|
IL CINQUECENTO
|
|
|
|
TASSO: LA GERUSALEMME LIBERATA
Poema epico in venti canti
dedicato al duca Alfonso II d'Este:
concepito nell'adolescenza dal
poeta, che a sedici anni stese
un centinaio di stanze di un
poema Del Gerusalemme, elaborato
nella giovinezza, dopo che egli
ebbe fermato i criteri direttivi
nei tre Discorsi sull'arte
poetica (rifatti poi nei sei
Discorsi del poema eroico), fu
composto in gran parte negli
anni 1570-'75 alla Corte di
Ferrara, ma pubblicato contro la
volontà dell'autore, chiuso
nell'ospedale di Sant'Anna,
soltanto nel 1580, col titolo Il
Goffredo, incompiuto, e in più
autentica lezione e col titolo
rimasto definitivo (che non è
del Tasso, ma dell'editore), nel
1581. Soggetto ne è la prima
Crociata e la conquista di
Gerusalemme: l'azione si inizia
con la nomina di Goffredo di
Buglione a capo dei Crociati,
che già da sei anni sono in
Oriente ma ancora non hanno
tentato l'espugnazione della
santa città. Invano il re
d'Egitto cerca di dissuaderlo
con lusinghe e minacce
dall'impresa: il campo è stato
posto di fronte a Gerusalemme e
avvengono i primi scontri
davanti alle mura, nei quali
dànno mostra del loro valore,
tra i Crociati, Rinaldo, il
maggiore eroe cristiano,
progenitore della Casa estense,
Tancredi e Dudone (che muore in
combattimento), e, tra i
difensori, Argante e Clorinda.
Ma il compimento dell'impresa,
iniziata con tanto entusiasmo e
perseguita da Goffredo con
inflessibile volontà, è messo in
forse, più che dalle difese
apprestate dal re di
Gerusalemme, Aladino dai suoi
guerrieri, e dal mago Ismeno,
dalle passioni dei Crociati, che
li turbano e li sviano. Già
Tancredi, uno dei più nobili e
prodi cavalieri, ama di un
tormentoso e non corrisposto
amore la guerriera saracena
Clorinda; Rinaldo, venuto a
contesa con Gernando, suo
calunniatore, lo uccide e, per
non sottostare al giudizio di
Goffredo, abbandona il campo;
Armida, giovane e bellissima
maga, inviata (per ispirazione
del Demonio) dallo zio Idraote,
re di Damasco, a Goffredo col
mentito pretesto di averne aiuto
e protezione, seduce con le sue
arti un gran numero dei
guerrieri più valorosi, che la
seguono facendosi suoi campioni
e poi sono da lei imprigionati
in un castello sul Mar Morto.
Anche Tancredi, che ha sostenuto
l'onore delle armi cristiane in
un memorabile duello con
Argante, cade, non per propria
volontà ma per una strana
vicenda di casi, nella sua
prigionia. Perciò solo il
vecchio Raimondo di Tolosa può
presentarsi a combattere contro
Argante, tornato a riprendere il
duello interrotto, e, divenuta
generale la mischia, i Crociati
a stento resistono ai Saraceni,
a cui si sono unite le potenze
infernali. Giunge intanto
notizia che Sveno col suo
esercito, in marcia per unirsi
ai Crociati, è stato sopraffatto
da Solimano, già re di Nicea e
ora capo dei predoni arabi, e il
falso annunzio della morte di
Rinaldo spinge alla ribellione
una parte dei guerrieri. Sedata
la sommossa, Goffredo deve
affrontare le forze di Solimano,
che di notte hanno assalito il
campo: ne segue una grande
battaglia nella quale combattono
contro i Cristiani anche le
forze demoniache, fino a che
sono ricacciate nell'Inferno
dall'arcangelo Michele.
Ricompaiono liberati da Rinaldo
i prigionieri di Armida: e
Goffredo, incoraggiato per la
vittoria, ordina l'assalto della
città, che la notte sopraggiunta
fa sospendere. Ma nell'oscurità
Clorinda e Argante incendiano le
macchine di guerra dei
Cristiani: Clorinda è sorpresa e
uccisa da Tancredi, che troppo
tardi la riconoscerà ma in tempo
per darle il battesimo da lei
chiesto. L'assalto non può
essere ripreso senza nuove
macchine: ma Ismeno ha incantato
la selva da cui si può trarre la
legna necessaria, e invano i
guerrieri più valorosi, e
Tancredi stesso, cercano di
vincere quegli incanti, che si
presentano a ciascuno di loro in
diversa maniera paurosi.
Soltanto Rinaldo potrà vincerli:
ispirato da una visione,
Goffredo invia due cavalieri a
richiamare il campione, che,
come vien loro rivelato da un
mago cristiano, è stato rapito
da Armida invaghitasi di lui e
con lei vive in una delle isole
Fortunate, in un luogo di
delizie, creato per incanto
dalla maga innamorata. Rinaldo
al loro arrivo si ravvede del
suo errore: né gli incanti né le
preghiere disperate di Armida
possono trattenerlo. Tornato al
campo e confessate le proprie
colpe a Pietro l'Eremita, dopo
una preghiera sul monte Oliveto
penetra nella selva, e,
resistendo alle seduzioni con le
quali le potenze demoniache
tentano di vincerlo, ha ragione
degli incanti. Nulla ora più si
oppone all'assalto della città:
Gerusalemme è presa, Argante è
ucciso da Tancredi (e Tancredi
ferito è soccorso e curato da
Erminia, la soave fanciulla
saracena, che lo ama in segreto
e che già altra volta ha
tentato, inutilmente, di
giungere a lui per curarne le
ferite). A soccorrere i resti
delle forze saracene racchiuse
nella torre di Davide giunge il
grande esercito egiziano:
l'ultima grande battaglia, nella
quale trovano la morte Aladino,
Solimano e i principali
guerrieri egiziani, conclude con
epica grandiosità l'azione del
poema. Con la Gerusalemme il
Tasso si propose di fondere in
un poema epico, simile nelle
grandi linee ai classici modelli
di Omero e di Virgilio, un
soggetto storico, e più
particolarmente della storia
religiosa, con elementi tratti
dalla tradizione della poesia
romanzesca (e della poesia
romanzesca egli serbò il metro,
l'ottava), variando i dati
offertigli dalla storia (che
attinse dai cronisti della prima
Crociata, specie da Guglielmo di
Tiro), con le meraviglie delle
potenze sovrannaturali e degli
incanti, e inserendo nella
severa epopea episodi di amore;
dubitò però di essere riuscito
nel proprio intento fin da
quando nelle tormentose
discussioni coi revisori, che
egli si era scelto per averne un
giudizio prima della
pubblicazione del poema, si
sentì opporre gravi obiezioni di
carattere religioso e letterario
(troppi amori e troppe magie,
mancanza d'unità), e, se difese
con un'Apologia l'opera propria
dalle aspre censure degli
accademici della Crusca, le
censure antiche e le nuove, i
propri dubbi e gli scrupoli di
un animo abbattuto dalla
sventura lo indussero a rifare
radicalmente il poema. Frutto di
questo lavoro fu la Gerusalemme
conquistata pubblicata nel 1593:
ma né il nuovo poema, né le
critiche dei molti censori
valsero a diminuire il successo
della Liberata, che conquistò
immediatamente il pubblico e
divenne ben presto, e non in
Italia soltanto, popolare come
poche altre opere di poesia. Una
fortuna così pronta e così vasta
prova come l'autore fosse venuto
incontro al suo pubblico,
offrendogli, quando la
letteratura cavalleresca dava
ormai palesi segni di
esaurimento, un poema nel quale
erano ripresi in una trama nuova
e inedita motivi e situazioni di
quella letteratura e che, con la
caratteristica mistione di sacro
e di profano, sembrava
conciliare esigenze parimenti
vive nell'animo dei lettori.
Conforme anche al gusto dell'età
era la sostenutezza di tono che
mai non vien meno nella
Gerusalemme (così diversa per
questo dall'Orlando furioso, dal
tono amabilmente e variamente
discorsivo) e che si innalza
spesso alla magniloquenza
(quanti discorsi nel poema,
sapientemente costruiti e svolti
secondo tutte le regole
dell'arte!); conforme a quel
gusto, la sottigliezza retorica
di cui il poeta ama far mostra
nei frequenti, ben studiati
contrapposti e nelle metafore
ingegnose, che fan già pensare
al Seicento. Ragioni, tutte
queste, che sono estranee alla
poesia o che spiegano appunto
quel che nel poema del Tasso vi
è di caduco: fin d'allora però
si impose, per il suo intrinseco
valore, la poesia possente e
nuova dell'opera, di cui le
stesse accanite controversie
furono, quale che fosse la tesi
sostenuta dai contendenti, un
riconoscimento. Quella poesia
sgorga dalla passionalità del
poeta, il quale non contempla,
come l'Ariosto, con serenità un
mondo vario e diverso, bello
nella sua diversità, ma vive coi
suoi personaggi, i quali non lo
interessano per quanto fanno, ma
per quanto soffrono: di qui la
scarsa importanza dell'intreccio
dei casi e delle vicende (un
riassunto del poema finisce
sempre per dare poco o nessun
rilievo a più d'una pagina
essenziale della poesia tassesca);
di qui il non grande numero dei
personaggi e quello ancora più
ristretto dei personaggi
veramente poetici; di qui infine
l'apparente povertà
d'invenzione, per la quale quei
personaggi sembrano (come diceva
Galileo) prometter molto per non
dare nulla. Ma quale ricchezza
nella rappresentazione del
dolore degli uomini, dell'"aspra
tragedia dello stato umano"! Per
questo senso delle umane
sofferenze vivono nella sua
epopea i guerrieri cristiani
protesi verso una ideale
conquista e pur combattuti da
terrene passioni e quelli
saraceni, su cui pesa,
nonostante i loro sforzi, il
destino della sconfitta; per
esso vivono il severo Goffredo,
che la sua solitudine ricinge di
un alone di malinconia, e Sveno
giovinetto, che giunge dopo
un'epica marcia alla morte e
alla gloria, Solimano che passa
di sconfitta in sconfitta e pur
non piega il suo animo invitto,
e Clorinda, che, creatura
luminosa, trascorre sulle stragi
della guerra e compie, uccisa
dall'uomo che l'ama, la sua vita
breve e mirabile. E lo stesso
spirito è nella rappresentazione
dell'amore, che è sempre nei
personaggi tasseschi, in Olindo,
in Tancredi, in Erminia, in
Armida, ansia verso un bene
irraggiungibile, struggimento,
dolore, anche nelle stesse
pagine più voluttuose, in cui si
avverte una pungente, segreta
sofferenza. Partecipa alla vita
dei personaggi la natura che li
circonda, pianga la morte
immatura della guerriera
Clorinda o saluti con le sue
voci il risveglio della
giovinetta Erminia, consolando
le sue pene, o illumini di nuova
luce la candida figura di
Rinaldo purificato; e questa
partecipazione si fa più
misteriosa e inquietante con le
magie e gli incanti che in
maniera più palese dànno a
quella natura, che ci pare
solitamente estranea alla nostra
vita, voce, aspetti e spiriti
umani. Mirabili invenzioni sopra
tutte il giardino d'Armida, che
la maga innamorata crea per il
suo Rinaldo su un monte in
un'isola remota e poi, da lui
abbandonata, dissolve in
un'ansia di distruzione, e la
foresta incantata che si
presenta a ogni guerriero con
aspetto diverso dando forma e
parole alle sue segrete paure,
ai suoi incubi, ai suoi sogni. E
sopra quei personaggi ardenti e
appassionati, sulla "terra che
se stessa strugge e pasce - E
nelle guerre sue muore e
rinasce", e si stende il cielo,
a cui essi e il loro poeta
guardano, di quando in quando
sollevandosi sulle proprie
passioni, come a una promessa di
pace e di purezza ("Guarda il
ciel com'è bello e guarda il
Sole - Che a sé par che n'invite
e ne console"): così la
religione del Tasso, profonda
aspirazione più che calmo
possesso, si accompagna, senza
spegnerle, alle passioni terrene
dei suoi personaggi, lasciando
intravedere al di là di questo
mondo travagliato la pace del
mondo ultraterreno, quel mondo a
cui Goffredo s'innalza in una
miracolosa visione e che in
un'ora solenne Rinaldo presente
nel cielo mattutino, a cui vanno
i suoi sguardi, e nella natura
tutta, miracolosamente
trasfigurata, dopo la sua
preghiera sul monte Oliveto.
In questo poema il Tasso, sin da
principio, pensa a magnifica
impresa da farsi immortale,
cerca grandezza e magnificenza
di stile e d'armonia, teme di
lasciar correr la penna, e, in
ogni verso mostrarsi in aria
d'epico, lavora tutto, e, senza
avvedersene perde la grazia,
spontanea e naturale
dell'armonico stile elegante. (Bettinelli).
La lingua vi è sovente
arbitraria e sovente barbara;
sia detto con quella reverenza
che si deve al gran Torquato. (Baretti).
Questo poema è un modello
perfetto di composizione. Da
esso si può imparare a mescolare
i soggetti senza confonderli. (Chateaubriand).
Nella Gerusalemme l'interesse è,
si può dire, onninamente
stazionario. (Leopardi). Sotto
le apparenze pretenziose di un
poema eroico la Gerusalemme è un
mondo interiore o lirico o
subbiettivo, nelle sue parti
sostanziali elegiaco-idillico,
eco dei languori delle estasi e
dei lamenti di un'anima nobile,
contemplativa e musicale. (De
Sanctis).
L'infelice Tasso, tra le
suggestioni di un cattolicesimo
violento, rinato e fittizio, e
tra gli orpelli di una poesia
invecchiata, lavorava con
raffinatezze quasi morbose, con
risultati impari al grande
sforzo. (Taine).
Ch'egli ci trasporti in un bell'universo,
è tutto il suo compito, la sua
virtù efficace. (Barrès).
|
|
|
Mario
Fubini | |
|
|
|
| |