IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

DIVINA COMMEDIA

 
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 DIVINA COMMEDIA: PARAFRASI INFERNO CANTO XI°

1 In su l'estremità d'un'alta ripa
che facevan gran pietre rotte in cerchio,
venimmo sopra più crudele stipa;
  1 Sull’orlo di un alto pendio, formato da grandi macigni spaccati disposti circolarmente, Giungemmo al di sopra di una folla sottoposta a più dolorosi tormenti;
4 e quivi, per l'orribile soperchio
del puzzo che 'l profondo abisso gitta,
ci raccostammo, in dietro, ad un coperchio
  4 e qui per lo spaventoso insopportabile fetore che esala il basso inferno, cercammo riparo dietro il coperchio
7 d'un grand' avello, ov' io vidi una scritta
che dicea: 'Anastasio papa guardo,
lo qual trasse Fotin de la via dritta'.
  7 di una grande tomba, sul quale vidi la seguente iscrizione: "Custodisco papa Anastasio, che Fotino allontanò dalla giusta strada".
  Secondo una tradizione diffusa nel Medioevo, Anastasio II, pontefice dal 496 al 498, sarebbe incorso nell'ira di Dio per aver aderito all'eresia monofisita (secondo la quale la persona del Cristo aveva accolto in sé una sola natura, quella umana) in seguito ai suggerimenti di Fotino, diacono di Tessalonica.
10 «Lo nostro scender conviene esser tardo,
sì che s'ausi un poco in prima il senso
al tristo fiato; e poi no i fia riguardo».
  10 "Occorre che la nostra discesa sia ritardata, in modo che prima il nostro olfatto si abitui un poco alla pestifera esalazione; dopo non dovremo più prendere, riguardo ad essa, alcuna precauzione."
13 Così 'l maestro; e io «Alcun compenso»,
dissi lui, «trova che 'l tempo non passi
perduto». Ed elli: «Vedi ch'a ciò penso».
  13 Così parlò Virgilio; e io gli dissi: "Trova un compenso (alla nostra sosta), in modo che il tempo non scorra inutilmente". E Virgilio: "E’ proprio ciò a cui sto pensando".
  La richiesta che qui Dante rivolge al maestro non si ispira al concetto che occorre in un modo qualsiasi riempire il tempo per sfuggire alla noia, ma alla profonda concezione morale secondo la quale siamo responsabili di fronte alla nostra coscienza del tempo da noi speso male o nell'ozio. Il tempo è prezioso per colui che concepisce la vita anzitutto come dovere: perder tempo a chi più sa più spiace dirà Virgilio al discepolo durante l'ascesa del purgatorio (canto III, verso 78).
16 «Figliuol mio, dentro da cotesti sassi»,
cominciò poi a dir, «son tre cerchietti
di grado in grado, come que' che lassi.
  16 "Figliolo, all’interno di questa riva pietrosa" prese poi a dire "si trovano tre cerchi piccoli, (rispetto ai precedenti), digradanti come quelli dai quali sei uscito.
19 Tutti son pien di spirti maladetti;
ma perché poi ti basti pur la vista,
intendi come e perché son costretti.
  19 Sono tutti pieni di anime dannate; ma perché poi ti sia sufficiente soltanto vederle (senza più bisogno di spiegazioni), odi in che modo e per quale motivo si trovano in essi stipate.
22 D'ogne malizia, ch'odio in cielo acquista,
ingiuria è 'l fine, ed ogne fin cotale
o con forza o con frode altrui contrista.
  22 Lo scopo di ogni cattiva azione, che suscita ira in cielo, è la violazione di un diritto, ed ogni scopo di questo genere (ogni ingiuria) offende qualcuno o con la violenza o con la frode.
  Tre sono le fonti principali da cui Dante attinge i criteri che presiedono alla struttura morale e topografica del basso inferno: Aristotile, il diritto romano e il pensiero scolastico nella formulazione di San Tommaso. Qui in particolare i termini malizia e ingiuria sono usati in un'accezione specificamente giuridica: la "malizia" è quella disposizione al male, il cui fine, deliberatamente voluto e perseguito, è l'infrazione (iniuria: violazione di un diritto) di una legge fissata da Dio. La ingiuria può essere perseguita e per mezzo della violenza e per mezzo della frode: questa distinzione, fondamentale nel dìritto romano, si trova enunciata nel De Offlciis di Cicerone.
25 Ma perché frode è de l'uom proprio male,
più spiace a Dio; e però stan di sotto
li frodolenti, e più dolor li assale.
  25

Ma poiché la frode è malvagità propria dell’uomo, essa spiace maggiormente a Dio; perciò i fraudolenti stanno in basso e sono sottoposti a tormenti maggiori.

  La violenza è comune sia agli uomini che agli animali; non così la frode, il raggiro, l'inganno premeditato, che si fondano sulla ragione e designano colpe specificamente umane. L'uomo si addentra tanto più nel male quanto più consapevolmente e freddamente lo compie. Già Aristotile aveva indicato, nella consapevole partecipazione del raziocinio all'atto moralmente negativo, il criterio per distinguere le colpe in base alla loro gravità.
28 Di vïolenti il primo cerchio è tutto;
ma perché si fa forza a tre persone,
in tre gironi è distinto e costrutto.
  28 Il primo dei tre cerchi è interamente occupato dai violenti; ma poiché si compie violenza contro tre specie di persone, esso è stato costruito e suddiviso in tre zone concentriche.
31 A Dio, a sé, al prossimo si pòne
far forza, dico in loro e in lor cose,
come udirai con aperta ragione.
  31 Si può usar violenza contro Dio, se stessi, il prossimo, e precisamente tanto contro loro personalmente quanto contro le cose che loro appartengono, come ti sarà spiegato attraverso un ragionamento più chiaro.
  La gravità dell'azione violenta cresce in misura proporzionale all'amore che il peccatore avrebbe dovuto avere per la persona da lui offesa. L'amore per il prossimo è naturalmente meno forte di quello per se stessi; perciò suicidi e scialacquatori si trovano in un girone più basso - il secondo - di coloro che hanno attentato all'integrità fisica e alle ricchezze altrui. Ma i più gravi peccati di violenza sono quelli compiuti contro Dio; infatti l'amore che la creatura deve al suo Creatore è più grande di quello che deve a se stessa o agli altri. Nel terzo girone, il più basso, è quindi punita la violenza che offende Dio nella sua persona (bestemmiatori).
34 Morte per forza e ferute dogliose
nel prossimo si danno, e nel suo avere
ruine, incendi e tollette dannose;
  34 Al prossimo si possono infliggere morte violenta e dolorose ferite, e ai suoi beni distruzioni, incendi ed estorsioni dannose;
37 onde omicide e ciascun che mal fiere,
guastatori e predon, tutti tormenta
lo giron primo per diverse schiere.
  37 perciò il primo girone punisce, divisi in gruppi (per diverse schiere), tutti quanti gli omicidi e chiunque colpevolmente ferisce, i saccheggiatori e i ladroni.
40 Puote omo avere in sé man vïolenta
e ne' suoi beni; e però nel secondo
giron convien che sanza pro si penta
  40 Si può usar violenza contro se stessi e contro i propri averi; e perciò è giusto che nel secondo girone si penta inutilmente
43 qualunque priva sé del vostro mondo,
biscazza e fonde la sua facultade,
e piange là dov' esser de' giocondo.
  43 chiunque priva se stesso della vita, dilapida al gioco e sperpera le sue ricchezze, e (quindi) piange là dove avrebbe dovuto essere lieto.
  Dell'ultimo verso di questa terzina si danno due interpretazioni, a seconda del senso che si attribuisce alla determinazione locale là; per alcuni, gli scialacquatori piangerebbero in terra dopo aver dato fondo a tutte le loro sostanze; per altri, invece - e questa sembra l'esegesi più aderente allo spirito del passo - il pianto di questi violenti sarebbe la conseguenza della loro dannazione che li ha privati nell'al di là della felicità eterna.
46 Puossi far forza ne la deïtade,
col cor negando e bestemmiando quella,
e spregiando natura e sua bontade;
  46 Si può usare violenza contro Dio, rinnegandolo in cuore e apertamente bestemmiandolo, e recando oltraggio alla sua bontà nella natura;
49 e però lo minor giron suggella
del segno suo e Soddoma e Caorsa
e chi, spregiando Dio col cor, favella.
  49 perciò il girone più piccolo segna del suo marchio sia Sodoma sia Cahors, sia colui che parla disprezzando Dio nel suo animo (il bestemmiatore).
  I sodomiti (violenti contro natura) e gli usurai (violenti contro l'arte, intesa, in senso lato, come lavoro, operosità) sono designati indirettamente in questa terzina attraverso i nomi delle due città che, nell'antichità e nel Medioevo, dovettero la loro celebrità a quei vizi. Nella Genesi (XIX, 24-25) è narrata la distruzione di Sodoma ad opera del fuoco celeste: i suoi abitanti si erano macchiati infatti del peccato contro natura. La città francese di Cahors godeva fama, ai tempi di Dante, di essere un covo di usurai.
Significativa in proposito è la seguente frase del Boccaccio: "Come l'uomo dice dì alcuno - egli è Caorsino - come s'intende ch'egli sia usuraio".
52 La frode, ond' ogne coscïenza è morsa,
può l'omo usare in colui che 'n lui fida
e in quel che fidanza non imborsa.
  52 La frode, che offende ogni coscienza, può essere usata tanto contro colui che si fida quanto contro colui che non ha fiducia.
55 Questo modo di retro par ch'incida
pur lo vinco d'amor che fa natura;
onde nel cerchio secondo s'annida
  55 Questo secondo tipo di frode sembra distruggere soltanto il vincolo d’amore creato (tra gli uomini) dalla natura; perciò nel secondo cerchio (della città di Dite, ottavo di tutto l’inferno) sono raccolti
58 ipocresia, lusinghe e chi affattura,
falsità, ladroneccio e simonia,
ruffian, baratti e simile lordura.
  58 i peccati di ipocrisia, adulazione e magia, falsificazione, latrocinio e simonia, seduzione, baratteria e colpe ugualmente immonde.
61 Per l'altro modo quell' amor s'oblia
che fa natura, e quel ch'è poi aggiunto,
di che la fede spezïal si cria;
  61 L’altro tipo di frode fa dimenticare sia il vincolo dell’amore naturale, sia quello che ad esso si aggiunge in seguito, dal quale nasce la fiducia specifica;
64 onde nel cerchio minore, ov' è 'l punto
de l'universo in su che Dite siede,
qualunque trade in etterno è consunto».
  64 perciò, nel cerchio più piccolo, dove si trova il punto dell’universo occupato da Lucifero (Dite), chiunque tradisce è dilaniato da tormenti eterni."
  Anche la gravità della frode è in rapporto alla persona che essa colpisce Meno grave appare quindi l'inganno esercitato contro chi non ha particolari motivi per fidarsi, più grave quello che si configura come tradimento. Il vincolo che dovrebbe legare tutti gli uomini tra loro è l'amore naturale, poiché, come Dante scrive nel Convivio (I, I, 8), Per natura "ciascun uomo a ciascuno uomo naturalmente è amico". Ma al vincolo comune dell'amore naturale si aggiungono vincoli più specifici, come la parentela, la patria, l'ospitalità, il beneficio ricevuto, l'amicizia. I fraudolenti contro chi non si fida infrangono il solo vincolo dell'amore naturale, quelli contro chi si fida (i traditori) distruggono anche i vincoli umani che ad esso si aggiungono e dovrebbero consolidarlo.
Nell'inferno di Dante i traditori, imprigionati nel ghiaccio dello stagno Cocito, occupano l'ultìmo dei nove cerchi.
67 E io: «Maestro, assai chiara procede
la tua ragione, e assai ben distingue
questo baràtro e 'l popol ch'e' possiede.
  67 Ed io: "Maestro, il tuo ragionamento si svolge con grande chiarezza, e descrive assai bene questo abisso e le genti in esso contenute.
70 Ma dimmi: quei de la palude pingue,
che mena il vento, e che batte la pioggia,
e che s'incontran con sì aspre lingue,
  70 Ma spiegami: quelli della palude melmosa, quelli travolti dal vento, e quelli che la pioggia percuote, e quegli altri che, incontrandosi, così aspramente si insultano,
 
73 perché non dentro da la città roggia
sono ei puniti, se Dio li ha in ira?
e se non li ha, perché sono a tal foggia?».
  73 perché non sono puniti dentro la città arroventata, se Dio li ha in odio? e se non li ha, perché si trovano in tali condizioni?"
  Tra i peccatori elencati da Virgilio non hanno trovato posto gli iracondi (quei della palude pingue), i lussuriosi (che mena il vento), i golosi (che batte la pioggia), gli avari e prodighi (che s'incontran con sì aspre lingue). Da ciò Dante, nella falsa opinione che tutti i peccati siano riconducibili alla malizia, è tratto ad argomentare: se essi sono peccatori, dovrebbero trovarsi dentro la cinta di mura che delimita il basso inferno; se invece non lo sono, perché sono in quel modo puniti?
Il Poeta, che vuole rappresentare tutta l'umanità, sembra prevedere i dubbi, le domande del lettore, anche se talvolta, come in questo caso, la sua preoccupazione di offrire una risposta conferisce un tono eccessivamente didascalico alla poesia.
I
76 Ed elli a me «Perché tanto delira»,
disse, «lo 'ngegno tuo da quel che sòle?
o ver la mente dove altrove mira?
  76

E Virgilio: "Perché la tua mente esce tanto dal solco che è solita seguire? o in quale altra direzione è volto il tuo pensiero?

  l Boccaccio sottolinea che "delirare" significa "uscire dal solco": è l'affettuoso rimprovero della ragione a Dante, il quale sembra dimenticare in questo momento quei principi filosofici che Virgilio subito gli richiamerà alla memoria.
79 Non ti rimembra di quelle parole
con le quai la tua Etica pertratta
le tre disposizion che 'l ciel non vole,
  79

Non ti ricordi delle parole con le quali l’Etica, libro a te familiare, tratta a fondo le tre inclinazioni che Dio disapprova,

82 incontenenza, malizia e la matta
bestialitade? e come incontenenza
men Dio offende e men biasimo accatta?
  82 l’incontinenza, la malizia e la sfrenata bestialità? e di come l’incontinenza offenda meno Dio, e attiri su di sé una condanna minore?
85 Se tu riguardi ben questa sentenza,
e rechiti a la mente chi son quelli
che sù di fuor sostegnon penitenza,
  85 Se tu riesamini attentamente questa affermazione, e ricordi chi sono coloro che vengono puniti nella parte alta dell’inferno, fuori della città di Dite,
  Il pensiero di Aristotile era molto studiato nel Medioevo. Si riteneva che il grande filosofo greco avesse trovato le risposte più persuasive ed esaurienti a tutti i problemi che l'uomo può risolvere servendosi della sola ragione.

Nell'Etica Nicomachea Aristotile classifica il male in base alla maggiore o minore partecipazione della volontà cosciente al suo compimento. Virgilio, richiamando alla memoria del discepolo il capitolo primo del libro VII, intende sottolineare la razionalità del criterio secondo cui sono distribuite le pene infernali. Dio ci giudica, infatti, tenendo conto di quel lume naturale che è in ciascuno di noi e che ci mette in grado di distinguere con chiarezza il bene dal male e di agire conseguentemente.
88 tu vedrai ben perché da questi felli
sien dipartiti, e perché men crucciata
la divina vendetta li martelli».
  88

comprenderai perché si trovino separati da questi malvagi, e perché la giustizia di Dio li colpisca meno adirata".

  Virgilio ricorda al suo discepolo che nell'Etica Nicomachea di Aristotile gli atti peccaminosi non sono tutti riconducibili alla malizia: il filosofo greco aveva infatti considerato non una, ma tre disposizioni moralmente negative, l'incontinenza, la malizia e la bestialità. Ora, nei cerchi superiori dell'inferno sono puniti i peccati d'incontinenza. Questa rappresenta una disposizione al male in quanto l'incontinente è portato a ricercare al di là del lecito cose che, di per se stesse, entro i limiti loro assegnati nell'economia della creazione, sono un bene. Il peccato d'incontinenza è quindi un peccato di dismisura. Per questo esso si distingue radicalmente da quello di malizia, deliberatamente volto al male, ed è punito al di fuori della città di Dite. Poiché in questa sono presenti solo i peccati dovuti a malizia (divisi a loro volta, come è stato chiarito da Virgilio nella prima parte del canto, in violenza e frode), i commentatori si sono chiesti in quale parte dell'inferno sia punita la matta bestialitade. Alcuni hanno voluto identificarla nella violenza dei settimo cerchio, altri nell'eresia del sesto. Ma, come ha dimostrato il Nardi, l'Etica di Aristotile è menzionata da Virgilio a questo punto non tanto al fine di convalidare con l'autorità del maestro di color che sanno l'intero ordinamento dell'inferno, quanto per dimostrare soltanto che l'incontinenza non può essere accomunata alla malizia, essendo peccato assai meno grave.
Nella partizione del peccati Dante ha fatto uso di due delle categorie stabilite da Aristotile, tralasciando la terza (la bestialità).
91 «O sol che sani ogne vista turbata,
tu mi contenti sì quando tu solvi,
che, non men che saver, dubbiar m'aggrata.
  91

"O luce che come sole liberi la vista (dell’intelletto) da ogni offuscamento, mi riempi di tanta gioia quando sciogli i miei dubbi, che il dubitare non mi è meno gradito del sapere.

  Le parole di Dante, che a prima vista possono apparire improntate a una certa retorica, esprimono invece la gioia profonda dell'uomo che comprende, con il suo intelletto, la razionalità del creato e che ha la sicurezza che ogni altro dubbio potrà essere sciolto.
94 Ancora in dietro un poco ti rivolvi»,
diss' io, «là dove di' ch'usura offende
la divina bontade, e 'l groppo solvi».
  94 Torna ancora un po’ indietro " dissi, " nel punto in cui dici che l’usura oltraggia la bontà di Dio, e chiarisci questa difficoltà."
97 «Filosofia», mi disse, «a chi la 'ntende,
nota, non pure in una sola parte,
come natura lo suo corso prende
  97 "A colui che sa capirla " disse " la filosofia dimostra e non in un solo punto, come la natura prende origine
100 dal divino 'ntelletto e da sua arte;
e se tu ben la tua Fisica note,
tu troverai, non dopo molte carte,
  100 dalla mente e dall’opera di Dio; e se tu leggi attentamente la Fisica (di Aristotile), a te ben familiare, troverai, dopo non molte pagine,
103 che l'arte vostra quella, quanto pote,
segue, come 'l maestro fa 'l discente;
sì che vostr' arte a Dio quasi è nepote.
  103 che l’operato umano imita, per quanto può, la natura, come l’alunno imita il maestro; tanto che il vostro operare è quasi nipote di Dio.
  Il pensiero medievale sosteneva, d'accordo in ciò con la speculazione degli antichi, che i prodotti del lavoro umano (arte) avevano il loro fondamento nei prodotti della mente divina, nelle opere cioè della creazione (natura). L'uomo doveva quindi tendere, al fine di conferire valore sempre più alto alle proprie opere, ad imitare la natura, concepita appunto come il veicolo del Verbo divino, il suo ricettacolo in terra. Essendo quindi l'arte una riproduzione della natura, ed essendo quest'ultima opera diretta di Dio, anche l'arte, l'umana operosità, ha in Dio la sua origine e la sua legittimazione; perciò se metaforicamente la natura può essere chiamata figlia di Dio, l'arte può apparirne come la nepote. Con questa spiegazione Virgilio intende chiarire al suo discepolo la sostanziale affinità che lega il peccato contro la natura a quello contro l'arte: entrambi infatti, attraverso la natura e l'arte, offendono, per analoghe ragioni, Dio.
106 Da queste due, se tu ti rechi a mente
lo Genesì dal principio, convene
prender sua vita e avanzar la gente;
  106 Se tu richiami alla tua memoria l’inizio del libro della Genesi, vedrai che è dalla natura e dall’arte che gli uomini devono trarre i mezzi per vivere e migliorare le proprie condizioni;
109 e perché l'usuriere altra via tene,
per sé natura e per la sua seguace
dispregia, poi ch'in altro pon la spene.
  109 e poiché l’usuraio segue un altro cammino, offende la natura in se stessa e nella sua imitatrice, affidando ad altro la sua speranza.
112 Ma seguimi oramai che 'l gir mi piace;
ché i Pesci guizzan su per l'orizzonta,
e 'l Carro tutto sovra 'l Coro giace,
  112 Ma è tempo ormai che tu mi venga dietro, poiché ritengo che dobbiamo incamminarci; la costellazione dei Pesci (che precede di tre ore l’apparizione dell’alba), infatti, sale scintillando sopra l’orizzonte e quella dell’Orsa Maggiore si trova esattamente nella direzione del vento Cauro,
115 e 'l balzo via là oltra si dismonta».   115 e si discende il dirupo assai più in là."
  Alla fine di questo canto dottrinale la poesia torna ad affermarsi in una precisazione cronologica (in terra sta per spuntare il sole; un nuovo giorno comincerà tra poco; è tempo di riprendere il cammino) che fa balenare per un attimo, sulla desolazione dello scenario infernale, la solenne maestà del cielo stellato.

 

© 2009 - Luigi De Bellis