica con argomenti decisivi. La materia verte sulla legittimità della poesia della storia; sul rapporto tra il vero e il verosimile, l'unità d'azione, l'allegoria, con sottilità dialettica e verità spesso d'intuizioni, ma che qui perdono d'interesse anche perché già trattate nei Discorsi del poema eroico. L'argomento principe resta quello della lingua, vero tallone d'Achille della Gerusalemme secondo gli Accademici fiorentini. Ben fa il Tasso della lingua una cosa sola con lo stile, e pure nei limiti delle dottrine retoriche del tempo egli mostra una sicura coscienza dei diritti dell'ispirazione rispetto alla creazione del linguaggio poetico. Son passate così in disamina le serie dei vocaboli, delle locuzioni chiamate in causa come sconvenienti o pedantesche o perché lombarde o fuori uso; vi contrappone il Tasso, con grande dottrina e conoscenza dei nostri classici, la legittimità del loro uso, e alla lingua dell'uso toscano oppone la lingua poetica nobile, letteraria e che a quell'uso non contrasta, ricavando gli esempi o le dimostrazioni dal Bembo, dal Della Casa, da Dante, ma soprattutto dal Petrarca, come per tanti altri, tenuto dal Tasso a maestro anche per la lingua.

 

Carlo Curti

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