1 |
Taciti,
soli, sanza compagnia
n'andavam l'un dinanzi e l'altro dopo,
come frati minor vanno per via. |
|
1 |
Silenziosi, soli, non più accompagnati
(dai diavoli) procedevamo l’uno davanti all’altro, come
i francescani camminano per la strada. |
|
Dopo la fortissima animazione dei due canti precedenti,
tutti risolti in movimento e contrapposizione di masse,
l’inizio del XXIII propone il tema del silenzio e della
meditazione. L’andatura lenta dei due poeti si riflette
anche nella scansione ritmica del primo verso, mentre il
paragone con i frati minor suggerisce l’atmosfera
claustrale che caratterizzerà la bolgia degli ipocriti.
Il primo verso, "grave, ci dà il senso di smarrimento e
di soggezione dei due poeti di fronte al soprannaturale
che li circonda" (Malagoli), il secondo ribadisce
l’isolamento in cui ciascuno di loro si trova: Dante e
Virgilio avanzano probabilmente anche qui, come
all’inizio dei canto X, per un secreto calle, che
impedisce loro di procedere affiancati. |
4 |
Vòlt' era in
su la favola d'Isopo
lo mio pensier per la presente rissa,
dov' el parlò de la rana e del topo; |
|
4 |
A causa della recente
zuffa il mio pensiero era rivolto alla favola di Esopo,
nella quale egli narra della rana e del topo; |
7 |
ché più non
si pareggia 'mo' e 'issa'
che l'un con l'altro fa, se ben s'accoppia
principio e fine con la mente fissa. |
|
7 |
poiché "ora" e "adesso"
non sono più uguali, di quanto non lo siano la favola e
la zuffa, se si confrontano con attenzione l’inizio e la
fine. |
|
La citazione di Esopo non ha carattere dotto, ma
popolare. Nel Medioevo le favole esopiche erano molto
conosciute attraverso volgarizzamenti e rielaborazioni
del testo latino di Fedro. La favola alla quale Dante
paragona la rissa che ha avuto come protagonisti
Alichino e Calcabrina narra di una rana che, per far
attraversare ad un topo un corso d’acqua, lo persuase a
legarsi a lei. Giunti a metà cammino, la rana cominciò
ad immergersi, volendo far affogare il topo. In quell’istante
sopraggiunse un nibbio, che li ghermi entrambi. Come la
rana, Calcabrina era accorso in apparenza per porgere
aiuto ad Alichino, in realtà per azzuffarsi con lui, e
come il nibbio della favola la pece bollente aveva posto
fine alla loro contesa (XXII, verso 142). "Certamente il
rapporto tra la favoletta e la disavventura dei due
diavoli è calzante; anzi, come avverte il Poeta, il
raffronto del principio e della fine dei due casi; ma
più della corrispondenza di contenuto alla fantasia
dell’artista si imponeva quella storia di animali tra i
meno nobili... anche nella tradizione favolistica, per
la sua concordanza con la trascrizione caricaturale del
mondo demoniaco attuata nei due canti precedenti." (Bonora) |
10 |
E come l'un
pensier de l'altro scoppia,
così nacque di quello un altro poi,
che la prima paura mi fé doppia. |
|
10 |
E come un pensiero scaturisce
all’improvviso dall’altro, così da quello ne venne fuori
in un secondo tempo un altro, che raddoppiò in me la
paura di prima. |
|
La situazione drammatica prospettata dal Poeta in questo
inizio di canto è soltanto immaginata. Il silenzio e la
solitudine accrescono in Dante la paura. Non è tanto su
questa che egli ferma la sua attenzione, quanto sulle
modalità del suo determinarsi. Opportunamente osserva il
Sanguineti: "Dalla intensa azione del ludo, dal suo
colore aperto di spettacolo e di dramma, l’inizio del
canto conduce... alle sole figure della coscienza: il
dramma ora è primamente un dramma mentale". Testimonia
di questa attenzione volta alle operazioni
dell’intelletto, al modo in cui il pensiero prende forma
e si lega ad un pensiero precedente, la precisione dei
linguaggio, denunziata, fra l’altro, dal singolare
impiego di avverbi altrimenti consueti come mo e íssa,
da quello di sostantivi astratti, considerati nel loro
distinguersi o contrapporsi reciproco (l’un con
l’altro... principio e fine), e di verbi che indicano un
massimo di genericità (la) o processi nei quali questo
distinguersi e questo contrapporsi si fondono
(s’accoppia, cui corrisponde, messa in forte rilievo
dalla rima, la determinazione esatta, quantitativa, di
un sentimento: fe’ doppia). |
13 |
Io pensava
così: «Questi per noi
sono scherniti con danno e con beffa
sì fatta, ch'assai credo che lor nòi. |
|
13 |
Io ragionavo in questo modo: "Costoro sono stati per
causa nostra derisi con tale danno e tale scorno, che
ritengo che a loro rincresca grandemente. |
16 |
Se l'ira
sovra 'l mal voler s'aggueffa,
ei ne verranno dietro più crudeli
che 'l cane a quella lievre ch'elli acceffa». |
|
16 |
Se l’ira si aggiunge alla
cattiveria, essi ci inseguiranno più inferociti del cane
nei confronti della lepre che addenta. |
19 |
Già mi
sentia tutti arricciar li peli
de la paura e stava in dietro intento,
quand' io dissi: «Maestro, se non celi |
|
19 |
Sentivo già
arricciarmisi tutti i peli per lo spavento, e volgevo
attento lo sguardo indietro, allorché dissi: "Maestro,
se non nascondi |
22 |
te e me
tostamente, i' ho pavento
d'i Malebranche. Noi li avem già dietro;
io li 'magino sì, che già li sento». |
|
22 |
rapidamente te e me, io ho paura dei Malebranche: li
abbiamo già alle nostre spalle: li vedo a tal punto con
l’immaginazione, che già li sento (dietro di noi)". |
25 |
E quei:
«S'i' fossi di piombato vetro,
l'imagine di fuor tua non trarrei
più tosto a me, che quella dentro 'mpetro. |
|
25 |
E Virgilio: "Se fossi uno specchio, non rifletterei più
rapidamente la tua immagine esterna, di quanto ora
imprimo in me la tua immagine interna. |
|
Osservazioni, analoghe a quelle sopra riportate a
proposito del linguaggio astratto e preciso con il quale
Dante definisce l’insorgere in lui della paura (soltanto
nell’immagine del cane che ghiermisce la lepre e in
quella, immediatamente successiva, dei peli che gli si
"arricciano", quasi egli fosse, come ha notato il
Momigliano, un cinghiale, una selvaggina inseguita, la
paura trova una sua espressione diretta) possono farsi a
proposito di questa risposta di Virgilio. Scrive il
Mattalia: "Nemmeno in questa circostanza Virgilio vien
meno al suo stile di poeta-filosofo amante della più
calibrata precisione tecnica: Dante aveva parlato di "
immaginazione ", e Virgilio riprende il vocabolo
risolvendolo nel significato di figura o immagine, e
svolgendolo nella chiave comparativa dello specchio che
riflette le immagini". |
28 |
Pur mo
venieno i tuo' pensier tra ' miei,
con simile atto e con simile faccia,
sì che d'intrambi un sol consiglio fei. |
|
28 |
Proprio ora i tuoi
pensieri raggiungevano i miei, col medesimo
atteggiamento e con il medesimo aspetto dei miei, in
modo che dagli uni e dagli altri ho tratto una sola
risoluzione. |
31 |
S'elli è che
sì la destra costa giaccia,
che noi possiam ne l'altra bolgia scendere,
noi fuggirem l'imaginata caccia». |
|
31 |
Se si dà il caso che la
parete a destra abbia una così scarsa pendenza, che noi
possiamo scendere nell’altra bolgia (la sesta),
sfuggiremo all’inseguimento temuto". |
34 |
Già non
compié di tal consiglio rendere,
ch'io li vidi venir con l'ali tese
non molto lungi, per volerne prendere. |
|
34 |
Non finì neppure di
manifestare tale proposito, che io li vidi
sopraggiungere non molto lontani da noi con le ali
spiegate, per volerci ghermire. |
37 |
Lo duca mio
di sùbito mi prese,
come la madre ch'al romore è desta
e vede presso a sé le fiamme accese, |
|
37 |
Virgilio mi afferrò
immediatamente, come la madre che si sveglia al
frastuono, e vede accanto a sé le fiamme ardenti, |
40 |
che prende
il figlio e fugge e non s'arresta,
avendo più di lui che di sé cura,
tanto che solo una camiscia vesta; |
|
40 |
la quale afferra il figlio
e fugge e, avendo più cura di lui che di se stessa, non
si ferma neppure quel poco tempo necessario ad indossare
una camicia; |
43 |
e giù dal
collo de la ripa dura
supin si diede a la pendente roccia,
che l'un de' lati a l'altra bolgia tura. |
|
43 |
e dalla sommità
dell’argine pietroso si lasciò scivolare sul dorso lungo
la parete scoscesa, che chiude uno dei lati dell’altra
bolgia. |
|
L’affetto della madre che, incurante delle fiamme, pensa
soltanto a porre in salvo il figlio, è messo in forte
rilievo dal susseguirsi incalzante delle coordinate. Le
similitudini in Dante fanno talvolta quadro a sé.
isolandosi dal contesto narrativo. "Ma non è questo il
caso del paragone della madre che, pur assumendo un
forte rilievo tra gli altri versi, non si stacca dal
resto, non interrompe il movimento della prima parte del
canto. Anzi accelera e conclude il racconto della fuga
con la sua concitazione." (Bonora) |
46 |
Non corse
mai sì tosto acqua per doccia
a volger ruota di molin terragno,
quand' ella più verso le pale approccia, |
|
46 |
L’acqua non corse mai così
velocemente attraverso un condotto per far girare la
ruota di un mulino costruito sulla terraferma, nel punto
in cui essa maggiormente si avvicina alle pale, |
49 |
come 'l
maestro mio per quel vivagno,
portandosene me sovra 'l suo petto,
come suo figlio, non come compagno. |
|
49 |
come Virgilio su quella
parete dell’argine, mentre mi portava tenendomi, sul
petto, come se fossi stato suo figlio, non un compagno. |
|
Alla similitudine della madre, così ricca di contenuto
umano, segue una similitudine volta a determinare
soltanto la velocità con la quale Virgilio scende lungo
la scarpata che porta al fondo della sesta bolgia.
In essa la tinta patetica cede momentaneamente di fronte
alla nuda vìolenza della figurazione rapinosamente
incisiva" (Sanguineti). |
52 |
A pena fuoro
i piè suoi giunti al letto
del fondo giù, ch'e' furon in sul colle
sovresso noi; ma non lì era sospetto: |
|
52 |
Appena i suoi piedi
raggiunsero la superficie del fondo della bolgia, essi
furono sulla sommità dell’argine sopra di noi; ma non vi
era più motivo di temere, |
55 |
ché l'alta
provedenza che lor volle
porre ministri de la fossa quinta,
poder di partirs' indi a tutti tolle. |
|
55 |
poiché la divina
provvidenza che volle porli quali esecutori dei suoi
decreti nella quinta bolgia, toglie a tutti loro la
possibilità di allontanarsi di lì. |
58 |
Là giù
trovammo una gente dipinta
che giva intorno assai con lenti passi,
piangendo e nel sembiante stanca e vinta. |
|
58 |
Laggiù incontrammo una
moltitudine dipinta che andava intorno con passi
lentissimi, lacrimando e stanca e affranta nell’aspetto. |
|
L’attributo dipinta, per ora non meglio specificato, si
riferisce alle cappe dorate che coprono i dannati di
questa bolgia: gli ipocriti. Ma, usato in questa terzina
in modo assoluto, caratterizza più che altro in senso
morale questi peccatori, suggerendo l’idea della
falsità, dell’apparenza brillante sotto la quale si cela
uno squallore profondo. Riprende, a partire da questa
terzina, il motivo accennato nell’immagine dei frati
minor, con la quale il canto si apre. "Ma è pur vero -
scrive il Bonora - che il motivo annunziato al principio
del canto, in tutta la prima parte, sino alla fuga dei
due poeti, è soggetto alle complesse variazioni della
situazione drammatica. All’apparire degli ipocriti
invece il motivo del silenzio claustrale domina
ininterrotto." |
61 |
Elli avean
cappe con cappucci bassi
dinanzi a li occhi, fatte de la taglia
che in Clugnì per li monaci fassi. |
|
61 |
Questi dannati indossavano
cappe con i cappucci abbassati davanti agli occhi, fatte
nel modo in cui si fanno a Cluny per i monaci. |
64 |
Di fuor
dorate son, sì ch'elli abbaglia;
ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,
che Federigo le mettea di paglia. |
|
64 |
Esternamente sono dorate
tanto da abbagliare; ma dentro sono completamente di
piombo, e così pesanti, che (al confronto) Federico Il
le faceva indossare di paglia. |
|
Le cappe degli ipocriti somigliano a quelle, molto
ampie, indossate dai benedettini del monastero di Cluny,
in Borgogna. Il loro peso è tale - precisa il Poeta con
un’iperbole che si colora di sarcasmo - che quello delle
cappe di piombo fatte indossare da Federico Il ai rei di
lesa maestà appare, al confronto, irrisorio.Secondo una
leggenda che ebbe vasta diffusione negli ambienti guelfi
l’imperatore Federico II faceva morire i colpevoli di
lesa maestà sul fuoco, dopo averli fatti rivestire di
cappe di piombo.La pena degli ipocriti è stata
probabilmente suggerita a Dante dalla strana etimologia
proposta per il termine ipocrita da Uguccione da Pisa,
nelle sue Magnae Derivationes: ipocrita si dice da yper,
che significa " sopra ", e da crisis, che significa "
oro ", quasi " sopradorato ", poiché nella superficie e
di fuori sembra buono, mentre internamente è cattivo;
oppure da ypo, che significa " sotto " e da crisis che
significa " oro ", quasi avente qualcosa " sotto l’oro
". Per quel che si riferisce al significato morale
adombrato nel contrasto tra lo sfavillare dell’oro che
ricopre le cappe degli ipocriti e l’opacità del piombo,
di cui sono fatte, Dante ha probabilmente tenuto
presente un passo del vangelo di Matteo (XXIII, 27-28),
in cui gli Scribi e i Farisei, definiti ipocriti, sono
paragonati a sepolcri imbiancati, belli esteriormente,
ma pieni all’interno di ossa e di sudiciume. |
67 |
Oh in
etterno faticoso manto!
Noi ci volgemmo ancor pur a man manca
con loro insieme, intenti al tristo pianto; |
|
67 |
Oh veste opprimente per
l’eternità! Noi ci dirigemmo ancora, come al solito,
verso sinistra nella stessa direzione di quei dannati,
osservandone il pianto sconsolato; |
70 |
ma per lo
peso quella gente stanca
venìa sì pian, che noi eravam nuovi
di compagnia ad ogne mover d'anca. |
|
70 |
ma a causa del peso quella
moltitudine sfinita avanzava così lentamente, che noi
avevamo nuovi compagni ad ogni passo. |
73 |
Per ch'io al
duca mio: «Fa che tu trovi
alcun ch'al fatto o al nome si conosca,
e li occhi, sì andando, intorno movi». |
|
73 |
Perciò dissi a Virgilio:
"Cerca di trovare qualcuno che sia famoso per le sue
azioni o per il suo nome, e, continuando a camminare
così, volgi lo sguardo intorno a te". |
76 |
E un che 'ntese
la parola tosca,
di retro a noi gridò: «Tenete i piedi,
voi che correte sì per l'aura fosca! |
|
76 |
E uno, che udì il parlare
toscano, gridò dietro di noi: "Fermatevi, voi che
avanzate così veloci nell’aria buia! |
|
Esatta la seguente osservazione del Biondolillo: "Il
dannato, misurando le distanze alla stregua dell’estrema
lentezza de’ propri movimenti... sente il bisogno di "
gridare " (e l’accento percuote fortemente su gridò)
quasi che essi non possano udirlo, e giudica un "
correre " quello che per Dante era un " muover d’anca ",
un camminare a passi lentissimi e regolari". |
79 |
Forse
ch'avrai da me quel che tu chiedi».
Onde 'l duca si volse e disse: «Aspetta,
e poi secondo il suo passo procedi». |
|
79 |
Forse otterrai da me
quello che domandi". Perciò Virgilio si voltò e disse:
"Attendi, e poi avanza col suo passo". |
82 |
Ristetti, e
vidi due mostrar gran fretta
de l'animo, col viso, d'esser meco;
ma tardavali 'l carco e la via stretta. |
|
82 |
Sostai, e vidi due che,
con l’espressione del volto, mostravano una grande ansia
di essere con me; ma il peso e l’angusto cammino li
rendevano lenti. |
85 |
Quando fuor
giunti, assai con l'occhio bieco
mi rimiraron sanza far parola;
poi si volsero in sé, e dicean seco: |
|
85 |
Quando furono arrivati, mi
osservarono a lungo con sguardo obliquo senza parlare;
quindi si rivolsero l’uno verso l’altro, dicendo fra
loro: |
88 |
«Costui par
vivo a l'atto de la gola;
e s'e' son morti, per qual privilegio
vanno scoperti de la grave stola?». |
|
88 |
"Questo sembra vivo dal
movimento della gola (perché respira); e se invece sono
morti, per quale privilegio avanzano privi della pesante
cappa?" |
|
I pesanti cappucci di piombo non consentono agli
ipocriti di volgere la testa; perciò essi sono
costretti, per osservare Dante che si trova al loro
fianco, a guardarlo di traverso. Ma lo sguardo obliquo,
non meno del loro silenzio del successivo confabulare
fra loro, esprime quella che è la loro indole. |
91 |
Poi disser
me: «O Tosco, ch'al collegio
de l'ipocriti tristi se' venuto,
dir chi tu se' non avere in dispregio». |
|
91 |
Poi mi dissero: "O
Toscano, che sei giunto al raduno dei tristi ipocriti,
non disdegnare di dire chi sei". |
94 |
E io a loro:
«I' fui nato e cresciuto
sovra 'l bel fiume d'Arno a la gran villa,
e son col corpo ch'i' ho sempre avuto. |
|
94 |
E io a costoro: "Nacqui e
fui allevato nella grande città sulle rive del bel fiume
Arno, e mi trovo qui col corpo che ho sempre avuto. |
97 |
Ma voi chi
siete, a cui tanto distilla
quant' i' veggio dolor giù per le guance?
e che pena è in voi che sì sfavilla?». |
|
97 |
Ma chi siete
voi, ai quali tante lagrime quante ne vedo scendono
copiose lungo le gote? e quale castigo è il vostro, che
brilla in tal modo?" |
100 |
E l'un
rispuose a me: «Le cappe rance
son di piombo sì grosse, che li pesi
fan così cigolar le lor bilance. |
|
100 |
E uno di loro
mi rispose: "Le cappe dorate sono di piombo così spesso,
che i pesi fanno in tal modo gemere le loro bilance. |
|
L’insistenza sul dato fisico, assunto nella sua evidenza
più cruda, ripropone in questo canto alcune soluzioni
già prospettate nel canto XVI e culmina nella
similitudine che trasforma, dietro la suggestione del
termine pesi, i dannati della sesta bolgia in bilance.
Questa immagine richiama quella della rota (canto XVI,
versi 21-24), senza tuttavia riscattarsi in una
prospettiva umana. |
103 |
Frati
godenti fummo, e bolognesi;
io Catalano e questi Loderingo
nomati, e da tua terra insieme presi |
|
103 |
Fummo frati Gaudenti, e
bolognesi; chiamati io Catalano e questo Loderingo, e
scelti entrambi dalla tua città, |
106 |
come suole
esser tolto un uom solingo,
per conservar sua pace; e fummo tali,
ch'ancor si pare intorno dal Gardingo». |
|
106 |
come è usanza che sia
scelto un uomo solo per salvaguardarne la pace; e il
nostro comportamento fu tale, che le conseguenze sono
ancora visibili tutt’intorno al Gardingo". |
|
L’ordine laico dei Cavalieri di Maria Vergine Gloriosa,
detto anche dei frati Gaudenti, fu fondato a Bologna nel
1261 con lo scopo di assistere i poveri e i deboli
contro le violenze dei potenti e di promuovere la pace
fra i partiti e le famiglie che si contendevano il
potere nelle città italiane. In origine la designazione
di frati Godenti non aveva un senso dispregiativo,
poiché il significato di godente era ""gioioso" di
quella gioia che sta nella santità della fede, nel
sacrificio di sé, nella pura e candida aspettazíone
della felicità eterna e, in particolare, nella
compartecipazione al mistico godimento dei sette gaudii
della Vergine: l’annunciazione, la nascita di Cristo,
l’adorazione dei Re Magi, la risurrezione, l’ascensione,
la pentecoste, l’assunzione" (Bertoni). In seguito
l’ordine degenerò e i frati Gaudenti furono
soprannominati per dileggio "capponi di Cristo".
Catalano dei Catalani. appartenente alla famiglia guelfa
dei Malavolti, e Loderingo, della famiglia ghibellina
degli Andalò. nacquero entrambi a Bologna intorno al
1210. Furono tra i fondatori dell’ordine dei frati
Gaudenti. A Firenze, dove furono chiamati nel 1266 per
fare opera di conciliazione fra i partiti, favorirono i
Guelfi, che, poco dopo la fine del loro governo,
cacciarono dalla città i Ghibellini e rasero al suolo le
dimore degli Uberti, situate nei pressi della località
chiamata Gardingo. Secondo il Villani, i due frati
Gaudenti "sotto coverto di falsa ipocrisia furono in
concordia più al guadagno loro proprio che al bene
comune" (Cronaca VII, 13). Morirono in un monastero
dell’ordine da loro fondato, Catalano nel 1285 e
Loderingo nel 1293. |
109 |
Io
cominciai: «O frati, i vostri mali... »;
ma più non dissi, ch'a l'occhio mi corse
un, crucifisso in terra con tre pali. |
|
109 |
Cominciai a dire: "Frati, i vostri
supplizi ..."; ma non aggiunsi altro, poiché mi si
presentò allo sguardo uno, crocifisso in terra per mezzo
di tre pali. |
|
V. Rossi ha messo in rilievo la somiglianza tra questa
apostrofe, subito interrotta, ai due frati Gaudenti ed
espressioni analoghe con le quali Dante si è rivolto a
Francesca (canto V, verso 116) e a Ciacco (canto VI,
verso 58), sottolineando tuttavia che "qui tutto è
ambiguo: l’apostrofe, che riprende la qualificazione con
cui i frati si sono presentati, ma può anche celare un
rinfaccio (gente di Chiesa, così ben finita!),
l’espressione i vostri mali, che fa pensare al tormento
(ma perché non alla colpa?), la reticenza". |
112 |
Quando mi
vide, tutto si distorse,
soffiando ne la barba con sospiri;
e 'l frate Catalan, ch'a ciò s'accorse, |
|
112 |
Quando mi vide, si
contorse tutto quanto, sospirando nel folto della barba;
e frate Catalano, che si era accorto di ciò, |
115 |
mi disse:
«Quel confitto che tu miri,
consigliò i Farisei che convenia
porre un uom per lo popolo a' martìri. |
|
115 |
mi disse: "Quell’inchiodato
che tu osservi, espresse ai Farisei il parere che era
opportuno per il bene pubblico suppliziare un uomo. |
|
Il crocifisso è il sommo sacerdote Caifas, che nel
sinedrio dei sacerdoti e Farisei manifestò l’opinione
che Cristo dovesse, per il bene comune, essere ucciso.
La sua ipocrisia fu nel fatto che "invece di esprimere
direttamente il suo parere, lo espresse in forma
sentenziosa e generica non sicuramente interpretabile,
credendo in tal modo di sottrarsi a ogni responsabilità
diretta nella condanna di Cristo, e ammantandolo con la
scusa del bene pubblico" (Mattalia). |
118 |
Attraversato
è, nudo, ne la via,
come tu vedi, ed è mestier ch'el senta
qualunque passa, come pesa, pria. |
|
118 |
E’ posto di traverso,
nudo, sul cammino, come tu stesso vedi, ed è necessario
che egli senta, prima che sia passato, quanto pesa
chiunque passa. |
121 |
E a tal modo
il socero si stenta
in questa fossa, e li altri dal concilio
che fu per li Giudei mala sementa». |
|
121 |
E allo stesso modo
soffrono in questa bolgia suo suocero, e gli altri
appartenenti al concilio che per gli Ebrei rappresentò
un inizio di sventure". |
|
Il suocero di Caifas, Anna, partecipò anch’egli alla
riunione in cui venne deliberata la condanna a morte di
Cristo. Da allora, secondo Dante (Purgatorio XXI, 82-84:
Paradiso VI, 92-93; VII, 19-51 ), una serie di sventure
si abbatté sugli Ebrei, tra cui la distruzione di
Gerusalemme ad opera dell’imperatore Tito e la
dispersione del popolo ebraico nel mondo. |
124 |
Allor vid'
io maravigliar Virgilio
sovra colui ch'era disteso in croce
tanto vilmente ne l'etterno essilio. |
|
124 |
Allora vidi Virgilio stupirsi riguardo
a colui che stava disteso in croce in modo così ignobile
nel luogo dell’eterna dannazione. |
|
La maggior parte dei commentatori spiega la meraviglia
di Virgilio col fatto che, nella sua precedente discesa
nel basso inferno, avvenuta prima che Cristo morisse, e
della quale è fatto cenno nel canto IX (versi 22-27),
Caifas e gli altri membri dei concilio non si trovavano
ancora tra i dannati.
Per il Momigliano, invece, la meraviglia di Virgilio
sarebbe "espressione di profonda commozione morale". |
127 |
Poscia
drizzò al frate cotal voce:
«Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci
s'a la man destra giace alcuna foce |
|
127 |
Quindi rivolse al frate
queste parole: "Non vi spiaccia, se vi è permesso dirci
se verso destra si apre un passaggio |
130 |
onde noi
amendue possiamo uscirci,
sanza costrigner de li angeli neri
che vegnan d'esto fondo a dipartirci». |
|
130 |
attraverso il quale noi
due possiamo uscire di qui, senza dover obbligare i
diavoli a venire a toglierci da questa fossa". |
133 |
Rispuose
adunque: «Più che tu non speri
s'appressa un sasso che da la gran cerchia
si move e varca tutt' i vallon feri, |
|
133 |
Allora rispose: "Più di
quanto tu non speri è vicino un ponte che parte dalla
grande parete che circonda Malebolge (dalla gran
cerchia) e attraversa tutti gli spaventosi ripiani, |
136 |
salvo che 'n
questo è rotto e nol coperchia;
montar potrete su per la ruina,
che giace in costa e nel fondo soperchia». |
|
136 |
il quale però in questa
bolgia è spezzato e non la valica: potrete salire su per
le macerie (di questo ponte), che si adagiano lungo il
pendio (che giace in costa) e si elevano sul fondo della
bolgia". |
139 |
Lo duca
stette un poco a testa china;
poi disse: «Mal contava la bisogna
colui che i peccator di qua uncina». |
|
139 |
Virgilio restò per un po’
a testa bassa; poi disse: "Riferiva male lo stato delle
cose colui che afferra con gli uncini i peccatori nella
quinta bolgia". |
142 |
E 'l frate:
«Io udi' già dire a Bologna
del diavol vizi assai, tra ' quali udi'
ch'elli è bugiardo e padre di menzogna». |
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142 |
E il frate: "A Bologna io
udii una volta menzionare molti vizi del diavolo, tra i
quali appresi che egli è bugiardo, e mentitore per
eccellenza". |
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A Virgilio, che si meraviglia e si addolora per
l’inganno di Malacoda, frate Catalano ricorda come cosa
di cui ha sentito dissertare nelle scuole teologiche
della dotta Bologna, una verità semplicissima: tra i
vizi del diavolo c’è anche la menzogna, anzi, il diavolo
è all’origine di ogni menzogna. Il commento è
canzonatorio e, un pochino pungente, e scopre insieme,
nell’ipocrita Catalano, una sorta d’inconscia
ammirazione per i vizi del diavolo. a proposito dei
quali egli possiede una particolare competenza."(Mattalia) |
145 |
Appresso il
duca a gran passi sen gì,
turbato un poco d'ira nel sembiante;
ond' io da li 'ncarcati mi parti' |
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145 |
Dopo ciò Virgilio se ne
andò a gran passi, un po’ alterato dall’ira
nell’aspetto, per cui mi allontanai dagli oppressi dalle
cappe |
148 |
dietro a le
poste de le care piante. |
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148 |
dietro le orme degli amati
piedi. |