1 |
Lo giorno se
n'andava, e l'aere bruno
toglieva li animai che sono in terra
da le fatiche loro; e io sol uno |
|
1 |
Il giorno finiva, e
l’oscurità faceva interrompere ai vivi in terra le loro
fatiche; io solo |
4 |
m'apparecchiava a sostener la guerra
sì del cammino e sì de la pietate,
che ritrarrà la mente che non erra. |
|
4 |
mi
preparavo a sostenere il travaglio fisico e morale (del
viaggio), che la memoria, esatta nel trascrivere ciò che
ha appreso, narrerà. |
|
Dante non
indulge mai in descrizioni di mero colore: nella Divina
Commedia la natura è sempre ricca di dramma, di umana
tensione. Così nell'attacco di questo canto, che prende
rilievo dal contrasto tra il destino di tutti, che è
quello di riposare dopo le fatiche della giornata, e
quello del Poeta, oppresso dal peso della sua
responsabilità, insonne, travagliato dall'angoscia.
Le parole che Dante rivolgerà a Virgilio per esporgli i
propri dubbi trarranno solennità e concentrazione
proprio dal fatto di essere dette in questo tramonto,
simbolo del commiato di un uomo da tutto ciò che di
umano ancora lo tiene legato al mondo dei vivi. |
7 |
O muse, o
alto ingegno, or m'aiutate;
o mente che scrivesti ciò ch'io vidi,
qui si parrà la tua nobilitate. |
|
7 |
O Muse, o
mia forza intellettuale, soccorretemi; o memoria, che
porti impressa in te la mia visione, qui apparirà il tuo
valore. |
10 |
Io
cominciai: «Poeta che mi guidi,
guarda la mia virtù s'ell' è possente,
prima ch'a l'alto passo tu mi fidi. |
|
10 |
Io
cominciai con queste parole: "Poeta, mia guida, guarda
se le mie capacità sono sufficienti, prima di affidarmi
all’arduo passaggio. |
13 |
Tu dici che
di Silvïo il parente,
corruttibile ancora, ad immortale
secolo andò, e fu sensibilmente. |
|
13 |
(Nell’Eneide) tu narri che
il padre di Silvio (cioè Enea, che generò Silvio da
Lavinia), mentre era ancora in vita, andò nel mondo dei
morti (immortale: perché in esso le anime hanno vita
eterna), e fece ciò in carne e ossa. |
16 |
Però, se
l'avversario d'ogne male
cortese i fu, pensando l'alto effetto
ch'uscir dovea di lui, e 'l chi e 'l quale |
|
16 |
Ma, se Dio
(l’avversario d’ogni male) fu con lui cortese,
riflettendo sull’importanza dei risultati ( Roma, la sua
storia, il suo impero) che avrebbero avuto in Enea la
loro origine, e sulle sue qualità personali e sulla sua
stirpe regale, |
|
Però, se
l'avversario d'ogni male: contro i presupposti
dell'esegesi tradizionale, per i quali oggetto del
giudizio dell'uomo assennato è la cortesia usata da Dio
ad Enea, il Pagliaro sottolinea "l'impossibilità, per
così dire, ideologica, di attribuire al Poeta della
cristianità medievale, che nella teologia ha concentrato
e trasfigurato la pienezza e la purezza del suo amore
terreno, un atteggiamento irrispettoso o per lo meno
distratto, al punto da fargli dire che un uomo di senno
non può obbiettare nulla contro il favore dimostrato da
Dio nei riguardi di Enea..." Il giudizio dell'uomo
assennato verterebbe quindi sulla persona di Enea, non
sulla cortesia di Dio. Quanto alla domanda affacciata da
alcuni interpreti, se cioè Dante credeva alla discesa
agli Inferi di Enea (di cui Virgilio parla nell'Eneide,
canto VI, 237 sgg.) come a un evento storicamente
accertato, occorre ricordare che per la mentalità
medievale il problema non si poneva in questi termini:
un fatto veniva accettato come vero per il momento di
verità interiore che in esso appariva contenuto.
Nell'empireo ciel per padre eletto:
il cielo Empireo è il decimo, il più remoto dalla terra,
quello che rinchiude in se tutto il creato ed è sede di
Dio. |
19 |
non pare
indegno ad omo d'intelletto;
ch'e' fu de l'alma Roma e di suo impero
ne l'empireo ciel per padre eletto: |
|
19 |
la cosa non appare
ingiustificata a chi ragiona; poiché egli fu prescelto
da Dio come capostipite della nobile Roma e del suo
impero: |
22 |
la quale e
'l quale, a voler dir lo vero,
fu stabilita per lo loco santo
u' siede il successor del maggior Piero. |
|
22 |
Roma e il suo impero, se
vogliamo essere esatti, furono costituiti da Dio per
preparare il luogo sacro dove ha sede il pontefice,
successore del grande Pietro. |
25 |
Per quest'
andata onde li dai tu vanto,
intese cose che furon cagione
di sua vittoria e del papale ammanto. |
|
25 |
A causa di questa discesa
( nel regno dei morti), di cui (nel tuo poema) lo hai
considerato degno, apprese fatti (il padre Anchise gli
pronosticò il felice esito dei suoi travagli e la
grandezza di Roma) che furono le premesse della sua
vittoria (nella guerra contro i Latini e i loro alleati)
e dell’autorità papale. |
|
L'apostrofe di Dante a Virgilio inizia sul tono di un
ragionamento dimostrativo, "ma si trasforma via via in
una commossa apoteosi di quella Roma ideale, latina e
cristiana, che, per divina elezione, doveva essere luce
di vita temporale e spirituale al genere umano" (Grabher). |
28 |
Andovvi poi
lo Vas d'elezïone,
per recarne conforto a quella fede
ch'è principio a la via di salvazione. |
|
28 |
La seconda
discesa nell’oltretomba è quella di San Paolo, l’eletto
da Dio, il quale vi andò per trarne forza per la
diffusione della fede cristiana, senza la quale la
salvezza è impossibile. |
|
Vas
d'elezione:
il vaso della scelta, il recipiente colmo, per decisione
divina, di grazia; nel Paradiso ( canto XXI, versi
127-128) Dante chiamerà San Paolo il gran vasello dello
Spirito Santo. Il verso allude al rapimento mistico che
San Paolo rivela di aver avuto, allorché "se nel suo
corpo, o fuori del suo corpo..., lo sa Iddio, fu rapito
fino al terzo cielo" (II Corinti XII. 2-4). |
31 |
Ma io,
perché venirvi? o chi 'l concede?
Io non Enëa, io non Paulo sono;
me degno a ciò né io né altri 'l crede. |
|
31 |
Ma qual è
il motivo per il quale io devo intraprendere questo
viaggio? chi mi autorizza a farlo? Non sono né Enea né
San Paolo: né io mi ritengo all’altezza del compito, né
qualcun altro me ne ritiene degno. |
|
A più
riprese, nella Divina Commedia, Dante manifesta l'alta
coscienza che ha di sé e della missione affidatagli; ma
qui, in questo severo e tormentato dibattito con se
stesso, vediamo quanto sia profonda la sua umiltà
dinanzi ai supremi ideali in cui crede. L'Impero e la
Chiesa si levano giganteschi davanti a lui nelle
persone: Enea e di San Paolo, a testimoniargli la
provvidenzialità del corso della storia. Di fronte a
questi due fulcri della volontà di Dio in terra, il
Poeta ha vivo il sentimento della sua umana piccolezza. |
34 |
Per che, se
del venire io m'abbandono,
temo che la venuta non sia folle.
Se' savio; intendi me' ch'i' non ragiono». |
|
34 |
Perciò,
se, per quel che riguarda questo viaggio, m’induco ad
acconsentire, temo che la mia venuta (nell’oltretomba)
sia temeraria: sei saggio; sei in grado di comprendere
meglio di quanto io non sia in grado di esprimermi. |
37 |
E qual è
quei che disvuol ciò che volle
e per novi pensier cangia proposta,
sì che dal cominciar tutto si tolle, |
|
37 |
E nello
stato d’animo di chi cessa di volere ciò che ha voluto
prima e cambia intento per il sopraggiungere di nuovi
pensieri, in modo da scostarsi dal proposito iniziale, |
40 |
tal mi fec'
ïo 'n quella oscura costa,
perché, pensando, consumai la 'mpresa
che fu nel cominciar cotanto tosta. |
|
40 |
venni a
trovarmi io su quel buio pendio (e scesa nel frattempo
la notte), perché portai a termine, col pensiero (
prevedendone tutti gli ostacoli e rendendomi conto della
sua folle temerarietà), l’impresa cui mi ero accinto con
tanta baldanza. |
|
Il
paragone, volto a illustrare uno stato d'animo, senza
avere l'ampiezza di risonanze della similitudine del
naufrago del primo canto, è condotto con "energia
nervosa ", cui "conferisce l'evidenza d'una scena
drammatica lo scenario interposto, tal mi fec'io in
quella oscura costa" (Momigliano). |
43 |
«S'i' ho ben
la parola tua intesa»,
rispuose del magnanimo quell' ombra,
«l'anima tua è da viltade offesa; |
|
43 |
"Se ho
capito bene il tuo discorso" rispose l’ombra di
Virgilio, "il tuo animo è fiaccato dalla pusillanimità: |
|
Magnanimo:
si contrappone alla viltate del verso 45: "Sempre lo
magnanimo si magnifica in suo cuore, e così lo
pusillanime, per contrario, sempre si tiene meno che non
e" (Convivio I, XI, 18). |
46 |
la qual
molte fïate l'omo ingombra
sì che d'onrata impresa lo rivolve,
come falso veder bestia quand' ombra. |
|
46 |
essa molte
volte ostacola l’uomo tanto da allontanarlo da
un’impresa onorata, così come una ingannevole apparenza
fa volgere indietro una bestia quando si adombra. |
49 |
Da questa
tema acciò che tu ti solve,
dirotti perch' io venni e quel ch'io 'ntesi
nel primo punto che di te mi dolve. |
|
49 |
Perché tu
ti liberi da questo timore, ti esporrò il motivo per cui
sono venuto (in tuo aiuto) e ciò che udii quando per la
prima volta sentii pietà per il tuo stato. |
52 |
Io era tra
color che son sospesi,
e donna mi chiamò beata e bella,
tal che di comandare io la richiesi. |
|
52 |
Mi trovavo
(nel limbo) tra coloro che sono in una condizione
intermedia tra i beati e i dannati al fuoco eterno,
quando fui chiamato da una donna di tale bellezza e
soffusa di tanta letizia, da essere indotto a pregarla
di comandare. |
|
I critici
hanno variamente insistito sugli aspetti che ricollegano
l'apparizione di Beatrice a Virgilio in questo canto ai
modi in cui la figura di Beatrice è presentata nella
Vita Nova, lo scritto giovanile con cui Dante ha
celebrato le virtù della donna amata. Per il Sapegno
tutta l'intonazione dell'episodio riflette quel
"misticismo amoroso" che aveva trovato in Dante il suo
più sicuro interprete, nell'ambito della scuola poetica
del dolce stil novo. Il Momigliano nota anch'egli la
"continuità ideale e artistica" fra la Vita Nova e la
Commedia, rilevando in questo episodio maggiore maturità
e sicurezza d'impianto rispetto agli scritti giovanili. |
55 |
Lucevan li
occhi suoi più che la stella;
e cominciommi a dir soave e piana,
con angelica voce, in sua favella: |
|
55 |
La luce
dei suoi occhi vinceva quella delle stelle; e cominciò a
parlarmi dolcemente e pacatamente, con voce d’angelo: |
58 |
"O anima
cortese mantoana,
di cui la fama ancor nel mondo dura,
e durerà quanto 'l mondo lontana, |
|
58 |
"O cortese
anima mantovana, la cui fama dura ancora fra gli uomini,
ed è destinata a durare tanto a lungo quanto durerà il
mondo, |
61 |
l'amico mio,
e non de la ventura,
ne la diserta piaggia è impedito
sì nel cammin, che vòlt' è per paura; |
|
61 |
colui che
è amato da me, ma non dalla sorte, ha trovato tali
ostacoli sul deserto pendio del colle, che si è già
volto indietro per la paura; |
64 |
e temo che
non sia già sì smarrito,
ch'io mi sia tardi al soccorso levata,
per quel ch'i' ho di lui nel cielo udito. |
|
64 |
il mio
timore è che egli si sia a tal punto nuovamente perduto
(nel buio del peccato), da rendere ormai tardivo (e
quindi inutile) il mio aiuto, per quel che di lui mi è
stato riferito in cielo. |
|
Alcuni
credono che con l'espressione l'amico mio Beatrice
intenda accennare all'amore di Dante per lei, anziché a
quello suo per Dante. Questa interpretazione
concorderebbe con quella di un antico commentatore che
insiste sul senso allegorico: ''molti amano Beatrice,
cioè la dottrina delle cose divine, non per lei né per
aver quella, ma per acquistarne fama e reputazione
mondana e ricchezze e dignità, le quali cose son beni di
fortuna" (Buti). |
67 |
Or movi, e
con la tua parola ornata
e con ciò c'ha mestieri al suo campare,
l'aiuta sì ch'i' ne sia consolata. |
|
67 |
Va dunque,
e aiutalo sia con la tua eloquenza sia con tutto ciò che
altrimenti occorra per la sua salvezza, in modo da
rendermi contenta. |
70 |
I' son
Beatrice che ti faccio andare;
vegno del loco ove tornar disio;
amor mi mosse, che mi fa parlare. |
|
70 |
Io, che ti
invito ad andare, sono Beatrice; vengo dal cielo, dove
desidero tornare; sono stata spinta (fin qui) da amore e
amore ha ispirato le mie parole. |
|
Il termine
"amore", ha qui una grande complessità di significati. "È'
l'amore di Beatrice per il suo fedele; ma anche l'Amore
inteso nel suo valore assoluto, cioè Dio, da cui deriva
ogni impulso caritatevole."(Sapegno) |
73 |
Quando sarò
dinanzi al segnor mio,
di te mi loderò sovente a lui".
Tacette allora, e poi comincia' io: |
|
73 |
Quando
sarò davanti a Dio, spesso Gli parlerò degnamente di
te." Allora tacque, e poi io cominciai: |
76 |
"O donna di
virtù sola per cui
l'umana spezie eccede ogne contento
di quel ciel c'ha minor li cerchi sui, |
|
76 |
"O signora
di virtù, per la quale virtù soltanto il genere umano è
superiore ad ogni altro essere contenuto dal cielo
(quello della Luna) che compie (nel suo moto di
rotazione intorno alla terra) i giri più piccoli, |
|
Di quel
ciel c'ha minor li cerchi sui:
secondo il sistema tolemaico, nove cieli concentrici
girano intorno alla terra, che viene quindi a trovarsi
come contenuta in essi. Il più basso e quindi il più
piccolo (e il più vicino alla terra) è il cielo della
Luna. |
79 |
tanto
m'aggrada il tuo comandamento,
che l'ubidir, se già fosse, m'è tardi;
più non t'è uo' ch'aprirmi il tuo talento. |
|
79 |
il tuo
comando mi è così gradito, che, se anche avessi iniziato
ad obbedirti, mi sembrerebbe pur sempre d’aver fatto
tardi; più non occorre che tu mi manifesti: il tuo
volere. |
82 |
Ma dimmi la
cagion che non ti guardi
de lo scender qua giuso in questo centro
de l'ampio loco ove tornar tu ardi". |
|
82 |
Dimmi
piuttosto il motivo per cui non temi di scendere qua in
basso, nel centro dell’universo (occupato appunto
dall’inferno), dal luogo sconfinato (l’Empireo), dove
bruci dal desiderio di ritornare." |
85 |
"Da che tu
vuo' saver cotanto a dentro,
dirotti brievemente", mi rispuose,
"perch' i' non temo di venir qua entro. |
|
85 |
"Poiché
vuoi penetrare tanto in profondità con la tua mente, ti
dirò in breve perché non temo di scendere nell’inferno"
mi rispose. |
88 |
Temer si dee
di sole quelle cose
c'hanno potenza di fare altrui male;
de l'altre no, ché non son paurose. |
|
88 |
Conviene
temere soltanto quelle cose che possono arrecare danno;
le altre no, poiché non sono temibili. |
|
Il
Boccaccio, riportandosi a un passo dell'Etica di
Aristotile, afferma: "il non temer le cose che possono
nuocere... è atto di bestiale e di temerario uomo; e
così temere quelle che nuocere non possono... è atto di
vilissimo uomo..."
Questa così ovvia risposta di Beatrice - sarebbe
sufficiente alla domanda di Virgilio. "Ma Beatrice ha
compreso che Virgilio desidera sapere la ragione
personale, intima, della improvvisa e affatto
straordinaria discesa di lei, non già di udire una
sentenza filosofica." (Torraca) |
91 |
I' son fatta
da Dio, sua mercé, tale,
che la vostra miseria non mi tange,
né fiamma d'esto 'ncendio non m'assale. |
|
91 |
Dio mi
creò, per sua grazia,tale che la vostra miseria di
peccatori non mi tocca, né possono attaccarmi le fiamme
infernali. |
|
In queste
parole di Beatrice "non c'è disprezzo per la miseria e
l'incendio... che travaglia i dannati, ma il senso di
una pace, di una felicità sicura, di un distacco
ineffabile dal mondo e dalla materia... e nello stesso
tempo il candore della creatura celestiale, trionfante
con tanta semplicità e umiltà (Chimenz). |
94 |
Donna è
gentil nel ciel che si compiange
di questo 'mpedimento ov' io ti mando,
sì che duro giudicio là sù frange. |
|
94 |
Nel cielo
una donna gentile (la Vergine) ha compassione per queste
difficoltà verso le quali io ti mando (a liberare
Dante), tanto da mitigare la severità della giustizia
divina. |
97 |
Questa
chiese Lucia in suo dimando
e disse: - Or ha bisogno il tuo fedele
di te, e io a te lo raccomando -. |
|
97 |
Questa chiamò Lucia e
disse: "Il tuo fedele ha ora bisogno di te, ed io a te
lo raccomando". |
|
Lucia:
martire siracusana, protettrice della vista, simboleggia
la Grazia illuminante; forse Dante le fu particolarmente
devoto in seguito ad una malattia degli occhi di cui
ebbe a soffrire (Convivio III, IX, 15-16). |
100 |
Lucia,
nimica di ciascun crudele,
si mosse, e venne al loco dov' i' era,
che mi sedea con l'antica Rachele. |
|
100 |
Lucia, nemica di ogni
crudeltà, si mosse, e venne dove io sedevo insieme
all’antica Rachele. |
|
Rachele:
personaggio dell'Antico Testamento, nel Medioevo
simboleggia la vita contemplativa ed è perciò posta
accanto a Beatrice, simbolo della teologia. |
103 |
Disse: -
Beatrice, loda di Dio vera,
ché non soccorri quei che t'amò tanto,
ch'uscì per te de la volgare schiera? |
|
103 |
Parlò: -
Beatrice, vera gloria di Dio (loda: lode, in quanto la
sua perfezione torna a gloria di chi la creò), perché
non aiuti chi tanto ti amò, colui che, per amor tuo,
seppe elevarsi sulla turba dei mediocri? |
|
Beatrice,
loda di Dio vera:
il senso di questa espressione così concisa si chiarisce
attraverso una pagina della Vita Nova, ove è scritto che
la gente, dopo aver visto Beatrice, ringrazia il Signore
per la perfezione delle sue creature: "Questa è una
maraviglia; che benedetto sia lo Segnore, che sì
mirabilmente sae adoperare!" (XXVI).
Ch'uscì per te della volgare schiera:
Dante è consapevole di essere riuscito, per altezza di
poesia, per coerenza di vita morale, per sicurezza di
dottrina. a sollevarsi al disopra dei suoi
contemporanei. Questo verso può riferirsi "sia al bello
stile che ha fatto onore a Dante cantando di Beatrice,
sia alla superiorità spirituale sopra la gente volgare,
raggiunta dal Poeta in virtù del suo amore" (Chimenz). |
106 |
Non odi tu
la pieta del suo pianto,
non vedi tu la morte che 'l combatte
su la fiumana ove 'l mar non ha vanto? -. |
|
106 |
non odi il
suo pianto angoscioso? non vedi il pericolo della
dannazione che lo assale sul fiume (del peccato), sul
quale il mare non può vantare la sua forza? |
|
La fiumana
ove 'l mar non ha vanto:
nella fiumana dobbiamo vedere lo scorrere della vita
dell'uomo nel peccato e nel male. Una interpretazione
diversa è stata avanzata dal Pagliaro, il quale,
accertato che ove può avere soltanto il significato di
"nel luogo in cui", ricostruisce così il senso della
metafora: "Dante è in pericolo come colui che si trova
su una fiumana, nel punto in cui questa si incontra col
mare, e il mare non riesce a vincerla". In questa
interpretazione, l'immagine, circoscritta al senso
letterale, non richiede l'aggiunta di un sovrassenso. |
109 |
Al mondo non
fur mai persone ratte
a far lor pro o a fuggir lor danno,
com' io, dopo cotai parole fatte, |
|
109 |
Sulla
terra non ci furono mai persone così pronte a perseguire
il loro utile e a evitare ciò che potesse danneggiarle,
come fui pronta io, dopo che tali parole mi furono
dette, |
112 |
venni qua
giù del mio beato scanno,
fidandomi del tuo parlare onesto,
ch'onora te e quei ch'udito l'hanno". |
|
112 |
nello
scendere fin quaggiù dal mio seggio di beata, confidando
nella tua nobile eloquenza, che onora sia te sia quelli
che l’hanno intesa (traendone profitto spirituale)." |
115 |
Poscia che
m'ebbe ragionato questo,
li occhi lucenti lagrimando volse,
per che mi fece del venir più presto. |
|
115 |
Dopo
avermi dette queste cose, volse verso di me gli occhi
lucidi di lagrime; e per questo mi rese più sollecito a
venire (dove tu eri); |
|
La figura
di Beatrice in lagrime suggerisce al Boccaccio questo
commento: "atto d'amante e massimamente di donna; le
quali, come hanno pregato d'alcuna cosa la quale
desiderino, incontanente lagrimano, mostrando in quello
il desiderio loro essere ardentissimo". Beatrice ha qui
un contorno luminoso e celestiale, senza tuttavia nulla
perdere della trepidazione di una donna che ama. C'è in
tutto il suo discorso "una linea pura, la semplicità di
una sfera remota dal mondo" (Momigliano).
Nel suo saggio su Dante il Croce sembra voler suggerire
una ideale collocazione di Beatrice quale appare in
questo "prologo in cielo", accanto alle grandi eroine
della letteratura mondiale, allorché osserva: "Beatrice
è ora veramente l'eterno femminile, la pietà, la
sollecitudine quasi materna, con alcunché di molle e di
amoroso, una santa, e pur sempre una donna bella, che in
qualche modo gli appartenne e fu di lui solo, di lui suo
cantore, che la celebrò viva e morta". |
118 |
E venni a te
così com' ella volse:
d'inanzi a quella fiera ti levai
che del bel monte il corto andar ti tolse. |
|
118 |
e come
Beatrice volle venni da te; ti portai via dal cospetto
della lupa, che t’aveva impedito di raggiungere per la
via più breve la cima del colle. |
121 |
Dunque: che
è? perché, perché restai,
perché tanta viltà nel core allette,
perché ardire e franchezza non hai,
|
|
121 |
Che hai
dunque? perché, perché indugi ? perché accogli in cuore
tanta pusillanimità? perché non hai coraggio e schietta
fiducia in te stesso? |
124 |
poscia che
tai tre donne benedette
curan di te ne la corte del cielo,
e 'l mio parlar tanto ben ti promette?». |
|
124 |
dal
momento che tre beate tanto potenti perorano la tua
causa davanti al tribunale di Dio, e che le mie parole
promettono (al tuo viaggio) un esito così felice?" |
127 |
Quali
fioretti dal notturno gelo
chinati e chiusi, poi che 'l sol li 'mbianca,
si drizzan tutti aperti in loro stelo, |
|
127 |
Come i
gracili fiori, prostrati a terra con le corolle serrate
per difendersi dal freddo della notte, appena li
rischiara all’alba il primo raggio di sole si ergono sui
loro steli con le corolle tutte aperte, |
130 |
tal mi fec'
io di mia virtude stanca,
e tanto buono ardire al cor mi corse,
ch'i' cominciai come persona franca: |
|
130 |
così mi
ripresi dal mio precedente stato di abbattimento, e
tanto coraggio entrò nel mio animo, che cominciai (a
parlare) libero da ogni timore: |
|
Quali i
fioretti...:
la similitudine riflette, attraverso un particolare
aspetto della natura all'alba. il progressivo ritorno
della fiducia (buono ardire) nel cuore di Dante. La
preziosa sostanza dell'immagine, il delicato atteggiarsi
dei fioretti, il senso di fragilità che c'è nel loro
risveglio, propongono un confronto tra l'arte di Dante e
la grande tradizione figurativa del Trecento.
C'è in questa similitudine qualcosa che attesta... una
malattia solo da poco decisamente superata: Dante puo
ben paragonarsi a un convalescente. Guardate quei fiori:
sono gracili, teneri fiori, sono soltanto fioretti: e il
primo sole, che i color vari suscita dovunque si riposa,
non fa che imbiancarli solamente, quasi non fossero ben
capaci ancora di sopportare l'intensità dei loro colori;
torna lo slancio vitale e si manifesta in quell'aprirsi,
dilatarsi tutta, avidamente, della corolla, come a
inebriarsi della luce del nuovo giorno, quasi di una
nuova vita... (Chimenz) |
133 |
«Oh pietosa
colei che mi soccorse!
e te cortese ch'ubidisti tosto
a le vere parole che ti porse! |
|
133 |
"Oh
misericordiosa colei che mi venne in aiuto! e te
generoso, che non hai tardato a prestare obbedienza alle
veritiere parole che ti indirizzo! |
136 |
Tu m'hai con
disiderio il cor disposto
sì al venir con le parole tue,
ch'i' son tornato nel primo proposto. |
|
136 |
Col tuo
ragionamento mi hai a tal punto predisposto l’animo con
desiderio al viaggio, che sono tornato ad avere
l’intenzione che avevo in origine. |
139 |
Or va, ch'un
sol volere è d'ambedue:
tu duca, tu segnore e tu maestro».
Così li dissi; e poi che mosso fue, |
|
139 |
Incamminati dunque, poiché un’unica volontà ci governa:
siimi guida, padrone, maestro. " Cosi parlai; ed
essendosi egli avviato, |
142 |
intrai per
lo cammino alto e silvestro. |
|
142 |
entrai
(dietro a lui) nell’arduo e orrido cammino. |
|
|
|
|
|