1 |
In su
l'estremità d'un'alta ripa
che facevan gran pietre rotte in cerchio,
venimmo sopra più crudele stipa; |
|
1 |
Sull’orlo di un alto pendio, formato da grandi macigni
spaccati disposti circolarmente, Giungemmo al di sopra
di una folla sottoposta a più dolorosi tormenti; |
4 |
e quivi, per
l'orribile soperchio
del puzzo che 'l profondo abisso gitta,
ci raccostammo, in dietro, ad un coperchio |
|
4 |
e qui per lo spaventoso
insopportabile fetore che esala il basso inferno,
cercammo riparo dietro il coperchio |
7 |
d'un grand'
avello, ov' io vidi una scritta
che dicea: 'Anastasio papa guardo,
lo qual trasse Fotin de la via dritta'. |
|
7 |
di una grande tomba, sul
quale vidi la seguente iscrizione: "Custodisco papa
Anastasio, che Fotino allontanò dalla giusta strada". |
|
Secondo una tradizione diffusa nel Medioevo, Anastasio
II, pontefice dal 496 al 498, sarebbe incorso nell'ira
di Dio per aver aderito all'eresia monofisita (secondo
la quale la persona del Cristo aveva accolto in sé una
sola natura, quella umana) in seguito ai suggerimenti di
Fotino, diacono di Tessalonica. |
10 |
«Lo nostro
scender conviene esser tardo,
sì che s'ausi un poco in prima il senso
al tristo fiato; e poi no i fia riguardo». |
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10 |
"Occorre che la nostra
discesa sia ritardata, in modo che prima il nostro
olfatto si abitui un poco alla pestifera esalazione;
dopo non dovremo più prendere, riguardo ad essa, alcuna
precauzione." |
13 |
Così 'l
maestro; e io «Alcun compenso»,
dissi lui, «trova che 'l tempo non passi
perduto». Ed elli: «Vedi ch'a ciò penso». |
|
13 |
Così parlò Virgilio; e io gli dissi: "Trova un compenso
(alla nostra sosta), in modo che il tempo non scorra
inutilmente". E Virgilio: "E’ proprio ciò a cui sto
pensando". |
|
La richiesta che qui Dante rivolge al maestro non si
ispira al concetto che occorre in un modo qualsiasi
riempire il tempo per sfuggire alla noia, ma alla
profonda concezione morale secondo la quale siamo
responsabili di fronte alla nostra coscienza del tempo
da noi speso male o nell'ozio. Il tempo è prezioso per
colui che concepisce la vita anzitutto come dovere:
perder tempo a chi più sa più spiace dirà Virgilio al
discepolo durante l'ascesa del purgatorio (canto III,
verso 78). |
16 |
«Figliuol
mio, dentro da cotesti sassi»,
cominciò poi a dir, «son tre cerchietti
di grado in grado, come que' che lassi. |
|
16 |
"Figliolo, all’interno di
questa riva pietrosa" prese poi a dire "si trovano tre
cerchi piccoli, (rispetto ai precedenti), digradanti
come quelli dai quali sei uscito. |
19 |
Tutti son
pien di spirti maladetti;
ma perché poi ti basti pur la vista,
intendi come e perché son costretti. |
|
19 |
Sono tutti
pieni di anime dannate; ma perché poi ti sia sufficiente
soltanto vederle (senza più bisogno di spiegazioni), odi
in che modo e per quale motivo si trovano in essi
stipate. |
22 |
D'ogne
malizia, ch'odio in cielo acquista,
ingiuria è 'l fine, ed ogne fin cotale
o con forza o con frode altrui contrista. |
|
22 |
Lo scopo di ogni cattiva azione, che suscita ira in
cielo, è la violazione di un diritto, ed ogni scopo di
questo genere (ogni ingiuria) offende qualcuno o con la
violenza o con la frode. |
|
Tre sono le fonti principali da cui Dante attinge i
criteri che presiedono alla struttura morale e
topografica del basso inferno: Aristotile, il diritto
romano e il pensiero scolastico nella formulazione di
San Tommaso. Qui in particolare i termini malizia e
ingiuria sono usati in un'accezione specificamente
giuridica: la "malizia" è quella disposizione al male,
il cui fine, deliberatamente voluto e perseguito, è
l'infrazione (iniuria: violazione di un diritto) di una
legge fissata da Dio. La ingiuria può essere perseguita
e per mezzo della violenza e per mezzo della frode:
questa distinzione, fondamentale nel dìritto romano, si
trova enunciata nel De Offlciis di Cicerone. |
25 |
Ma perché
frode è de l'uom proprio male,
più spiace a Dio; e però stan di sotto
li frodolenti, e più dolor li assale. |
|
25 |
Ma poiché la frode è malvagità propria
dell’uomo, essa spiace maggiormente a Dio; perciò i
fraudolenti stanno in basso e sono sottoposti a tormenti
maggiori. |
|
La violenza è comune sia agli uomini che agli animali;
non così la frode, il raggiro, l'inganno premeditato,
che si fondano sulla ragione e designano colpe
specificamente umane. L'uomo si addentra tanto più nel
male quanto più consapevolmente e freddamente lo compie.
Già Aristotile aveva indicato, nella consapevole
partecipazione del raziocinio all'atto moralmente
negativo, il criterio per distinguere le colpe in base
alla loro gravità. |
28 |
Di vïolenti
il primo cerchio è tutto;
ma perché si fa forza a tre persone,
in tre gironi è distinto e costrutto. |
|
28 |
Il primo dei tre cerchi è
interamente occupato dai violenti; ma poiché si compie
violenza contro tre specie di persone, esso è stato
costruito e suddiviso in tre zone concentriche. |
31 |
A Dio, a sé,
al prossimo si pòne
far forza, dico in loro e in lor cose,
come udirai con aperta ragione. |
|
31 |
Si può usar violenza
contro Dio, se stessi, il prossimo, e precisamente tanto
contro loro personalmente quanto contro le cose che loro
appartengono, come ti sarà spiegato attraverso un
ragionamento più chiaro. |
|
La gravità dell'azione violenta cresce in misura
proporzionale all'amore che il peccatore avrebbe dovuto
avere per la persona da lui offesa. L'amore per il
prossimo è naturalmente meno forte di quello per se
stessi; perciò suicidi e scialacquatori si trovano in un
girone più basso - il secondo - di coloro che hanno
attentato all'integrità fisica e alle ricchezze altrui.
Ma i più gravi peccati di violenza sono quelli compiuti
contro Dio; infatti l'amore che la creatura deve al suo
Creatore è più grande di quello che deve a se stessa o
agli altri. Nel terzo girone, il più basso, è quindi
punita la violenza che offende Dio nella sua persona
(bestemmiatori). |
34 |
Morte per
forza e ferute dogliose
nel prossimo si danno, e nel suo avere
ruine, incendi e tollette dannose; |
|
34 |
Al prossimo si possono
infliggere morte violenta e dolorose ferite, e ai suoi
beni distruzioni, incendi ed estorsioni dannose; |
37 |
onde omicide
e ciascun che mal fiere,
guastatori e predon, tutti tormenta
lo giron primo per diverse schiere. |
|
37 |
perciò il primo girone
punisce, divisi in gruppi (per diverse schiere), tutti
quanti gli omicidi e chiunque colpevolmente ferisce, i
saccheggiatori e i ladroni. |
40 |
Puote omo
avere in sé man vïolenta
e ne' suoi beni; e però nel secondo
giron convien che sanza pro si penta |
|
40 |
Si può usar violenza
contro se stessi e contro i propri averi; e perciò è
giusto che nel secondo girone si penta inutilmente |
43 |
qualunque
priva sé del vostro mondo,
biscazza e fonde la sua facultade,
e piange là dov' esser de' giocondo. |
|
43 |
chiunque priva se stesso
della vita, dilapida al gioco e sperpera le sue
ricchezze, e (quindi) piange là dove avrebbe dovuto
essere lieto. |
|
Dell'ultimo verso di questa terzina si danno due
interpretazioni, a seconda del senso che si attribuisce
alla determinazione locale là; per alcuni, gli
scialacquatori piangerebbero in terra dopo aver dato
fondo a tutte le loro sostanze; per altri, invece - e
questa sembra l'esegesi più aderente allo spirito del
passo - il pianto di questi violenti sarebbe la
conseguenza della loro dannazione che li ha privati
nell'al di là della felicità eterna. |
46 |
Puossi far
forza ne la deïtade,
col cor negando e bestemmiando quella,
e spregiando natura e sua bontade; |
|
46 |
Si può usare violenza
contro Dio, rinnegandolo in cuore e apertamente
bestemmiandolo, e recando oltraggio alla sua bontà nella
natura; |
49 |
e però lo
minor giron suggella
del segno suo e Soddoma e Caorsa
e chi, spregiando Dio col cor, favella. |
|
49 |
perciò il girone più
piccolo segna del suo marchio sia Sodoma sia Cahors, sia
colui che parla disprezzando Dio nel suo animo (il
bestemmiatore). |
|
I sodomiti (violenti contro natura) e gli usurai
(violenti contro l'arte, intesa, in senso lato, come
lavoro, operosità) sono designati indirettamente in
questa terzina attraverso i nomi delle due città che,
nell'antichità e nel Medioevo, dovettero la loro
celebrità a quei vizi. Nella Genesi (XIX, 24-25) è
narrata la distruzione di Sodoma ad opera del fuoco
celeste: i suoi abitanti si erano macchiati infatti del
peccato contro natura. La città francese di Cahors
godeva fama, ai tempi di Dante, di essere un covo di
usurai. Significativa in proposito è la seguente frase
del Boccaccio: "Come l'uomo dice dì alcuno - egli è
Caorsino - come s'intende ch'egli sia usuraio". |
52 |
La frode,
ond' ogne coscïenza è morsa,
può l'omo usare in colui che 'n lui fida
e in quel che fidanza non imborsa. |
|
52 |
La frode, che offende ogni
coscienza, può essere usata tanto contro colui che si
fida quanto contro colui che non ha fiducia. |
55 |
Questo modo
di retro par ch'incida
pur lo vinco d'amor che fa natura;
onde nel cerchio secondo s'annida |
|
55 |
Questo secondo tipo di
frode sembra distruggere soltanto il vincolo d’amore
creato (tra gli uomini) dalla natura; perciò nel secondo
cerchio (della città di Dite, ottavo di tutto l’inferno)
sono raccolti |
58 |
ipocresia,
lusinghe e chi affattura,
falsità, ladroneccio e simonia,
ruffian, baratti e simile lordura. |
|
58 |
i peccati di ipocrisia,
adulazione e magia, falsificazione, latrocinio e
simonia, seduzione, baratteria e colpe ugualmente
immonde. |
61 |
Per l'altro
modo quell' amor s'oblia
che fa natura, e quel ch'è poi aggiunto,
di che la fede spezïal si cria; |
|
61 |
L’altro tipo di frode fa
dimenticare sia il vincolo dell’amore naturale, sia
quello che ad esso si aggiunge in seguito, dal quale
nasce la fiducia specifica; |
64 |
onde nel
cerchio minore, ov' è 'l punto
de l'universo in su che Dite siede,
qualunque trade in etterno è consunto». |
|
64 |
perciò, nel cerchio più
piccolo, dove si trova il punto dell’universo occupato
da Lucifero (Dite), chiunque tradisce è dilaniato da
tormenti eterni." |
|
Anche la gravità della frode è in rapporto alla persona
che essa colpisce Meno grave appare quindi l'inganno
esercitato contro chi non ha particolari motivi per
fidarsi, più grave quello che si configura come
tradimento. Il vincolo che dovrebbe legare tutti gli
uomini tra loro è l'amore naturale, poiché, come Dante
scrive nel Convivio (I, I, 8), Per natura "ciascun uomo
a ciascuno uomo naturalmente è amico". Ma al vincolo
comune dell'amore naturale si aggiungono vincoli più
specifici, come la parentela, la patria, l'ospitalità,
il beneficio ricevuto, l'amicizia. I fraudolenti contro
chi non si fida infrangono il solo vincolo dell'amore
naturale, quelli contro chi si fida (i traditori)
distruggono anche i vincoli umani che ad esso si
aggiungono e dovrebbero consolidarlo.
Nell'inferno di Dante i traditori, imprigionati nel
ghiaccio dello stagno Cocito, occupano l'ultìmo dei nove
cerchi. |
67 |
E io:
«Maestro, assai chiara procede
la tua ragione, e assai ben distingue
questo baràtro e 'l popol ch'e' possiede. |
|
67 |
Ed io: "Maestro, il tuo
ragionamento si svolge con grande chiarezza, e descrive
assai bene questo abisso e le genti in esso contenute. |
70 |
Ma dimmi:
quei de la palude pingue,
che mena il vento, e che batte la pioggia,
e che s'incontran con sì aspre lingue, |
|
70 |
Ma spiegami: quelli della
palude melmosa, quelli travolti dal vento, e quelli che
la pioggia percuote, e quegli altri che, incontrandosi,
così aspramente si insultano,
|
73 |
perché non
dentro da la città roggia
sono ei puniti, se Dio li ha in ira?
e se non li ha, perché sono a tal foggia?». |
|
73 |
perché non sono puniti
dentro la città arroventata, se Dio li ha in odio? e se
non li ha, perché si trovano in tali condizioni?" |
|
Tra i peccatori elencati da Virgilio non hanno trovato
posto gli iracondi (quei della palude pingue), i
lussuriosi (che mena il vento), i golosi (che batte la
pioggia), gli avari e prodighi (che s'incontran con sì
aspre lingue). Da ciò Dante, nella falsa opinione che
tutti i peccati siano riconducibili alla malizia, è
tratto ad argomentare: se essi sono peccatori,
dovrebbero trovarsi dentro la cinta di mura che delimita
il basso inferno; se invece non lo sono, perché sono in
quel modo puniti?
Il Poeta, che vuole rappresentare tutta l'umanità,
sembra prevedere i dubbi, le domande del lettore, anche
se talvolta, come in questo caso, la sua preoccupazione
di offrire una risposta conferisce un tono
eccessivamente didascalico alla poesia.
I |
76 |
Ed elli a me
«Perché tanto delira»,
disse, «lo 'ngegno tuo da quel che sòle?
o ver la mente dove altrove mira? |
|
76 |
E Virgilio: "Perché la tua mente esce
tanto dal solco che è solita seguire? o in quale altra
direzione è volto il tuo pensiero? |
|
l Boccaccio sottolinea che "delirare" significa "uscire
dal solco": è l'affettuoso rimprovero della ragione a
Dante, il quale sembra dimenticare in questo momento
quei principi filosofici che Virgilio subito gli
richiamerà alla memoria. |
79 |
Non ti
rimembra di quelle parole
con le quai la tua Etica pertratta
le tre disposizion che 'l ciel non vole, |
|
79 |
Non ti ricordi delle parole con le
quali l’Etica, libro a te familiare, tratta a fondo le
tre inclinazioni che Dio disapprova, |
82 |
incontenenza,
malizia e la matta
bestialitade? e come incontenenza
men Dio offende e men biasimo accatta? |
|
82 |
l’incontinenza, la malizia
e la sfrenata bestialità? e di come l’incontinenza
offenda meno Dio, e attiri su di sé una condanna minore? |
85 |
Se tu
riguardi ben questa sentenza,
e rechiti a la mente chi son quelli
che sù di fuor sostegnon penitenza, |
|
85 |
Se tu riesamini
attentamente questa affermazione, e ricordi chi sono
coloro che vengono puniti nella parte alta dell’inferno,
fuori della città di Dite, |
|
Il pensiero di Aristotile era molto studiato nel
Medioevo. Si riteneva che il grande filosofo greco
avesse trovato le risposte più persuasive ed esaurienti
a tutti i problemi che l'uomo può risolvere servendosi
della sola ragione.
Nell'Etica Nicomachea Aristotile classifica il male in
base alla maggiore o minore partecipazione della volontà
cosciente al suo compimento. Virgilio, richiamando alla
memoria del discepolo il capitolo primo del libro VII,
intende sottolineare la razionalità del criterio secondo
cui sono distribuite le pene infernali. Dio ci giudica,
infatti, tenendo conto di quel lume naturale che è in
ciascuno di noi e che ci mette in grado di distinguere
con chiarezza il bene dal male e di agire
conseguentemente. |
88 |
tu vedrai
ben perché da questi felli
sien dipartiti, e perché men crucciata
la divina vendetta li martelli». |
|
88 |
comprenderai perché si trovino separati
da questi malvagi, e perché la giustizia di Dio li
colpisca meno adirata". |
|
Virgilio
ricorda al suo discepolo che nell'Etica Nicomachea di
Aristotile gli atti peccaminosi non sono tutti
riconducibili alla malizia: il filosofo greco aveva
infatti considerato non una, ma tre disposizioni
moralmente negative, l'incontinenza, la malizia e la
bestialità. Ora, nei cerchi superiori dell'inferno sono
puniti i peccati d'incontinenza. Questa rappresenta una
disposizione al male in quanto l'incontinente è portato
a ricercare al di là del lecito cose che, di per se
stesse, entro i limiti loro assegnati nell'economia
della creazione, sono un bene. Il peccato d'incontinenza
è quindi un peccato di dismisura. Per questo esso si
distingue radicalmente da quello di malizia,
deliberatamente volto al male, ed è punito al di fuori
della città di Dite. Poiché in questa sono presenti solo
i peccati dovuti a malizia (divisi a loro volta, come è
stato chiarito da Virgilio nella prima parte del canto,
in violenza e frode), i commentatori si sono chiesti in
quale parte dell'inferno sia punita la matta
bestialitade. Alcuni hanno voluto identificarla nella
violenza dei settimo cerchio, altri nell'eresia del
sesto. Ma, come ha dimostrato il Nardi, l'Etica di
Aristotile è menzionata da Virgilio a questo punto non
tanto al fine di convalidare con l'autorità del maestro
di color che sanno l'intero ordinamento dell'inferno,
quanto per dimostrare soltanto che l'incontinenza non
può essere accomunata alla malizia, essendo peccato
assai meno grave.
Nella partizione del peccati Dante ha fatto uso di due
delle categorie stabilite da Aristotile, tralasciando la
terza (la bestialità). |
91 |
«O sol che
sani ogne vista turbata,
tu mi contenti sì quando tu solvi,
che, non men che saver, dubbiar m'aggrata. |
|
91 |
"O luce che come sole liberi la vista
(dell’intelletto) da ogni offuscamento, mi riempi di
tanta gioia quando sciogli i miei dubbi, che il dubitare
non mi è meno gradito del sapere. |
|
Le parole di Dante, che a prima vista possono apparire
improntate a una certa retorica, esprimono invece la
gioia profonda dell'uomo che comprende, con il suo
intelletto, la razionalità del creato e che ha la
sicurezza che ogni altro dubbio potrà essere sciolto. |
94 |
Ancora in
dietro un poco ti rivolvi»,
diss' io, «là dove di' ch'usura offende
la divina bontade, e 'l groppo solvi». |
|
94 |
Torna ancora un po’
indietro " dissi, " nel punto in cui dici che l’usura
oltraggia la bontà di Dio, e chiarisci questa
difficoltà." |
97 |
«Filosofia»,
mi disse, «a chi la 'ntende,
nota, non pure in una sola parte,
come natura lo suo corso prende |
|
97 |
"A colui che
sa capirla " disse " la filosofia dimostra e non in un
solo punto, come la natura prende origine |
100 |
dal divino 'ntelletto
e da sua arte;
e se tu ben la tua Fisica note,
tu troverai, non dopo molte carte, |
|
100 |
dalla mente e dall’opera di Dio; e se tu leggi
attentamente la Fisica (di Aristotile), a te ben
familiare, troverai, dopo non molte pagine, |
103 |
che l'arte
vostra quella, quanto pote,
segue, come 'l maestro fa 'l discente;
sì che vostr' arte a Dio quasi è nepote. |
|
103 |
che l’operato umano imita,
per quanto può, la natura, come l’alunno imita il
maestro; tanto che il vostro operare è quasi nipote di
Dio. |
|
Il pensiero medievale sosteneva, d'accordo in ciò con la
speculazione degli antichi, che i prodotti del lavoro
umano (arte) avevano il loro fondamento nei prodotti
della mente divina, nelle opere cioè della creazione
(natura). L'uomo doveva quindi tendere, al fine di
conferire valore sempre più alto alle proprie opere, ad
imitare la natura, concepita appunto come il veicolo del
Verbo divino, il suo ricettacolo in terra. Essendo
quindi l'arte una riproduzione della natura, ed essendo
quest'ultima opera diretta di Dio, anche l'arte, l'umana
operosità, ha in Dio la sua origine e la sua
legittimazione; perciò se metaforicamente la natura può
essere chiamata figlia di Dio, l'arte può apparirne come
la nepote. Con questa spiegazione Virgilio intende
chiarire al suo discepolo la sostanziale affinità che
lega il peccato contro la natura a quello contro l'arte:
entrambi infatti, attraverso la natura e l'arte,
offendono, per analoghe ragioni, Dio. |
106 |
Da queste
due, se tu ti rechi a mente
lo Genesì dal principio, convene
prender sua vita e avanzar la gente; |
|
106 |
Se tu richiami alla tua
memoria l’inizio del libro della Genesi, vedrai che è
dalla natura e dall’arte che gli uomini devono trarre i
mezzi per vivere e migliorare le proprie condizioni; |
109 |
e perché l'usuriere
altra via tene,
per sé natura e per la sua seguace
dispregia, poi ch'in altro pon la spene. |
|
109 |
e poiché l’usuraio segue
un altro cammino, offende la natura in se stessa e nella
sua imitatrice, affidando ad altro la sua speranza. |
112 |
Ma seguimi
oramai che 'l gir mi piace;
ché i Pesci guizzan su per l'orizzonta,
e 'l Carro tutto sovra 'l Coro giace, |
|
112 |
Ma è tempo ormai che tu mi
venga dietro, poiché ritengo che dobbiamo incamminarci;
la costellazione dei Pesci (che precede di tre ore
l’apparizione dell’alba), infatti, sale scintillando
sopra l’orizzonte e quella dell’Orsa Maggiore si trova
esattamente nella direzione del vento Cauro, |
115 |
e 'l balzo
via là oltra si dismonta». |
|
115 |
e si discende il dirupo
assai più in là." |
|
Alla fine di questo canto dottrinale la poesia torna ad
affermarsi in una precisazione cronologica (in terra sta
per spuntare il sole; un nuovo giorno comincerà tra
poco; è tempo di riprendere il cammino) che fa balenare
per un attimo, sulla desolazione dello scenario
infernale, la solenne maestà del cielo stellato. |