1 |
Quel color
che viltà di fuor mi pinse
veggendo il duca mio tornare in volta,
più tosto dentro il suo novo ristrinse. |
|
1 |
Quel colore smorto che la
paura aveva diffuso sul mio volto, quando avevo veduto
Virgilio tornare indietro, fece sparire più presto il
pallore che da poco era apparso sul suo. |
4 |
Attento si
fermò com' uom ch'ascolta;
ché l'occhio nol potea menare a lunga
per l'aere nero e per la nebbia folta. |
|
4 |
Si arrestò
attento come chi cerca di percepire un suono; lo
sguardo, infatti, non poteva portarlo a distinguere
lontano attraverso l’aria buia e la densa caligine. |
7 |
«Pur a noi
converrà vincer la punga»,
cominciò el, «se non... Tal ne s'offerse.
Oh quanto tarda a me ch'altri qui giunga!». |
|
7 |
"Eppure
dovremo vincere questa battaglia" prese a dire, "a meno
che... (ma no, non è possibile). Tanto potente è colei
(Beatrice) che ci promise il suo aiuto: oh quanto mi
preoccupa il ritardo di qualcuno". |
|
Virgilio, respinto dai difensori della città di Dite, è
preso per un attimo dal dubbio, ma poi riacquista
fiducia: ecco il senso generale, sul quale sono tutti
d'accordo, del breve soliloquio contenuto in questa
terzina, Quanto al significato più preciso adombrato
nell'espressione se non, varie ipotesi sono state
avanzate. Ad esempio Virgilio può aver pensato per un
momento di non aver ben capito il discorso fattogli da
Beatrice nel limbo, oppure addirittura che il procedere
oltre fosse ormai del tutto impossibile. Ma per
penetrare il valore poetico di questa apertura di canto,
che, come rileva lo Zannoni, "prende l'avvio proprio dal
giuoco psicologico dei due personaggi, Dante e Virgilio,
dai loro silenzi e dalle loro parole, dalle ansie e
dalle speranze loro, sullo sfondo di quella fantastica e
fiammeggiante città infernale", non occorre andar oltre
le intenzioni del Poeta e voler chiarire termini che
traggono forza suggestiva proprio dall'essere circondati
da un alone di mistero. |
10 |
I' vidi ben
sì com' ei ricoperse
lo cominciar con l'altro che poi venne,
che fur parole a le prime diverse; |
|
10 |
Mi accorsi facilmente come
Virgilio cancellasse il senso delle prime parole con
quelle aggiunte in seguito, diverse dalle prime; |
13 |
ma nondimen
paura il suo dir dienne,
perch' io traeva la parola tronca
forse a peggior sentenzia che non tenne. |
|
13 |
ciò nonostante il suo discorso mi diede timore, poiché
io attribuivo alla frase non conclusa un significato
forse peggiore di quello che aveva. |
|
La peggior sentenzia che Dante attribuisce alle parole
del suo maestro, completando nella sua mente la frase
dubitativa da questi lasciata interrotta (se non...), é
probabilmente questa: "a meno che l'opposizione dei
diavoli non ci costringa a tornarcene indietro". La
domanda che egli sta per rivolgere al suo maestro,
esprime appunto questo stato d'animo angosciato del
discepolo che vede ad un tratto la sua guida, il mar di
tutto 'l senno, fin qui apparsa infallibile, umiliata e
schernita dalle forze del male. |
16 |
«In questo
fondo de la trista conca
discende mai alcun del primo grado,
che sol per pena ha la speranza cionca?». |
|
16 |
"Nel fondo della dolorosa
voragine infernale avviene mai che discenda qualcuno del
primo cerchio (il limbo), dove le anime hanno come sola
punizione la speranza (di vedere Dio) destinata a non
realizzarsi mai?" |
19 |
Questa
question fec' io; e quei «Di rado
incontra», mi rispuose, «che di noi
faccia il cammino alcun per qual io vado. |
|
19 |
Feci questa
domanda; e Virgilio mi rispose: "Raramente avviene che
qualcuno di noi faccia la strada che io sto percorrendo. |
22 |
Ver è
ch'altra fïata qua giù fui,
congiurato da quella Eritón cruda
che richiamava l'ombre a' corpi sui. |
|
22 |
E’ bensì vero che già un’altra volta fui quaggiù,
richiamato dagli scongiuri di quella crudele Eritone che
faceva tornare le anime nei loro corpi, |
|
Virgilio
aveva nel Medioevo fama di mago. Nessuna tuttavia delle
leggende che si erano formate intorno alla sua figura
accenna a questa discesa agli Inferi. E' probabile
quindi che Dante abbia tenuto presente, nell'immaginare
questo primo viaggio di Virgilio fin dentro il cerchio
più profondo della voragione infernale ( il nono, dove
sono puniti i traditori), un passo della Farsaglia di
Lucano, in cui è detto che la maga Eritone fece
ritornare nel corpo l'anima di un soldato morto, per
predire a Sesto Pompeo l'esito della battaglia di
Farsalo (VI, 507 sgg.). |
25 |
Di poco era
di me la carne nuda,
ch'ella mi fece intrar dentr' a quel muro,
per trarne un spirto del cerchio di Giuda. |
|
25 |
Da poco tempo il mio corpo era privo dell’anima,
allorché costei mi fece entrare nella città di Dite, per
fare uscire un’anima del cerchio dove e dannato Giuda. |
28 |
Quell' è 'l
più basso loco e 'l più oscuro,
e 'l più lontan dal ciel che tutto gira:
ben so 'l cammin; però ti fa sicuro. |
|
28 |
Quello è il posto più
basso e più buio, e più lontano dal cielo che imprime il
movimento all’universo: conosco bene il cammino; perciò
rassicurati. |
|
Nella cosmologia della Commedia, il ciel che tutto gira
è, rispetto alla terra, l'ultimo dei nove cieli fisici.
E' chiamato Primo Mobile, perché da esso si trasmette il
movimento a tutto il creato. |
31 |
Questa
palude che 'l gran puzzo spira
cigne dintorno la città dolente,
u' non potemo intrare omai sanz' ira». |
|
31 |
L’acquitrino da cui emana
il grande fetore circonda tutt’intorno la città dei
dannati, nella quale non possiamo ormai entrare senza
lotta. |
|
Le informazioni che Virgilio fornisce in questo discorso
al suo discepolo, sono state considerate da molti come
una digressione oziosa, la quale interromperebbe la tesa
atmosfera drammatica che Dante aveva saputo creare, con
un crescendo di effetti, sin dal canto precedente. Cosi,
ad esempio, il Porena ha l'impressione che, soprattutto
nella parte finale del suo discorso, Virgilio parli al
discepolo solo per "occuparlo e distrarlo in qualche
modo".
Assai difficile riesce, tuttavia, aderire a simili
opinioni, che risolvono, in modo troppo semplicistico e
ovvio, i non sempre facili problemi che pone
l'interpretazione di questo e di altri passi della
Commedia. In particolare, per quel che si riferisce
all'episodio di Eritone, in esso, scrive lo Zannoni, "il
mondo mitologico dona alla suggestiva vicenda del
pellegrino medievale uno sfondo remoto di più solenne,
di più oscuro, di più alto mistero" e, possiamo
aggiungere, preannuncia l'apparizione delle figure
mitologiche destinate a svolgere un ruolo così
importante nel canto. Inoltre il tono pacato e
didascalico con il quale il poeta latino fornisce a
Dante ragguagli sulla palude che'l gran pazzo spira,
serve a mettere maggiormente in rilievo la
drammaticissima sostanza delle terzine successive. |
34 |
E altro
disse, ma non l'ho a mente;
però che l'occhio m'avea tutto tratto
ver' l'alta torre a la cima rovente, |
|
34 |
E disse altre cose, ma non
le ricordo; poiché lo sguardo mi aveva tutto portato
verso l’alta torre dalla cima arroventata, |
37 |
dove in un
punto furon dritte ratto
tre furïe infernal di sangue tinte,
che membra feminine avieno e atto, |
|
37 |
dove all’improvviso si
erano levate tutte nel medesimo istante tre furie
infernali imbrattate di sangue, che avevano corpo e
atteggiamentodi donna, |
40 |
e con idre
verdissime eran cinte;
serpentelli e ceraste avien per crine,
onde le fiere tempie erano avvinte. |
|
40 |
e portavano annodati
intorno al corpo serpenti d’acqua d’intenso color verde;
per capelli avevano serpentelli e serpenti muniti di
corna, che ne cingevano le spaventose teste, |
|
Le Furie o Erinni, figlie di Acheronte e della Notte,
erano, nella mitologia, le dee della vendetta e del
rimorso. Esse perseguitavano il colpevole fino a fargli
perdere il lume della ragione. La loro rappresentazione,
in questi versi dell'Inferno, è di una potenza mai
raggiunta dai poeti dell'antichità. Ciò è dovuto proprio
al fatto che in queste, come nelle altre figure della
mitologia, Dante sa infondere un significato morale
nuovo, derivante dalla sua profonda fede. Qui, ad
esempio, le Furie non sono vedute soltanto nel loro
aspetto negativo, come emblemi cioè di un male dal quale
non ci si riscatta, ma anche nel loro aspetto positivo:
esse sono sì ostacoli a quell'itinerarium mentis in Deum,
che il viaggio nell'al di là dei due poeti simboleggia,
ma ostacoli concepiti anzitutto come strumenti di
perfezionamento morale. Tale è il senso più profondo di
questa allegoria del male, al di là di ogni
interpretazione troppo particolare di essa. I critici
hanno concordemente sottolineato la perfetta riuscita
fantastica ed espressiva di questa creazione dell'arte
di Dante, rilevando il carattere convulso e irreale di
questa visione d'incubo. |
43 |
E quei, che
ben conobbe le meschine
de la regina de l'etterno pianto,
«Guarda», mi disse, «le feroci Erine. |
|
43 |
E Virgilio, che non aveva
tardato a riconoscere le ancelle della regina
(Proserpina) dell’inferno, mi disse: "Ecco le
implacabili Erinni. |
46 |
Quest' è
Megera dal sinistro canto;
quella che piange dal destro è Aletto;
Tesifón è nel mezzo»; e tacque a tanto. |
|
46 |
Dalla parte sinistra è
Megera; quella piangente, a destra, è Aletto: nel mezzo
c’è Tesifone"; ciò detto, tacque. |
49 |
Con l'unghie
si fendea ciascuna il petto;
battiensi a palme e gridavan sì alto,
ch'i' mi strinsi al poeta per sospetto. |
|
49 |
Ciascuna si lacerava il
petto con le unghie; si percuotevano con le mani aperte
e urlavano così forte, che per la paura mi strinsi a
Virgilio. |
52 |
«Vegna
Medusa: sì 'l farem di smalto»,
dicevan tutte riguardando in giuso;
«mal non vengiammo in Tesëo l'assalto». |
|
52 |
"Venga Medusa: cosi lo
faremo diventare di pietra" dicevano tutte quante
guardando verso il basso: "fu male non punire nella
persona di Teseo l’assalto (portato al regno
dell’oltretomba)." |
|
Medusa, altra figura mitologica, era una delle tre
Gorgoni, figlie del dio marino Forco; fu uccisa e
decapitata da Perseo. La sua testa trasformava in pietra
chi la guardava.
Un'antica leggenda greca narrava della discesa nel regno
dei morti dell'eroe Teseo, il quale vi era penetrato per
rapire Proserpina, regina del mondo sotterraneo. Fatto
prigioniero dalle potenze delle tenebre, era stato in
seguito liberato da Ercole (Virgilio- Eneide Vl, 392 sgg.). |
55 |
«Volgiti 'n
dietro e tien lo viso chiuso;
ché se 'l Gorgón si mostra e tu 'l vedessi,
nulla sarebbe di tornar mai suso». |
|
55 |
"Voltati e tieni gli occhi
chiusi; poiché se Medusa appare e tu la vedessi, non ti
sarebbe più possibile tornare sulla terra." |
58 |
Così disse
'l maestro; ed elli stessi
mi volse, e non si tenne a le mie mani,
che con le sue ancor non mi chiudessi. |
|
58 |
Così parlò Virgilio; ed
egli stesso mi fece voltare, e non si accontentò che io
mi coprissi gli occhi con le mie mani, ma volle
coprirmeli anche con le sue. |
61 |
O voi
ch'avete li 'ntelletti sani,
mirate la dottrina che s'asconde
sotto 'l velame de li versi strani. |
|
61 |
O voi che avete le menti
non ottenebrate, contemplate l’insegnamento che si
nasconde sotto il velo dei versi misteriosi. |
|
L'insegnamento morale cui Dante esplicitamente allude in
questa terzina ha dato luogo alle più disparate
interpretazioni. Tra le opinioni degli antichi
commentatori le più interessanti sono quelle del Lana,
che vede simboleggiata in Medusa l'eresia, che "fa
diventare 1'uomo pietra, perché lo eretico vuole più
credere alle sensualitadi che alla Sacra Scrittura'' e
di uno dei figli del Poeta, Pietro, per il quale Medusa
è una raffigurazione allegorica del terrore.
Le Furie, simbolo dei rimorsi, invocando Medusa,
cercano, secondo Pietro di Dante, di paralizzare col
terrore l'animo e la mente del Poeta, per impedirgli
l'accesso al basso inferno.
Fra i moderni lo Scartazzini ha visto nelle Erinni il
simbolo della mala coscienza e in Medusa quello del
dubbio, "che ha la virtù di rendere l'uomo insensibile
come pietra". Una spiegazione assai convincente di tutta
la scena delle Erinni ci è data dallo Steiner: "Le
Furie, i rimorsi, condurrebbero Dante a guardare la
testa della Medusa, cioè a impietrarsi nello stato della
disperazione: Virgilio, la ragione corretta dalla fede,
vuole che Dante guardi le Erinni, cioè che ascolti la
voce del rimorso, ma non guardi la Gorgone, cioè non
vuole che cada per questo nella indifferenza del
disperato, che poi ricade nuovamente, secondo la
sentenza di San Paolo, nella vita sensuale, senza
riscattarsi mai più". |
64 |
E già venìa
su per le torbide onde
un fracasso d'un suon, pien di spavento,
per cui tremavano amendue le sponde, |
|
64 |
E già si stava avvicinando
sulla superficie fangosa della palude un rumore
fragoroso e terrificante, che faceva tremare sia l’una
che l’altra riva dello Stige, |
67 |
non
altrimenti fatto che d'un vento
impetüoso per li avversi ardori,
che fier la selva e sanz' alcun rattento |
|
67 |
non diverso da quello di
un vento reso violento dal calore delle masse d’aria
(che trova sul suo cammino), il quale colpisce la
foresta e senza che nulla possa trattenerlo |
70 |
li rami
schianta, abbatte e porta fori;
dinanzi polveroso va superbo,
e fa fuggir le fiere e li pastori. |
|
70 |
spezza i rami, li scaglia
a terra e li trascina fuori (della selva); avanza
imponente, in una nuvola di polvere, e causa la fuga dei
greggi e dei pastori. |
|
Dante, con gli occhi ancora coperti dalle mani di
Virgilio, ode approssimarsi come un uragano; in tal
modo, con questa impressione di maestosa ed
inarrestabile potenza, si preannuncia al pellegrino
smarrito l'arrivo dell'angelo che aprirà le porte della
città di Dite e che, sul piano dell'allegoria,
simboleggia l'intervento della Grazia nel punto in cui
la ragione (Virgilio) non riesce ad impedire che l'anima
disperi. La similitudine del vento impetuoso è già negli
autori dell'antichità (Virgilio, Stazio, Lucano) più
cari al Poeta, ma egli la ricrea interamente,
arricchendola di tratti realistici, che testimoniano un
appassionato spirito di osservazione della natura.
Nota giustamente il Gallardo, a questo proposito, che in
Dante, diversamente da quanto avveniva nella poesia
classica, spesso "I'immagine poetica non si basa solo
sull'osservazione del fenomeno e dei suoi effetti", ma
anche su quella delle cause. Qui, ad esempio, Dante non
si contenta di caratterizzare il vento attraverso quella
che appare la sua qualità più rilevante (l'impeto), ma
specifica anche il motivo del determinarsi di questa
qualità (li avversi ardori).
Questo spirito di osservazione e l'insaziato interesse
per tutti gli aspetti del mondo visibile, tipici di
Dante, fanno sì che, anche ove lo spunto iniziale di una
sua immagine è libresco, egli riesca sempre a dare a
questa immagine la freschezza di una cosa viva e reale.
Tra i critici che si sono più attentamente soffermati su
questa similitudine, il Momigliano ha osservato come fin
dall'inizio (e già...) essa sia colma di religiosa
aspettazione, rilevando altresì nel verso dinanzi
polveroso va superbo "una delle più stupefacenti sintesi
poetiche di Dante".
Sempre a proposito di questo verso il Sapegno ha
indicato in esso, e particolarmente nell'attributo
superbo, il trasferirsi sul piano psicologico di un dato
della realtà esteriore, con il quale "l'attenzione del
lettore è riportata dal paragone alla cosa paragonata,
dal vento al messaggero in cui s'incarna il volere
dell'Onnipotente". Anche qui, come altrove nel poema, la
natura è profondamente penetrata di ragioni umane, senza
con ciò perdere nulla della sua concretezza; anche qui
stato d'animo e mondo visibile sono così perfettamente
fusi da apparire inscindibili. |
73 |
Li occhi mi
sciolse e disse: «Or drizza il nerbo
del viso su per quella schiuma antica
per indi ove quel fummo è più acerbo». |
|
73 |
Virgilio mi liberò gli
occhi (che erano coperti dalle sue mani) e disse:
"Dirigi adesso la forza del tuo sguardo sulla superficie
schiumosa dell’antica palude, verso quella parte dove la
nebbia è più molesta". |
76 |
Come le rane
innanzi a la nimica
biscia per l'acqua si dileguan tutte,
fin ch'a la terra ciascuna s'abbica, |
|
76 |
Come le rane all’apparire
della biscia, loro nemica, si disperdono tutte nel
l’acqua, fino ad appiattirsi ognuna contro terra, |
79 |
vid' io più
di mille anime distrutte
fuggir così dinanzi ad un ch'al passo
passava Stige con le piante asciutte. |
|
79 |
così vidi innumerevoli
dannati darsi alla fuga all’avvicinarsi di qualcuno che
attraversava camminando lo Stige senza bagnarsi neppure
le piante dei piedi. |
|
Anche la similitudine con le rane, già presente in
Ovidio (Metamorfosi VI, 370-381), rivive in Dante con
tanta concretezza di determinazioni, da risultare cosa
nuova e del tutto originale. La fuga delle rane
all'avvicinarsi della biscia, oltre a costituire un
quadro a se, serve, come ha osservato il Sapegno, "a
portare ancor più sul piano della realtà" la figura
sovrannaturale dell'inviato dal cielo, senza per questo
privarla della sua grandezza. |
82 |
Dal volto
rimovea quell' aere grasso,
menando la sinistra innanzi spesso;
e sol di quell' angoscia parea lasso. |
|
82 |
Allontanava dal suo viso la fitta
nebbia, muovendo spesso davanti a sé la mano sinistra; e
sembrava infastidito soltanto da questa preoccupazione. |
|
Il gesto con cui l'angelo allontana da sé la densa
caligine infernale esprime assai più il carattere del
personaggio, un essere sceso dal mondo della perfezione
e della luce in quello della irrimediabile disarmonia e
del buio di quanto non farà l'aspro rimprovero che
rivolgerà fra poco agli angeli ribelli, Pochi tratti
bastano a Dante per dar vita ai suoi personaggi: la sua
è soprattutto un'arte di concentrazione e di sintesi |
85 |
Ben
m'accorsi ch'elli era da ciel messo,
e volsimi al maestro; e quei fé segno
ch'i' stessi queto ed inchinassi ad esso. |
|
85 |
Compresi facilmente che
era inviato dal cielo, e mi volsi a Virgilio; ed egli mi
fece intendere con un cenno che dovevo restare
tranquillo ed inchinarmi davanti a lui.
|
88 |
Ahi quanto
mi parea pien di disdegno!
Venne a la porta e con una verghetta
l'aperse, che non v'ebbe alcun ritegno. |
|
88 |
Ahi come mi sembrava pieno
di sdegno! Giunse alla porta (di Dite) e, toccandola con
una piccola verga, la aprì senza incontrare alcun
ostacolo. |
|
Con una verghetta:
il diminutivo mette in risalto l'estrema facilità con
cui l'angelo riesce ad avere ragione dell'impedimento
opposto dalle forze del male al proseguimento del
viaggio dei due poeti. Egli non tocca la porta della
città di Dite con le proprie mani (anche questo
particolare contribuisce a farcelo apparire distaccato
da tutto l'orrore che lo circonda), ma con un piccolo
scettro, quasi a riaffermare su di essa il potere
assoluto di Colui che lo ha inviato. |
91 |
«O cacciati
del ciel, gente dispetta»,
cominciò elli in su l'orribil soglia,
«ond' esta oltracotanza in voi s'alletta? |
|
91 |
"O espulsi dal cielo,
stirpe disprezzata", prese a dire sullo spaventoso
limitare, " da dove viene questa tracotanza che si
raccoglie in voi? |
94 |
Perché
recalcitrate a quella voglia
a cui non puote il fin mai esser mozzo,
e che più volte v'ha cresciuta doglia? |
|
94 |
Perché vi opponete a
quella volontà (la volontà di Dio) il cui compimento non
può mai essere ostacolato, e che più di una volta ha
accresciuto il vostro dolore? |
97 |
Che giova ne
le fata dar di cozzo?
Cerbero vostro, se ben vi ricorda,
ne porta ancor pelato il mento e 'l gozzo». |
|
97 |
A che serve
opporsi ai decreti divini? Se ben ricordate, il vostro
Cerbero, per questa ragione, ha tuttora privi di pelo la
parte inferiore del muso e il collo." |
|
Secondo il racconto di Virgilio (Eneide VI, 395-396 ),
Ercole, sceso nell'Ade, vinse e incatenò Cerbero. I
critici sono concordi nel giudicare il rimprovero
dell'angelo ai custodi della città di Dite assai meno
efficace dei versi che solo indirettamente ne
suggerivano la figura. Precisandosi, questa viene a
perdere quell'aura di mistero con cui si era
preannunciata da lontano alla fantasia del Poeta. Il
ministro della volontà di Dio qui indulge forse ad una
polemica troppo umana. |
100 |
Poi si
rivolse per la strada lorda,
e non fé motto a noi, ma fé sembiante
d'omo cui altra cura stringa e morda |
|
100 |
Poi tornò
indietro ripercorrendo il sozzo cammino, e non ci
rivolse neppure una parola, ma assunse l’aspetto di uno
che è assillato e stimolato da una preoccupazione |
103 |
che quella
di colui che li è davante;
e noi movemmo i piedi inver' la terra,
sicuri appresso le parole sante. |
|
103 |
diversa da quella di colui
che gli sta davanti; e noi ci incamminammo verso la
città, rassicurati dopo le sante parole da lui dette. |
106 |
Dentro li 'ntrammo
sanz' alcuna guerra;
e io, ch'avea di riguardar disio
la condizion che tal fortezza serra, |
|
106 |
Entrammo in essa senza
incontrare opposizioni; e io, che desideravo osservare
lo stato delle cose contenute dentro quelle mura
fortificate, |
109 |
com' io fui
dentro, l'occhio intorno invio:
e veggio ad ogne man grande campagna,
piena di duolo e di tormento rio. |
|
109 |
non appena entrato, mi
guardai d’attorno; e vidi da ogni parte una grande
pianura colma di dolore e di supplizi crudeli. |
|
Il
paesaggio sinistro delle mura della città di Dite,
davanti alla quale si è svolto il dramma dell'anima
tentata dalla disperazione, cede il posto, una volta che
i due viandanti sono entrati in questa città, a una
natura diversa, di uno squallore desolato, in cui
predominano le linee orizzontali. "La grande campagna -
osserva il Momigliano - è piena di lamenti: ma non si
vede un'anima; di qui un'impressione sospesa, che è
tanto più sensibile dopo la scena affollata e mossa di
prima." |
112 |
Sì come ad
Arli, ove Rodano stagna,
sì com' a Pola, presso del Carnaro
ch'Italia chiude e suoi termini bagna, |
|
112 |
Come ad Arles, dove la
corrente del Rodano (sfociando nel mare) si arresta, e
come a Pola, presso il golfo del Quarnaro che delimita
l’Italia e ne bagna i confini, |
115 |
fanno i
sepulcri tutt' il loco varo,
così facevan quivi d'ogne parte,
salvo che 'l modo v'era più amaro; |
|
115 |
le tombe rendono tutto il
terreno vario, così facevano qui in qualsiasi punto,
solo che la forma della sepoltura era più angosciosa; |
118 |
ché tra li
avelli fiamme erano sparte,
per le quali eran sì del tutto accesi,
che ferro più non chiede verun' arte. |
|
118 |
poichè fra i sepolcri
erano sparse fiamme, a causa delle quali erano tanto
roventi, che nessun’arte (di fabbro) chiede che il ferro
lo sia di più. |
|
Ad Arles, in Provenza, e a Pola, erano ben visibili nel
Medioevo i ruderi di vaste necropoli romane. Si diceva
che quella di Arles fosse sorta miracolosamente nel
corso di una sola notte per consentire a Carlo Magno di
seppellire i suoi soldati morti in uno scontro con gli
infedeli.
Il richiamo a questi cimiteri abbandonati precisa da
vicino la visione che si offre agli occhi di Dante e le
conferisce al tempo stesso una sua mesta solennità. |
121 |
Tutti li lor
coperchi eran sospesi,
e fuor n'uscivan sì duri lamenti,
che ben parean di miseri e d'offesi. |
|
121 |
Le pietre tombali erano
tutte sollevate, e uscivano dai sepolcri lamenti così
disperati, che parevano davvero (lamenti) di infelici e
di suppliziati. |
124 |
E io:
«Maestro, quai son quelle genti
che, seppellite dentro da quell' arche,
si fan sentir coi sospiri dolenti?». |
|
124 |
E io: "Maestro, quali sono
quelle turbe che sepolte dentro quelle tombe, si fanno
udire attraverso i loro dolorosi gemiti?" |
127 |
E quelli a
me: «Qui son li eresïarche
con lor seguaci, d'ogne setta, e molto
più che non credi son le tombe carche. |
|
127 |
E Virgilio: "Qui si
trovano i capi di eresie con i loro seguaci, di ogni
setta, e i sepolcri sono molto più pieni di quanto tu
creda. |
|
Collocati fra i cerchi degli incontinenti e quelli del
basso inferno, gli eresiarchi costituiscono una
Categoria a sé.
Il fuoco che li tormenta negli avelli arroventati può
forse essere messo in relazione con quello dei roghi a
cui venivano condannati sulla terra, o meglio, in base
ad un più sottile contrappasso, con le " fiammelle sotto
la cui forma discese agli Apostoli lo Spirito Santo,
infondendo in essi l'ardore della vera fede: di che
tutti questi dannati furono privi" (Chimenz).
Un nesso profondo unisce, come osserva il Bozzetti, il
significato del posto assegnato a queste anime con
quello del grande dramma allegorico che si è concluso
con l'entrata dei due poeti nella città di Dite: "Il
controllo della ragione (Virgilio) non è stato
sufficiente alla vittoria e ha dovuto intervenire la
Grazia. Orbene, qui, negli eretici delle arche
infuocate, sulla linea di confine fra i peccatori per
incontinenza e i peccatori per malizia, sono puniti gli
esseri che non offesero Dio altro che per essersi
privati volontariamente della sua Grazia". |
130 |
Simile qui
con simile è sepolto,
e i monimenti son più e men caldi».
E poi ch'a la man destra si fu vòlto, |
|
130 |
I seguaci di una stessa
eresia sono sepolti insieme, e i monumenti sepolcrali
sono ora più ora meno caldi". E dopo essersi volto a
destra, |
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passammo tra
i martìri e li alti spaldi. |
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ci incamminammo fra il
luogo dei supplizi e le alte mura. |
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Poiché i due pellegrini, nello scendere da un cerchio al
successivo, girano sempre alla loro sinistra, si è
voluto vedere anche in questo particolare un significato
simbolico. Solo qui, e quando si dirigono verso il
gruppo degli usurai (canto XVII, 31), Dante e Virgilio
girano a destra.
Lo Scartazzini, a questo proposito, osserva che
"l'andare a man destra si prende per segno o simbolo di
dirittura, lealtà, sincerità, schiettezza". |