1 |
Vago già di
cercar dentro e dintorno
la divina foresta spessa e viva,
ch'a li occhi temperava il novo giorno, |
|
1 |
Già desideroso d'esplorare l'interno e i dintorni della
divina foresta, folta e verdeggiante, la quale temperava
ai miei occhi i raggi del sole sorto da poco, |
4 |
sanza più
aspettar, lasciai la riva,
prendendo la campagna lento lento
su per lo suol che d'ogne parte auliva. |
|
4 |
senza più attendere,
lasciai il margine del ripiano, iniziando a camminare
lento lento per la distesa erbosa su quel terreno che
olezzava da ogni parte. |
7 |
Un'aura
dolce, sanza mutamento
avere in sé, mi feria per la fronte
non di più colpo che soave vento; |
|
7 |
Un'aria dolce, non
soggetta in se stessa ad alcun mutamento, mi colpiva in
fronte giungendomi non più forte di un vento soave: |
10 |
per cui le
fronde, tremolando, pronte
tutte quante piegavano a la parte
u' la prim' ombra gitta il santo monte; |
|
10 |
per cui le fronde,
tremolando, senza resistenza si piegavano tutte quante
verso occidente, la parte dove il santo monte getta
l'ombra di primo mattino (al sorgere del sole); |
13 |
non però dal
loro esser dritto sparte
tanto, che li augelletti per le cime
lasciasser d'operare ogne lor arte; |
|
13 |
senza tuttavia essere scostate dalla loro posizione
normale tanto, che gli uccelletti (per il fatto di
essere disturbati) dovessero tralasciare di cantare e
volare su per i rami; |
16 |
ma con piena
letizia l'ore prime,
cantando, ricevieno intra le foglie,
che tenevan bordone a le sue rime, |
|
16 |
ma, cantando, facevano
festosa accoglienza alle prime ore del giorno in mezzo
alle foglie, che accompagnavano il loro canto, |
19 |
tal qual di
ramo in ramo si raccoglie
per la pineta in su 'l lito di Chiassi,
quand' Ëolo scilocco fuor discioglie. |
|
19 |
proprio come
si forma di ramo in ramo il mormorio dentro la pineta
sul litorale di Classe, quando Eolo fa uscire fuori il
vento di scirocco. |
|
Chiassi era il nome (poi sostituito con Classe, dal
latino Classis) con il quale nel Medioevo si indicava
l'antico porto di Ravenna e la sua famosa pineta.
Eolo, nella mitologia pagana, era il re dei venti, che
egli teneva chiusi in una grotta, liberando (discioglie)
ora l'uno ora l'altro.
La divina foresta e il sentimento di Dante libero di
percorrerla in tutte le direzioni sono stati definiti in
termini generali e sintetici nelle due prime terzine. In
quelle che seguono e che si concludono con una
similitudine mirante ad avvicinare alla realtà
sperimentabile in terra la natura purificata del
paradiso terrestre, il Poeta segue con commossa
partecipazione il particolareggiarsi in diversi aspetti
dello spettacolo precedentemente considerato nel suo
insieme e nel suo carattere miracoloso. Di qui la
struttura complessa del periodo che occupa i versi dal 7
al 21.
Ma questa struttura complessa esprime l'ordine, la
calma; non si avverte in essa alcuno sforzo. Ogni
terzina, dopo la prima, che è occupata dalla
proposizione reggente l'intero periodo, è introdotta dai
termini che ne mettono in rilievo la subordinazione nei
confronti della prima ed il grado di subordinazione o la
coordinazione rispetto alle altre: per cui... non
però... ma... tal qual, Altrove il gioco sintattico
propone nella Commedia la tensione, uno spirito
agonistico, una volontà di possedere l'oggetto nei suoi
termini meno appariscenti e più veri. Qui la verità si
offre a Dante in uno stato di grazia: non richiede da
lui se non una felice adesione: l'ordine non si pone qui
come una meta faticosa per l'intelletto, ma risulta già
esplicito nella natura. La natura umana, restaurata
nella sua integrità, trova la sua immagine nella quiete
di una foresta, simbolo di vita rigogliosa, che un vento
costante colma di musica e di letizia. II beneficio di
questo vento è espresso dall'affaccendarsi alacre e dal
canto, degli augelletti. La foresta, già definita viva
al verso 2 (nota in proposito il Di Pino che, laddove
nell'Inferno e nei primi ventisette canti del Purgatorio
I'aggettivo "vivo" denota "un comune rapporto di realtà
o parvenze fisiche", a partire dal canto XXVIII esso "si
adegua al senso metafisico e spirituale" che avrà nel
Paradiso), acquista concretezza di vita da questa
festosa presenza e dal riferimento alla pineta di
Chiassi. |
22 |
Già m'avean
trasportato i lenti passi
dentro a la selva antica tanto, ch'io
non potea rivedere ond' io mi 'ntrassi; |
|
22 |
I miei lenti passi mi avevano portato già nel folto
dell'antica selva tanto, che ormai non potevo più vedere
il punto dove io ero entrato; |
25 |
ed ecco più
andar mi tolse un rio,
che 'nver' sinistra con sue picciole onde
piegava l'erba che 'n sua ripa uscìo. |
|
25 |
ed ecco mi impedì di procedere oltre un fiumicello, che
(scorrendo) verso sinistra con le sue piccole onde
piegava l'erba nata sulle sue rive. |
28 |
Tutte
l'acque che son di qua più monde,
parrieno avere in sé mistura alcuna
verso di quella, che nulla nasconde, |
|
28 |
Tutte le acque più limpide
che sono sulla terra, a paragone dell'acqua di quel
fiumicello, perfettamente trasparente, sembrerebbero
contenere qualche impurità, |
31 |
avvegna che
si mova bruna bruna
sotto l'ombra perpetüa, che mai
raggiar non lascia sole ivi né luna. |
|
31 |
quantunque essa scorra
scura scura sotto l'ombra perenne (degli alberi), che
mai lascia penetrare un raggio di sole o di luna, |
34 |
Coi piè
ristetti e con li occhi passai
di là dal fiumicello, per mirare
la gran varïazion d'i freschi mai; |
|
34 |
Fermai il passo e spinsi
gli occhi al di là del fiumicello, per osservare la
grande varietà di rami fioriti; |
|
Il termine mai è il plurale di "maio", che significa
maggio. Il Buti ricorda che con questo nome venivano
chiamati quei rami fioriti di alberi, che alla mattina
della festa di calendimaggio si era soliti porre,
secondo una tradizione toscana, e fiorentina in
particolare, sulle finestre e davanti alle porte delle
case. |
37 |
e là
m'apparve, sì com' elli appare
subitamente cosa che disvia
per maraviglia tutto altro pensare, |
|
37 |
e là, così come appare
improvvisamente qualcosa che a causa della meraviglia
che suscita distoglie da ogni altro pensiero, mi apparve |
40 |
una donna
soletta che si gia
e cantando e scegliendo fior da fiore
ond' era pinta tutta la sua via. |
|
40 |
una donna tutta sola, che
se ne andava cantando e scegliendo tra i fiori di cui
era dipinta tutta la via che ella percorreva. |
|
Di fronte a questa figura femminile. che guiderà Dante
nel paradiso terrestre, e il cui nome - Matelda - verrà
rivelato solo nel canto XXXIII, verso 119, la critica ha
offerto le interpretazioni più diverse, sia nel
tentativo di identificarla storicamente, sia nella
ricerca del suo significato allegorico.
Gli antichi commentatori erano concordi nel riconoscere
in Matelda la famosa contessa Matilde di Canossa, nata
nel 1046 e morta nel 1115, che fu una delle figure più
importanti nel burrascoso periodo della lotta per le
investiture fra Papato e Impero. Poiché Matilde di
Canossa fu strenua sostenitrice delle rivendicazioni
papali, é difficile pensare che Dante abbia voluto
affidare un compito così importante nel paradiso
terrestre a una decisa avversaria dell'Impero. Si pensò
allora alla monaca tedesca Matilde, di Hackenborn,
contemporanea di Dante e assai conosciuta come autrice
del Liber specialis gratiae, nel quale venivano narrate
le sue mistiche visioni.
Un altro gruppo di studiosi volle identificarla con
qualcuna delle donne che appaiono nella Vita Nova,
oppure nelle Rime, o anche nel Convivio. Nessuna di
queste interpretazioni risulta, sicura, anche se il
Nardi ritiene non sia da escludere quella offerta dagli
antichi commentatori, perché al tempo di Dante Matilde
di Canossa era conosciuta e ammirata per le sue qualità
di sovrana, mentre era quasi del tutto ignorata la parte
da lei sostenuta nella lotta per le investiture: perciò
ella nel paradiso terrestre sarebbe simbolo della
"perfetta signoria del volere in un mondo libero delle
passioni" (Nardi). La difficoltà di una identificazione
storica è data soprattutto dal fatto che Matelda è usa
(canto XXXIII, 128) compiere il suo ufficio particolare
nel paradiso terrestre e che quindi è presumibile che
ella vi si trovi dal momento della formazione del
purgatorio. Del tutto arbitrari poi appaiono i tentativi
volti a cercare il significato del nome: secondo alcuni
esso sarebbe formato da due radici greche ed
equivarrebbe ad "amore di sapienza", secondo altri
risulterebbe dalle parole ebraiche "math el da", che,
lette da destra a sinistra secondo l'uso ebraico,
significherebbero "la Dio veggente" Quanto al valore
allegorico di questa figura occorre anzitutto rilevare i
suoi compiti; diventa la guida di Dante nel paradiso
terrestre, gli spiega le caratteristiche del luogo, lo
assiste durante il mistico corteo, sostituisce Virgilio
dopo la sua scomparsa, esegue agli ordini di Beatrice,
compiendo il rito liturgico della purificazione di
Dante.
Matelda, é evidente, ricopre quest'ultimo incarico per
tutte le anime dirette al paradiso. Questa figura
potrebbe simboleggiare la vita attiva che ha raggiunto
la sua perfezione, rappresentando nella realtà quello
che Lia era nel sogno (canto XXVII, 97 sgg.), oppure la
natura umana nella sua felicità, quale essa era prima
del peccato originale e quale si può ricostituire
attraverso l'azione delle virtù morali e intellettuali.
Per il Pietrobono invece sarebbe la sapienza dell'Antico
Testamento; per il Poletto indicherebbe l'armonia tra
vita attiva e vita contemplativa raggiunta in terra
attraverso l'armonia tra ragione e fede; per il Mattalia
rappresenterebbe la ragione tenuta a freno dalla
teologia e volta "alla spiegazione scientifico-razionale
delle Sacre Scritture, e all'interpretazione
allegorica... delle « favole » dei poeti e degli
scrittori pagani (cfr. versi 139-144)". |
43 |
«Deh, bella
donna, che a' raggi d'amore
ti scaldi, s'i' vo' credere a' sembianti
che soglion esser testimon del core, |
|
43 |
«Deh, bella donna, che ti
riscaldi ai raggi dell'amore divino, a quanto appare dal
volto che suole essere testimone del cuore, |
46 |
vegnati in
voglia di trarreti avanti»,
diss' io a lei, «verso questa rivera,
tanto ch'io possa intender che tu canti. |
|
46 |
ti sia gradito procedere
innanzi» le dissi «verso questo fiume, tanto che io
possa capire che cosa canti. |
49 |
Tu mi fai
rimembrar dove e qual era
Proserpina nel tempo che perdette
la madre lei, ed ella primavera». |
|
49 |
Tu mi fai ricordare il
luogo dove si trovava Proserpina e quanto era bella nel
momento in cui sua madre perse lei, ed ella perse il
mondo della primavera.» |
|
Proserpina, figlia di Giove e di Cerere, fu rapita da
Plutone, dio degli Inferi, e divenne regina dell'Averno
(cfr. Ovidio . Metamorfosi V, 385 sgg.). L'apparizione
di Matelda ricorda a Dante l'incanto del luogo dove fu
rapita Proserpina - il bosco presso Enna in Sicilia, nel
quale, secondo Ovidio, regnava l'eterna primavera - e la
giovinezza e la bellezza della fanciulla, che furono
sempre celebrate dai poeti che cantarono questa
leggenda. |
52 |
Come si
volge, con le piante strette
a terra e intra sé, donna che balli,
e piede innanzi piede a pena mette, |
|
52 |
Come si volge una donna
che danza, con i piedi che quasi non si staccano dal
suolo e uniti tra di loro, e impercettibilmente mette un
piede avanti all'altro, |
55 |
volsesi in
su i vermigli e in su i gialli
fioretti verso me, non altrimenti
che vergine che li occhi onesti avvalli; |
|
55 |
ella si volse verso di me
sopra i fiorellini vermigli e gialli non diversamente da
una fanciulla che (per pudore) abbassi i casti occhi; |
58 |
e fece i
prieghi miei esser contenti,
sì appressando sé, che 'l dolce suono
veniva a me co' suoi intendimenti. |
|
58 |
e fece in modo che fossero
appagate le mie preghiere, avvicinandosi tanto, che il
dolce suono del suo canto mi arrivava con il significato
delle parole che ella cantava. |
61 |
Tosto che fu
là dove l'erbe sono
bagnate già da l'onde del bel fiume,
di levar li occhi suoi mi fece dono. |
|
61 |
Appena giunse là dove le
erbe venivano già bagnate dalle onde del bel fiume, mi
fece la grazia di alzare il suo sguardo verso di me. |
64 |
Non credo
che splendesse tanto lume
sotto le ciglia a Venere, trafitta
dal figlio fuor di tutto suo costume. |
|
64 |
Non credo che splendesse
tanta luce negli occhi di Venere, trafitta dal figlio
Cupido contro le abitudini di quest'ultimo. |
|
Venere, la dea della bellezza e dell'amore, fu ferita
dalla punta di una freccia che usciva dalla faretra del
figlio Cupido, il dio dell'amore, che suscitava questo
sentimento nell'animo degli uomini colpendoli con le sue
armi. Il ferimento, avvenuto mentre Venere teneva in
braccio il figlio, fu del tutto involontario, e quindi
contro le abitudini del dio, che sceglieva le sue
vittime deliberatamente. La dea si innamorò così del
giovane Adone (cfr. Ovidio Metamorfosi X, 525 sgg.). |
67 |
Ella ridea
da l'altra riva dritta,
trattando più color con le sue mani,
che l'alta terra sanza seme gitta. |
|
67 |
Ritta sull'altra sponda la
donna sorrideva, mentre con le sue mani intrecciava i
fiori di vario colore, che la sommità del monte produce
senza bisogno di semi. |
70 |
Tre passi ci
facea il fiume lontani;
ma Elesponto, là 've passò Serse,
ancora freno a tutti orgogli umani, |
|
70 |
Il fiume ci separava solo
di tre passi; ma lo stretto dei Dardanelli là dove passò
Serse, la cui sconfitta è ancora un ammonimento per ogni
orgoglio umano, |
73 |
più odio da
Leandro non sofferse
per mareggiare intra Sesto e Abido,
che quel da me perch' allor non s'aperse. |
|
73 |
non fu maggiormente odiato
da Leandro a causa delle sue burrasche (che gli
rendevano ìmpossibile il passaggio a nuoto) tra Sesto e
Abido, di quanto non fosse odiato da me quel fiumicello
perché non si aprì in quel momento per lasciarmi
passare. |
|
Serse, re di Persia, nel 480 a. C. attraversò con un
potente esercito lo stretto dell'Ellesponto, che separa
l'Asia Minore dall'Europa e sul quale aveva fatto
gettare un grande ponte, per portare guerra alla Grecia,
ma, sconfitto duramente, dovette riattraversarlo in
fuga: divenne così esempio di superbia punita ed
ammonimento per ogni orgoglio umano.
La fonte della leggenda ricordata nei versi 73-74 è
ancora una volta Ovidio (Eroidi XVIII, 139 sgg.).
Leandro, un giovane di Abido, sulla costa asiatica,
attraversava ogni notte a nuoto lo stretto dell'Ellesponto
per raggiungere sull'altra riva la località di Sesto,
dove abitava Ero, la fanciulla da lui amata, ma spesso
il mare tempestoso gli impediva di compiere, questa
impresa. |
76 |
«Voi siete
nuovi, e forse perch' io rido»,
cominciò ella, «in questo luogo eletto
a l'umana natura per suo nido, |
|
76 |
La donna cominciò: «Voi
siete nuovi del luogo, e forse perché io mi mostro
sorridente in questo posto scelto da Dio come sede,
della specie umana (se fosse rimasta innocente), |
79 |
maravigliando tienvi alcun sospetto;
ma luce rende il salmo Delectasti,
che puote disnebbiar vostro intelletto. |
|
79 |
vi meravigliate e rimanete
in dubbio; ma gioverà ad illuminarvi il salmo "Mi hai
rallegrato" (è il quinto versetto del Salmo XCII, che
esalta la gioia della contemplazione delle bellezze
create da Dio), il quale può sgombrare ogni nebbia dalla
vostra mente. |
82 |
E tu che se'
dinanzi e mi pregasti,
dì s'altro vuoli udir; ch'i' venni presta
ad ogne tua question tanto che basti». |
|
82 |
E tu che sei davanti agli
altri due e mi hai pregata, dimmi se desideri sapere
altro da me; perché sono venuta (verso di te) pronta a
rispondere ad ogni tua domanda finché basti a
soddisfarti». |
|
La donna soletta che appare a Dante nel paradiso
terrestre accenna senz'altro ad un contenuto simbolico,
ma, al di qua del simbolo, ha una sua compiuta
individuazione poetica. E' soltanto tenendo conto del
modo in cui il Poeta ha atteggiato questa figura, che
possiamo cercarne il sovrassenso. Essa non porta in sé
le tracce di una individuazione nel mondo della storia,
degli affanni, del dolore che fu il retaggio di Adamo.
Per questo motivo tutti i tentativi fatti per
identificarla con personaggi storici o della vita di
Dante, appaiono inutili ai fini della comprensione
dell'episodio che l'ha per sua protagonista.
Matelda è una figura fiabesca: essa esprime in termini
umani quell'assenza di problemi e travagli, quella gioia
di abitare un mondo in cui si riflette incontaminata la
traccia di Dio, che sono state comunicate allo stupore
grato del pellegrino dalla vista della foresta.
La rappresentazione di questa figura - è stato notato -
è fortemente stilizzata: il suo modo di atteggiarsi
risponde, infatti, ad una concezione della donna quale
si era venuta formando attraverso una lunga tradizione,
dai trovatori provenzali ai poeti del dolse stil novo.
Ma gli elementi della lirica amorosa medievale sono a
loro volta inquadrati in una cornice classica, in uno
schema, quello della felice età dell'oro, di evidente
derivazione ovidiana. Per questo confluire nella figura
di Matelda di motivi della poesia pagana e di quella
medievale, non appare lecito interpretarla unicamente in
base ai canoni del dolce stil novo. Notiamo inoltre come
Matelda abbia una consistenza figurativa che è del tutto
assente dalle evanescenti figure femminili dei
componimenti stilnovistici. Dante indugia a lungo nel
descriverne l'aspetto esteriore, non si limita ad una
caratterizzazione sommaria, ad un accenno alla presenza
in lei di qualità inesprimibili, perché trascendenti
l'umana capacità di accoglierle come reali, non analizza
minuziosamente i propri stati d'animo. Non ci viene
riproposta, in questo episodio, la spiritualità raccolta
ma evasiva della Vita Nova. Il riflesso soggettivo di
tanta bellezza è manifestato attraverso un riferimento
alla mitologia, il quale a sua volta rimanda ad un fatto
storico (versi 71-74). In contrasto con l'intimismo che
caratterizzò i componimenti di Dante giovane e dei suoi
amici seguaci del Guinizelli, il sentimento del
pellegrino è così riportato entro una trama di eventi
oggettivi, e risulta pertanto fortemente
spersonalizzato, reso paradigmatico di una esperienza
che è potenzialmente di tutti. Ciò che rende così felice
la riuscita artistica di questa pagina è la convergenza
di stato d'animo e significato simbolico nei modi in cui
è presentata Matelda, per cui quest'ultimo scaturisce
naturalmente, senza sforzo alcuno, dal senso letterale.
Matelda, come vide il Graf e come conferma, nel corso di
un'attenta analisi, il Singleton, è sostanzialmente la
natura umana non corrotta dal peccato originale: in essa
la virtù non è il risultato di un conflitto, non
presuppone il dolore, ma sì atteggia felicemente nelle
forme della bellezza, della gioventù perpetua, della
grazia spontanea. Gli atti che Matelda compie (il
cogliere fiori, il camminare a passo di danza) esprimono
un rapimento interiore - il raccoglimento di chi prega -
nelle forme della gioia. Ottime osservazioni sono state
fatte sulla figura di Matelda dal Di Pino. Il critico
rileva, ad esempio, che il « ridere » di Matelda "non ha
confronti d'ordine stilistico con gli atteggiamenti di
riso dei precedenti canti del poema. « Ridere » non è
dei luoghi infernali, e troviamo naturale che il
relativo linguaggio non trovi posto nella prima
cantica". D'altro lato, nei canti precedenti del
Purgatorio il riso ha "una temperanza di toni", una
gradualità nel suo manifestarsi, quale "solo si addice
alla condizione umana". Al contrario, nel Paradiso il «
ridere » "è sempre termine assoluto è mistico", onde «
ridere » e « riso » costituiscono, in senso assoluto, la
spia stilistica della terza cantica e non hanno, né
possono avere, la loro radice al di là della soglia
dell'Eden, nei canti, cioè, anteriori al XXVIII". |
85 |
«L'acqua»,
diss' io, «e 'l suon de la foresta
impugnan dentro a me novella fede
di cosa ch'io udi' contraria a questa». |
|
85 |
Io dissi: «L'acqua di
questo fiume e il vento che fa stormire la foresta
contrastano dentro di me con la convinzione che mi ero
da poco formato riguardo a una cosa che avevo udito e
che è contraria a questa che ora vedo». |
88 |
Ond' ella:
«Io dicerò come procede
per sua cagion ciò ch'ammirar ti face,
e purgherò la nebbia che ti fiede. |
|
88 |
Perciò ella: «Io ti
spiegherò come ciò che desta la tua meraviglia derivi da
una sua particolare causa, e dissiperò la nebbia
(dell'ignoranza) che offende la tua mente. |
91 |
Lo sommo
Ben, che solo esso a sé piace,
fé l'uom buono e a bene, e questo loco
diede per arr' a lui d'etterna pace. |
|
91 |
Dio, il sommo Bene, che
solo di se stesso prova compiuto piacere, creò l'uomo
buono e atto a operare il bene, e gli diede questo luogo
(il paradiso terrestre) come anticipazione della
beatitudine eterna. |
94 |
Per sua
difalta qui dimorò poco;
per sua difalta in pianto e in affanno
cambiò onesto riso e dolce gioco. |
|
94 |
A causa della sua colpa
l'uomo dimorò poco (solo sette ore: cfr. Paradiso XXVI,
139-142) nel paradiso terrestre; a causa della sua colpa
tramutò l'innocente diletto e la dolce gioia in pianto e
in affanno. |
97 |
Perché 'l
turbar che sotto da sé fanno
l'essalazion de l'acqua e de la terra,
che quanto posson dietro al calor vanno, |
|
97 |
Perché le
perturbazioni che al di sotto di questo monte sono
prodotte dai vapori dell'acqua e della terra, che
tendono a salire quanto più possono seguendo il calore
del sole, |
100 |
a l'uomo non
facesse alcuna guerra,
questo monte salìo verso 'l ciel tanto,
e libero n'è d'indi ove si serra. |
|
100 |
non potessero
recare all'uomo alcuna molestia, questo monte s'innalzò
verso il cielo così tanto (come vedi), ed è libero da
tali perturbazioni dal punto dove si trova la porta
d'accesso. |
|
Stazio (canto XXI, 43-57) aveva affermato che il monte
del purgatorio, al di sopra dei tre gradini che
conducono alla porta d'ingresso, non è soggetto ad
alcuna alterazione atmosferica, escludendo quindi, fra
le altre, la presenza di acqua e di vento, laddove
Dante, entrato nella divina foresta dell'Eden, avverte
lo stormire delle fronte (versi 10 sgg.) e incontra un
rio (versi 25 sgg.).
L'ampia spiegazione di Matelda affronta il problema
dell'ubicazione del paradiso terrestre, problema
continuamente presente nel pensiero patristico e in
quello medievale: esso, secondo le due principali
conclusioni, aveva la sua sede nella sfera del fuoco,
vicino a quella della luna, oppure nella sfera dell'aria
che è esterna alla terra.
Tenendo presente che Aristotile aveva distinto
quest'ultima sfera in tre regioni (l'inferiore,
temperata e quindi adatta alla vita umana, la media,
fredda e oscura, da dove prendono origine le meteore, la
superiore, limpida e serena, posta al di sopra di ogni
alterazione atmosferica), Alberto Magno e San Tommaso
situano l'Eden nella prima regione, Alessandro di Hales
e San Bonaventura, con i quali si accorda Dante, nella
terza. La tradizione esegetica biblica, inoltre, aveva
comunemente accettato l'esistenza del paradiso terrestre
in un luogo elevato e pressoché inaccessibile. Facile
risultava a Dante, alla cui mentalità teorica ripugnava
"l'idea di un paradiso terrestre creato da Dio e poi
rimasto vuoto e inutilizzato" (Mattalla), collocare il
paradiso terrestre sulla vetta del monte del purgatorio,
- la cui formazione è posteriore a quella dell'inferno
(cfr. Inferno XXXIV, 121 sgg.) - facendo dell'Eden una
tappa del ritorno della creatura a Dio. |
103 |
Or perché in
circuito tutto quanto
l'aere si volge con la prima volta,
se non li è rotto il cerchio d'alcun canto, |
|
103 |
Ora; poiché tutta quanta
l'atmosfera gira circolarmente assieme alla prima sfera
celeste, se il moto circolare non è interrotto da un
ostacolo in qualche parte, |
106 |
in questa
altezza ch'è tutta disciolta
ne l'aere vivo, tal moto percuote,
e fa sonar la selva perch' è folta; |
|
106 |
sulla sommità di questo
monte che spazia liberissima nell'aria pura, questo
movimento (dell'aria) percuote, e fa stormire la selva
perché è fitta (e oppone resistenza; |
|
Era opinione comune nel Medioevo che l'aria si muovesse
da oriente a occidente insieme con tutti i cieli fino al
più alto, che è il Primo Mobile (la prima volta). Questo
moto continuo e sempre nella stessa direzione è ad un
certo momento interrotto dalla vetta del purgatorio, e
l'aria, urtando contro gli alberi, fa stormire le
fronde. |
109 |
e la
percossa pianta tanto puote,
che de la sua virtute l'aura impregna
e quella poi, girando, intorno scuote; |
|
109 |
e le piante così mosse dal
vento hanno tanto potere, che impregnano l'atmosfera
della loro virtù fecondatrice, che poi l'aria, girando
(attorno alla terra), diffonde intorno; |
112 |
e l'altra
terra, secondo ch'è degna
per sé e per suo ciel, concepe e figlia
di diverse virtù diverse legna. |
|
112 |
e la terra dell'altro
emisfero, secondo che è adatta per la propria natura e
per il clima, concepisce e fa nascere da diversi semi le
diverse piante. |
115 |
Non parrebbe
di là poi maraviglia,
udito questo, quando alcuna pianta
sanza seme palese vi s'appiglia. |
|
115 |
Dopo questa spiegazione,
non dovrebbe poi nascere stupore di là nel vostro mondo,
quando qualche pianta germoglia sulla terra senza seme
visibile. |
118 |
E saper dei
che la campagna santa
dove tu se', d'ogne semenza è piena,
e frutto ha in sé che di là non si schianta. |
|
118 |
E devi sapere che questa
santa regione dove ti trovi, è piena di ogni specie di
semi vegetali, e produce anche qualche frutto che non si
coglie di là sulla terra. |
121 |
L'acqua che
vedi non surge di vena
che ristori vapor che gel converta,
come fiume ch'acquista e perde lena; |
|
121 |
L'acqua che vedi non
scaturisce da una polla che sia alimentata dal vapore
acqueo convertito in pioggia dal freddo, come (sulla
terra) un fiume il quale accresce e diminuisce la sua
portata (a seconda delle piogge); |
124 |
ma esce di
fontana salda e certa,
che tanto dal voler di Dio riprende,
quant' ella versa da due parti aperta. |
|
124 |
ma nasce da una fonte
costante e inesauribile, che dal volere di Dio attinge
tant'acqua, quanta ne versa nei due fiumi aperti in due
direzioni opposte. |
127 |
Da questa
parte con virtù discende
che toglie altrui memoria del peccato;
da l'altra d'ogne ben fatto la rende. |
|
127 |
Nel fiume che è da questa
parte l'acqua scorre con un potere che toglie il ricordo
del peccato in chi la beve; nel fiume che è dall'altra
parte l'acqua restituisce il ricordo del bene compiuto. |
130 |
Quinci Letè;
così da l'altro lato
Eünoè si chiama, e non adopra
se quinci e quindi pria non è gustato: |
|
130 |
Da questo lato il fiume si
chiama Letè; così dall'altro si chiama Eunoè, e l'acqua
non opera il suo effetto se prima non è bevuta in
entrambi i ruscelli. |
|
Il paradiso terrestre, secondo la Bibbia (Genesi II,
10-14), era attraversato da un fiume che si divideva in
quattro rami (Fison, Gihon, Tigri, Eufrate); Dante
riduce i corsi d'acqua a due, prendendo a prestito il
nome del primo dalla mitologia pagana, e in particolare
dalla descrizione dell'Averno virgiliano (Eneide VI, 705
sgg.), e formando il nome dal secondo, Eu-noè, con la
prima sillaba di Eu-frate. L'acqua del Letè elimina il
ricordo dei mali della vita, quella dell'Eunoè (termine
greco che significa "memoria del bene") ravviva la
memoria del bene compiuto. |
133 |
a tutti
altri sapori esto è di sopra.
E avvegna ch'assai possa esser sazia
la sete tua perch' io più non ti scuopra, |
|
133 |
il sapore di quest'acqua è
superiore a qualsiasi altro sapore. E sebbene la tua
sete di sapere possa essere sufficientemente appagata
senza bisogno che ti riveli di più, |
136 |
darotti un
corollario ancor per grazia;
né credo che 'l mio dir ti sia men caro,
se oltre promession teco si spazia. |
|
136 |
(tuttavia) spontaneamente
ti darò ancora un'ultima informazione; né credo che le
mie parole ti siano meno gradite, se a tuo favore si
estendono al di là della mia promessa. |
139 |
Quelli
ch'anticamente poetaro
l'età de l'oro e suo stato felice,
forse in Parnaso esto loco sognaro. |
|
139 |
Coloro che in antico
cantarono in poesia l'età dell'oro e la sua condizione
felice, forse poetando (in Parnaso: è la montagna della
Focide, sede di Apollo e delle muse) intravidero come in
sogno questo luogo. |
142 |
Qui fu
innocente l'umana radice;
qui primavera sempre e ogne frutto;
nettare è questo di che ciascun dice». |
|
142 |
Nel paradiso terrestre
furono innocenti i progenitori del genere umano; qui fu
primavera perpetua e vi furono frutti d'ogni specie;
l'acqua di questi fiumi è il nettare di cui parlò ognuno
di quei poeti». |
|
Il corollario aggiunto da Matelda, riguardo al valore
del mito dell'età dell'oro, stabilisce un rapporto fra
l'intuizione poetica del mondo pagano e il pensiero
cristiano, considerando già presagita dagli scrittori
latini (in particolare Ovidio e Virgilio) la realtà del
paradiso terrestre, come momento di purezza e di
felicità. |
145 |
Io mi
rivolsi 'n dietro allora tutto
a' miei poeti, e vidi che con riso
udito avëan l'ultimo costrutto; |
|
145 |
Allora con tutta la
persona io mi volsi indietro verso i miei due poeti, e
vidi che avevano accolto l'ultima parte del discorso
sorridendo; |
148 |
poi a la
bella donna torna' il viso. |
|
148 |
poi rivolsi nuovamente il
mio sguardo alla bella donna. |