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IL CINQUECENTO
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TASSO: DIALOGHI
Sono ventisei e, se si
considerano opere distinte le
diverse redazioni che di più
d'uno Torquato Tasso ci ha
lasciato, dando a qualcuna anche
un diverso titolo, trentuno:
pochi (quattro forse) sono
anteriori alla reclusione del
poeta, la maggior parte
(ventidue) furon composti
nell'ospedale di Sant'Anna, gli
altri dopo la liberazione negli
anni dell'"inonorato e torbido
tramonto", l'ultimo, il Porzio,
è del 1594; furono raccolti a
cura di Cesare Guasti nei
Dialoghi (Firenze 1858-59). Non
nuova la forma dialogica
nell'età sua, che anzi la
considerò come la più
appropriata per la trattazione
di qualsiasi materia: proprio
del Tasso invece il proposito di
rifarsi più direttamente e
palesemente ai dialoghi
platonici, da lui celebrati come
modelli del genere nel Discorso
sull'arte del dialogo. Da quella
del Fedro deriva, per esempio,
la trama del dialogo Il Nifo o
vero del Piacere, mutata la riva
dell'Ilisso nei giardini di un
gentiluomo napoletano, e
l'orazione di Lisia, che offre
lo spunto alla discussione di
Socrate e di Fedro, nei due
discorsi del Martelli e di
Bernardo Tasso, intorno ai quali
discutono i due interlocutori; e
del Fedro ancora è la questione
se la persona amata debba essere
più cortese verso chi l'ama o
verso chi non l'ama, che il
Tasso ha fatto argomento di un
dialogo Il Cavaliere amante e la
gentildonna amata, trasportando
la discussione in un ambiente di
corte e dandole come pretesto il
rifiuto di una dama a una
richiesta di ballo. Anche i
titoli, doppi di solito perché
son tolti dal nome di un
interlocutore e dal soggetto,
vogliono ricordare quelli
platonici (La Molza o vero
dell'Amore il Minturno o vero
della Bellezza, Il Manso o vero
dell'Amicizia, ecc.); e come
Socrate in qualche dialogo di
Platone compare col nome di
Forestiero Ateniese, così il
Tasso si presenta in molti dei
suoi col nome di Forestiero
Napoletano. Ma l'imitazione non
si esaurisce in questi elementi
esteriori; ché il Tasso vorrebbe
far proprio il metodo socratico
e farci assistere al
discoprimento del vero mercé una
serie di interrogazioni che il
suo saggio vien ponendo agli
ignari e mercé considerazioni in
apparenza ovvie, ma capaci di
profondi sviluppi. Senonché il
suo procedimento si dimostra
null'altro che un artificio
letterario e l'apparato
socratico-platonico, introdotto
unicamente per spirito di
imitazione, lungi dal rendere il
moto del pensiero dell'autore,
ne svela l'intima staticità,
l'incapacità del Tasso, il quale
pur vorrebbe opporre tesi a tesi
incarnandole in diversi
personaggi, a svolgere
dialetticamente l'argomento che
si è proposto di trattare. Non
già che alla mente del poeta
della Gerusalemme fossero
estranei interessi filosofici:
nella giovinezza aveva
conosciuto anche l'ardore della
speculazione e si era proposto
dei quesiti, che dovevano più
tardi suscitare in lui lo
sgomento di essere incorso in
peccato di eresia, ma quella
esperienza si era risolta in
poesia, in quell'aura di
pensosità che avvolge i
personaggi della Liberata, e di
essa soltanto erano rimasti in
lui l'abito del raziocinio, che
troppe volte degenerava nel
gusto della sottigliezza e del
sofisma, e un'erudizione vasta e
varia, che venne ad aggiungersi
all'amplissima erudizione
letteraria e che egli si
compiaceva di accrescere. I
Dialoghi vogliono appunto
raccogliere quella varia
erudizione: ce lo mostra meglio
di ogni altro Il Malpiglio
secondo o vero del fuggire la
moltitudine, nel quale l'autore,
per dimostrare come anche dopo
essere rifuggiti nel porto della
filosofia non sia dato di
ritrovare la pace per la
moltitudine di opinioni
contrastanti, espone una
interminabile serie di dottrine
fisiche e metafisiche, non già
con lo scopo di giungere a una
conclusione scettica o mistica
(il misticismo delle ultime
battute è cosa d'obbligo e
estranea al resto del dialogo),
ma unicamente di dar prova di
virtuosità letteraria e di
dilettarsi con le immaginazioni
che quelle dottrine possono
suscitare. E una serie di strane
o mirabili immagini, desunte
dalle più varie fonti, ci offre
il dialogo Il Messaggiero, che
espone la dottrina neoplatonica
di esseri intermediari fra Dio e
l'uomo: non si può affermare con
esattezza se quanto egli dice
fosse per lo scrittore finzione
poetica o realtà da lui creduta,
ma certo è assente anche qui un
qualsiasi assunto di ricerca
filosofica. Valore schiettamente
speculativo hanno nei suoi
dialoghi soltanto l'affermazione
che si legge nel Porzio
dell'intrinseca dignità della
scienza ("le scienze devono
adoperarsi in grazia di se
medesime, né altra grazia o
altro giovamento, o altro
piacere, o altra gloria è
necessario che si ricerchi"), o
l'elogio alla tolleranza, che è
nel Gonzaga o vero del Piacere
onesto e, attenuato, nella
seconda redazione intitolata Il
Nifo o vero del Piacere, per
l'eresia filosofica, distinta
dall'eresia scritturale: e
fortemente ragionata e nutrita
di sensi di realismo politico e
di umanità è in questi due
ultimi dialoghi la discussione,
in cui sono quella distinzione e
quell'elogio, sull'inopportunità
di stabilire a Napoli
l'Inquisizione spagnola. Ma in
genere manca nei Dialoghi un
interesse speculativo attuale:
il Tasso che nel ricordato
Discorso definisce il dialogo
"imitazione di ragionamento", è
nei suoi dialoghi attento più
che al "ragionamento"
all'"imitazione", e ci appare
non tanto, com'egli voleva,
"quasi mezzo tra il poeta e il
dialettico", quanto assai più
vicino al poeta che al
dialettico, nei momenti
migliori, e all'erudito e al
sofista in quelli peggiori.
Materia più appropriata per il
suo ragionamento ci appare la
poesia, a cui è più d'un accenno
in tutti i dialoghi e a cui è
dedicato La Cavaletta o vero
della Poesia toscana,
discussione tecnica sulla
canzone e sul sonetto, e con la
poesia, di cui però meglio che
nei Dialoghi poté discorrere nei
Discorsi del poema eroico, la
prudenza mondana, di cui si
rivela fine conoscitore in
dialoghi come Il Malpiglio o
vero della Corte, una appendice,
si direbbe, al Cortegiano del
Castiglione, o nella seconda
parte del Messaggiero, che
tratta delle qualità richieste a
un ambasciatore. Ma i Dialoghi -
e in questo è il loro valore
precipuo - hanno offerto al
poeta la possibilità di
trasferire sul piano della
letteratura e della poesia,
superando i pericoli di una
immediata confessione, il suo
gusto della vita cortigiana e
più la sua dolente e tragica
esperienza: una scena mirabile
di alta commedia è il dialogo
già ricordato Il Cavaliere
amante e la Gentildonna amata, e
una compiuta rappresentazione
dell'amore melanconico e chiuso
di un cortigiano ci è offerta
dal dialogo, tutto intessuto di
citazioni petrarchesche, I Bagni
o vero della Pietà (s'intenda
della "pietà" amorosa, che
l'amata deve all'amante); e il
Tasso degli anni della follia o
dei tristi vagabondaggi ci è
presentato da più di una pagina
con accenti indimenticabili, sia
che durante una momentanea
liberazione si animi dissertando
della passione d'amore dinanzi a
gentildonne (La Molza o vero
dell'Amore), sia che discorra di
maschere e mascherate con chi è
venuto a invitarlo a uscire per
poco dalla sua clausura per
mescolarsi mascherato alla folla
carnevalesca ed evochi Ferrara
come la prima volta gli apparve
in un Carnevale lontano ("Mi
parve che tutta la città fosse
una maravigliosa e non più
veduta scena dipinta e luminosa
e piena di mille forme e di
mille apparenze..."). Tanto più
preziosi erano per lui questi
dialoghi, che gli consentivano,
nello studio di una
rappresentazione oggettiva e
nello stesso proposito di
rinnovare motivi e modi
platonici, di liberarsi
dall'ossessione della follia,
quanto più necessaria e vitale
era per lui una simile
liberazione. E fra tutti meglio,
per consenso unanime, gli riuscì
il dialogo Il padre di famiglia,
composto nel primo e più tragico
anno della reclusione in Sant'Anna,
nel quale gli fu dato di
rievocare, pacatamente e
nostalgicamente, un episodio
della sua non lontana fuga da
Ferrara, l'ospitalità ricevuta
da un gentiluomo nella sua casa
di campagna presso Vercelli: un
idillio grave e severo, su cui
l'autore a lungo si sofferma
prima di giungere a quello che
dovrebbe essere il soggetto del
dialogo, l'esposizione di norme
per il buon governo della
famiglia, e che costituisce in
realtà la ragion d'essere
dell'opera.
Quando il Tasso specula, senti
ch'è fuori della vita e sta in
questioni astratte o formali. Ci
è un libro che volontariamente
ha chiuso, ed è il libro della
libera investigazione. (De
Sanctis).
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Mario
Fubini | |
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