1 |
Tant' eran
li occhi miei fissi e attenti
a disbramarsi la decenne sete,
che li altri sensi m'eran tutti spenti. |
|
1 |
I miei occhi erano così fissi e attenti a saziare la
decennale sete (che nasceva dal desiderio di rivedere
Beatrice, ormai morta da dieci anni), che tutti gli
altri miei sensi avevano cessato la loro attività. |
4 |
Ed essi
quinci e quindi avien parete
di non caler - così lo santo riso
a sé traéli con l'antica rete! -; |
|
4 |
Ed essi venivano separati
con un muro di noncuranza (avean parete di non valer)
dalla realtà circostante (quinci e quindi: da una parte
e dall'altra) - con tale forza il santo sorriso di
Beatrice li attirava a sé con la rete dell'amore di un
tempo (antica)! -, |
7 |
quando per
forza mi fu vòlto il viso
ver' la sinistra mia da quelle dee,
perch' io udi' da loro un «Troppo fiso!»; |
|
7 |
quando il mio sguardo fu
costretto a volgersi verso la mia sinistra da un
imperioso richiamo delle divine creature (quelle dee: le
virtù teologali), perché io le udii esclamare "Troppo
fissamente (guardi Beatrice)!"; |
10 |
e la
disposizion ch'a veder èe
ne li occhi pur testé dal sol percossi,
sanza la vista alquanto esser mi fée. |
|
10 |
e quella debole capacità
visiva che rimane (èe: è) negli occhi appena abbagliati
dal sole, mi fece restare per qualche momento senza
poter vedere. |
13 |
Ma poi ch'al
poco il viso riformossi
(e dico 'al poco' per rispetto al molto
sensibile onde a forza mi rimossi), |
|
13 |
Ma dopo che la vista diventò di nuovo capace di
percepire la luce minore della processione (io dico
"minore" in confronto al grande splendore [al molto
sensibile] del volto di Beatrice dal quale mi distolsi
forzatamente), |
16 |
vidi 'n sul
braccio destro esser rivolto
lo glorïoso essercito, e tornarsi
col sole e con le sette fiamme al volto. |
|
16 |
vidi che il trionfale
corteo si era voltato verso destra, e tornava indietro
avendo davanti a sé il sole e le luci (fiamme) dei sette
candelabri. |
19 |
Come sotto
li scudi per salvarsi
volgesi schiera, e sé gira col segno,
prima che possa tutta in sé mutarsi; |
|
19 |
Come una
schiera di soldati proteggendosi con gli scudi opera una
conversione per salvarsi (dal nemico), e si volge
indietro seguendo il vessillo, (formando un semicerchio)
prima che tutta la schiera cambi direzione, |
22 |
quella
milizia del celeste regno
che procedeva, tutta trapassonne
pria che piegasse il carro il primo legno. |
|
22 |
allo stesso modo quella avanguardia (milizia... che
procedeva) del regno celeste (formata dai ventiquattro
seniori) ci passò davanti tutta quanta prima che il
carro voltasse il timone (incominciando anch'esso, la
sua conversione). |
25 |
Indi a le
rote si tornar le donne,
e 'l grifon mosse il benedetto carco
sì, che però nulla penna crollonne. |
|
25 |
Poi le virtù ritornarono accanto alle ruote, e il
grifone mosse il carro (benedetto varco: benedetto
carico, perché portava Beatrice), senza che, per questo,
alcuna sua penna si agitasse, |
28 |
La bella
donna che mi trasse al varco
e Stazio e io seguitavam la rota
che fé l'orbita sua con minore arco. |
|
28 |
Matelda, la bella donna
che mi aveva fatto varcare (il Letè) e Stazio e io
seguivamo la ruota che (volgendosi il carro verso
destra) segnò la sua curva con un arco minore (di quello
compiuto dall'altra ruota). |
31 |
Sì
passeggiando l'alta selva vòta,
colpa di quella ch'al serpente crese,
temprava i passi un'angelica nota. |
|
31 |
Così percorrendo la
profonda foresta disabitata, per colpa di colei (Eva)
che credette al serpente, un canto angelico regolava i
nostri passi. |
34 |
Forse in tre
voli tanto spazio prese
disfrenata saetta, quanto eramo
rimossi, quando Bëatrice scese. |
|
34 |
Ci eravamo allontanati
(dal punto di partenza) di uno spazio forse triplo di
quello che percorre una saetta scoccata dall'arco,
quando Beatrice scese dal carro. |
37 |
Io senti'
mormorare a tutti «Adamo»;
poi cerchiaro una pianta dispogliata
di foglie e d'altra fronda in ciascun ramo. |
|
37 |
Io udii mormorare da tutti
"Adamo"; poi si disposero in cerchio attorno ad una
pianta priva di foglie
e di ogni fronda in tutti i suoi rami. |
|
La pianta dispogliata intorno alla quale avvengono tutte
le trasformazioni che caratterizzeranno la seconda parte
del canto XXXII rappresenta l'albero della scienza del
bene e del male, da Dio posto nel paradiso terrestre con
il divieto per Adamo ed Eva di gustarne i frutti (Genesi
II, 9 e 17). Se tutti gli interpreti sono d'accordo sul
significato letterale, non altrettanto avviene per
quello allegorico. In un primo tempo la pianta venne
considerata simbolo dell'ubbidienza che gli uomini
devono a Dio e che fu violata dai progenitori: per
questo essa è dispogliata di foglie e d'altra fronda,
finché la venuta di Cristo la fa rifiorire a nuova vita
(cfr. versi 49 sgg.). A questa interpretazione fu poi
sostituita un'altra, secondo la quale la pianta sarebbe
simbolo della legge o ius naturale che coincide con la
volontà di Dio, come Dante stesso afferma in un passo
della Monarchia (II, II), e che si esprime concretamente
in terra attraverso l'Impero, con il quale Dio attua la
sua giustizia nel mondo. Questa esegesi - sostenuta
particolarmente dal Parodi - identificando l'albero con
l'Impero, trova una difficoltà nel fatto che poco dopo
l'Impero appare raffigurato dall'aquila. Altri
interpreti, invece, videro nella pianta la Croce,
l'umanità, la Chiesa, Roma, la dottrina morale. Il
Nardi, tuttavia, ha indicato nel modo migliore quale
deve essere la posizione del lettore di fronte a questo
passo: "La pianta altissima dell'Eden, verso la quale
trae la mistica processione negli ultimi canti del
Purgatorio, significa in senso morale la « giustizia di
Dio », cioè la « rectitudo voluntatis propter se servata
» [retta volontà conservata per un motivo trascendente],
la quale ha il suo primo fondamento nel volere divino". |
40 |
La coma sua,
che tanto si dilata
più quanto più è sù, fora da l'Indi
ne' boschi lor per altezza ammirata. |
|
40 |
La sua chioma, che tanto più si allarga
quanto più si innalza, per la sua altezza sarebbe
ammirata anche dagli Indiani nei loro boschi. |
|
Di fronte all'altezza della pianta dispogliata
proverebbero profonda meraviglia anche gli Indiani, nei
cui boschi gli alberi sono tanto alti che "nessuna
freccia ha mai potuto giungere alla cima" (Virgilio -
Georgiche II, 122-124). Nel rilevare l'altezza
dell'albero Dante si è certamente ispirato, oltre che al
già citato passo della Genesi, anche al libro di Daniele
(IV, 7-8) , nel quale si narra che a Nabucodonosor in
sogno apparve un albero - simbolo del suo impero - la
cui cima si ergeva fino al cielo. Per la forma, invece,
esso ricorda i due alberi del girone dei golosi, che da
esso sono derivati (Purgatorio XXII, 133135; XXIV,
103-104 e 116-117). |
43 |
«Beato se',
grifon, che non discindi
col becco d'esto legno dolce al gusto,
poscia che mal si torce il ventre quindi». |
|
43 |
«Beato sei tu, o grifone, che con il
becco non strappi da questa pianta il frutto dolce al
gusto, poiché il ventre di chi ne mangia si contorce dal
dolore a causa di esso.» |
|
Mentre precedentemente era stato ricordato il peccato di
Adamo (verso 37) , ora viene esaltata la figura di
Cristo, che con la sua venuta reintegrò la giustizia nel
mondo dopo il peccato originale. Se si accetta
l'interpretazione che vede nell'albero l'Impero, in
questi versi Dante vorrebbe sottolineare che Cristo non
solo predicò l'ubbidienza alla autorità temporale
(Matteo XXII, 21), ma che vi fu egli stesso sottomesso,
nascendo e morendo sotto la legittima giurisdizione
dell'Impero. |
46 |
Così
dintorno a l'albero robusto
gridaron li altri; e l'animal binato:
«Sì si conserva il seme d'ogne giusto». |
|
46 |
Così attorno all'albero
robusto gridarono i componenti della processione; e
l'animale dalla duplice natura: «Così si conserva il
principio di ogni giustizia». |
49 |
E vòlto al
temo ch'elli avea tirato,
trasselo al piè de la vedova frasca,
e quel di lei a lei lasciò legato. |
|
49 |
E voltosi al timone che
egli aveva tirato, lo portò ai piedi della pianta
spoglia, e lo lasciò legato a lei per mezzo di un
ramoscello. |
52 |
Come le
nostre piante, quando casca
giù la gran luce mischiata con quella
che raggia dietro a la celeste lasca, |
|
52 |
Come le piante della terra
(in primavera), quando scende la grande luce (del sole)
congiunta a quella della costellazione dell'Ariete che
splende seguendo la costellazione dei Pesci, |
55 |
turgide
fansi, e poi si rinovella
di suo color ciascuna, pria che 'l sole
giunga li suoi corsier sotto altra stella; |
|
55 |
diventano turgide di
gemme, e poi ciascuna rinnova il colore dei propri
fiori, prima che il sole passi (giunga li del tempo di
Dante con il significato di "pesce"). Il rinnovamento
della natura si completa nel breve giro di un mese,
prima cioè che il sole, lasciata la costellazione
dell'Ariete, entri in congiunzione con quella del Toro
(che segue l'ariete). |
58 |
men che di
rose e più che di vïole
colore aprendo, s'innovò la pianta,
che prima avea le ramora sì sole. |
|
58 |
così la pianta che prima
aveva i rami tanto spogli, si rinnivò, facendo sbocciare
fiori di un colore meno vivo di quello delle rose e più
acceso di quello delle viole. |
|
In primavera la luce del sole illumina la terra in
congiunzione con quella dell'Ariete, la quale, nello
Zodiaco, segue immediatamente quella dei pesci (lasca
era usato nel linguaggio toscano del tempo di Dante con
il significato di "pesce") Il rinnovamento della natura
si completa nel breve giro di un mese, prima cioé che il
sole, lasciata la costellazione dell'Ariete, entri in
congiunzione con quella del Toro. |
61 |
Io non lo 'ntesi,
né qui non si canta
l'inno che quella gente allor cantaro,
né la nota soffersi tutta quanta. |
|
61 |
Io non ne compresi le
parole, né sulla terra si canta l'inno che in quel
momento cantò quella gente, né fui capace di ascoltare
fino alla fine il dolce canto. |
64 |
S'io potessi
ritrar come assonnaro
li occhi spietati udendo di Siringa,
li occhi a cui pur vegghiar costò sì caro; |
|
64 |
Se io potessi descrivere
come gli spietati occhi (di Argo) cedettero al sonno
udendo cantare (da Mercurio) gli amori della ninfa
Siringa, quegli occhi ai quali costò così caro il
vegliare continuamente; |
67 |
come pintor
che con essempro pinga,
disegnerei com' io m'addormentai;
ma qual vuol sia che l'assonnar ben finga. |
|
67 |
riuscirei a rappresentare
in che modo mi addormentai, come un pittore che dipinga
tenendo davanti un modello; ma un altro, se vorrà, provi
a ben descrivere l'addormentarsi. |
|
Per la seconda volta Dante ricorda la mitica figura di
Argo (cfr. Purgatorio XXIX, 95-96), il cane dai cento
occhi che Giunone pose a guardia di lo, amata da Giove;
quest'ultimo inviò Mercurio, il quale fece addormentare
Argo cantandogli gli amori del dio Pan con la ninfa
Siringa e poi lo uccise nel sonno (Ovidio - Metamorfosi
I, 601-746). |
70 |
Però
trascorro a quando mi svegliai,
e dico ch'un splendor mi squarciò 'l velo
del sonno, e un chiamar: «Surgi: che fai?». |
|
70 |
Perciò passo senz'altro al
momento in cui mi svegliai, e dico che uno splendore mi
squarciò il velo del sonno e che una voce (quella di
Matelda) mi chiamò dicendo: «Alzati: che fai?» |
73 |
Quali a
veder de' fioretti del melo
che del suo pome li angeli fa ghiotti
e perpetüe nozze fa nel cielo, |
|
73 |
Come nel vedere il primo
saggio di quell'albero (Cristo), il quale in cielo rende
gli angeli bramosi della sua visione, e li fornisce di
cibo come in una perpetua festa nuziale, |
76 |
Pietro e
Giovanni e Iacopo condotti
e vinti, ritornaro a la parola
da la qual furon maggior sonni rotti, |
|
76 |
Pietro e Giovanni e
Giacomo quando furono condotti (sul Tabor) e furono
tramortiti (dallo splendore della trasfigurazione di
Gesù), ritornarono in sé al suono della voce di Cristo
la quale ruppe sonni ben più profondi, |
79 |
e videro
scemata loro scuola
così di Moïsè come d'Elia,
e al maestro suo cangiata stola; |
|
79 |
e si accorsero che dal
loro gruppo erano scomparsi tanto Mosè quanto Elia, e
che il Maestro aveva cambiato la veste (con la quale era
apparso durante la trasfigurazione), |
82 |
tal torna'
io, e vidi quella pia
sovra me starsi che conducitrice
fu de' miei passi lungo 'l fiume pria. |
|
82 |
allo stesso modo ripresi
io i sensi, e vidi china su di me Matelda che prima
aveva guidato i miei passi lungo la riva del Letè. |
|
È un episodio evangelico quello che aiuta Dante a
spiegare come egli riprende conoscenza dopo il
dolcissimo canto innalzato dai membri della processione
(versi 61-63), come non vede più Beatrice sul carro
trionfale e come il grifone e il corteo sono scomparsi.
Gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni assistettero,
sul monte Tabor, alla trasfigurazione di Gesù, gustando
un primo saggio del gaudio paradisiaco: "il suo volto
risplendette come il sole, e le sue vesti divennero
candide come la luce. Ed ecco, apparvero loro Mosè ed
Elia, che parlavano con Lui... i discepoli caddero
bocconi per terra ed ebbero gran paura. Ma Gesù si
avvicinò e, toccandoli, disse: « Alzatevi, non temete!
». Ed essi, alzando gli occhi, non videro che il solo
Gesù" (Matteo XVII, 1-9). |
85 |
E tutto in
dubbio dissi: «Ov' è Beatrice?».
Ond' ella: «Vedi lei sotto la fronda
nova sedere in su la sua radice. |
|
85 |
E tutto timoroso (di
essere stato abbandonato da Beatrice) dissi: «Dov'è
Beatrice?» Per questo Matelda rispose: «La puoi vedere
sotto l'albero che ha rinnovato le fronde seduta sulla
sua radice: |
88 |
Vedi la
compagnia che la circonda:
li altri dopo 'l grifon sen vanno suso
con più dolce canzone e più profonda». |
|
88 |
vedi il gruppo che la
circonda (le virtù cardinali e teologali) : gli altri
personaggi della processione risalgono in cielo dietro
al grifone intonando un canto più dolce (per la melodia)
e più profondo (per il significato) (di quelli che tu
hai potuto ascoltare sulla terra)». |
91 |
E se più fu
lo suo parlar diffuso,
non so, però che già ne li occhi m'era
quella ch'ad altro intender m'avea chiuso. |
|
91 |
E se Matelda disse altre
cose, non lo so, poiché ero già tutto intento ad
osservare Beatrice, la cui vista mi impediva di prestare
attenzione ad altre cose. |
94 |
Sola sedeasi
in su la terra vera,
come guardia lasciata lì del plaustro
che legar vidi a la biforme fera. |
|
94 |
Sedeva sola sulla nuda
terra, lasciata lì a guardia del carro che avevo visto
legare (all'albero) dal grifone (biforme fera: la fiera
dalle due nature). |
97 |
In cerchio
le facevan di sé claustro
le sette ninfe, con quei lumi in mano
che son sicuri d'Aquilone e d'Austro. |
|
97 |
Le sette
virtù la chiudevano come in un cerchio, tenendo in mano
i candelabri che non possono essere spenti da nessun
vento (d'Aquilone e d'Austro: sono qui indicati i due
venti più impetuosi). |
|
Beatrice - la verità rivelata - resta a guardia e difesa
della fronda nova, cioè del nuovo rapporto da Cristo
stabilito fra la giustizia di Dio e la sua Chiesa. La
circondano, come corona e presidio, solo le sette virtù,
le quali durante il sonno di Dante hanno preso i sette
candelabri, per testimoniare la continuità del retaggio
dei sette doni lasciati dallo Spirito Santo alla Chiesa
dopo la Pentecoste. Altri interpreti, tuttavia,
sostengono che i lumi indicano in questo momento i sette
sacramenti.
L'espressione in su la terra vera è stata da alcuni
critici spiegata come uri allusione al paradiso
terrestre, che fu creato per essere la vera sede
dell'umanità, ma è più verosimile - attraverso l'accenno
alla nuda terra - il richiamo all'umiltà e alla povertà
della Chiesa primitiva. La processione che ha riempito
della sua presenza la divina foresta risale al cielo
"perché, allegoricamente, quanto si è svolto fin qui ha
rappresentato la Chiesa formatasi e poi costituitasi nei
suoi fondamenti essenziali e permanenti; quanto segue è
la concreta vicenda storica, fino ai tempi moderni"(Mattalia). |
100 |
«Qui sarai
tu poco tempo silvano;
e sarai meco sanza fine cive
di quella Roma onde Cristo è romano. |
|
100 |
«Qui resterai nella selva per poco
tempo: e poi sarai insieme con me per sempre cittadino
di quella Roma celeste (cioè: del paradiso) della quale
Cristo è cittadino. |
|
Romano nel linguaggio antico indicava colui che godeva
del diritto di cittadinanza e quindi era sinonimo di «
cittadino ». Tuttavia il Mattalia nota che "romano ha
qui senso più pregnante, e richiama indirettamente il
significato universalistico che nel linguaggio di Dante
ha l'epiteto romano: la funzione universale di Roma come
sede dei due poteri, e come centro di diffusione del
messaggio di Cristo; e le lunghe argomentazioni di Dante
(Convivio e Monarchia) sulla convalida rilasciata da Dio
a Roma e per mezzo di Cristo, e in numerosi altri modi". |
103 |
Però, in pro
del mondo che mal vive,
al carro tieni or li occhi, e quel che vedi,
ritornato di là, fa che tu scrive». |
|
103 |
Perciò, ad ammaestramento
dell'umanità traviata, osserva ora il carro, e fa in
modo di descrivere quello che vedi, dopo sere ritornato
nel mondo.» |
106 |
Così
Beatrice; e io, che tutto ai piedi
d'i suoi comandamenti era divoto,
la mente e li occhi ov' ella volle diedi. |
|
106 |
Così disse Beatrice; ed
io, che ero del tutto disposto a seguire con umiltà i
suoi comandi, rivolsi la mente e gli occhi dove ella
voleva. |
109 |
Non scese
mai con sì veloce moto
foco di spessa nube, quando piove
da quel confine che più va remoto, |
|
109 |
Un fulmine non scende mai
da una densa nube con un moto così veloce, quando
precipita dalle più alte regioni dell'aria, |
112 |
com' io vidi
calar l'uccel di Giove
per l'alber giù, rompendo de la scorza,
non che d'i fiori e de le foglie nove; |
|
112 |
come quello con il quale
l'aquila calava verso l'albero, squarciandone la
corteccia, oltre che i fiori e le nuove foglie; |
115 |
e ferì 'l
carro di tutta sua forza;
ond' el piegò come nave in fortuna,
vinta da l'onda, or da poggia, or da orza. |
|
115 |
e colpì il carro con tutta
la sua forza; per la qual cosa esso sbandò come una nave
(sbanda) ora su un fianco (da poggia: la poggia è la
fune che regge l'antenna sul fianco destro della nave),
ora sull'altro (da orza: l'orza è la fune che regge
l'antenna sul fianco sinistro della nave) durante la
tempesta, quando è in balia delle onde. |
|
Attraverso la potente immagine dell'uccel di Giove che
piomba con tutta la sua forza devastatrice sull'albero e
sul carro Dante rappresenta un momento storico
particolare: le persecuzioni portate dall'impero romano
(in tutto il poema, infatti, l'aquila è sempre simbolo
dell'Impero) contro il Cristianesimo nascente fino al
periodo di Domiziano, persecuzioni che ferirono
profondamente la giustizia divina (rompendo della
scorza, non che de' fiori e delle toglie nove) e quasi
mortalmente l'organismo della Chiesa (ferì 'l carro...
ond'el piegò come nave in fortuna). |
118 |
Poscia vidi
avventarsi ne la cuna
del trïunfal veiculo una volpe
che d'ogne pasto buon parea digiuna; |
|
118 |
Poi vidi avventarsi sulla
parte interna del carro trionfale una volpe che sembrava
digiuna di ogni cibo che potesse ben nutrirla. |
121 |
ma,
riprendendo lei di laide colpe,
la donna mia la volse in tanta futa
quanto sofferser l'ossa sanza polpe. |
|
121 |
Ma Beatrice,
rimproverandola per le sue colpe vergognose, la
costrinse ad una fuga tanto veloce quanto lo
consentivano le sue smagrite membra. |
|
Nella figura della volpe Dante riassume tutte le eresie
che travagliarono attraverso i tempi la Chiesa, anche se
alcuni interpreti hanno pensato alle eresie dei primi
secoli, in modo particolare a quella di Ario. Mentre
l'aquila « cala » sull'albero e sul carro, la volpe
penetra nella cuna; "il pericolo è portato nell'interno
stesso della Chiesa, nei suoi fondamenti dottrinali" (Mattalia)
e solo l'intervento della dottrina rivelata - attraverso
la figura di Beatrice - può allontanarlo. |
124 |
Poscia per
indi ond' era pria venuta,
l'aguglia vidi scender giù ne l'arca
del carro e lasciar lei di sé pennuta; |
|
124 |
Poi per la stessa via
dalla quale era venuta la prima volta, vidi l'aquila
scendere nella parte interna del carro e lasciarla
cosparsa delle sue penne; |
127 |
e qual esce
di cuor che si rammarca,
tal voce uscì del cielo e cotal disse:
«O navicella mia, com' mal se' carca!». |
|
127 |
e con lo stesso tono di
una voce accorata (esce di cuor che si rammarca), uscì
dal cielo una voce e disse: «O navicella mia, di quale
cattiva merce sei carica!» |
|
Il ritorno dell'aquila sul carro, che resta questa volta
coperto in parte delle sue penne, allude alla famosa
donazione territoriale fatta da Costantino a papa
Silvestro e della quale Dante ha già parlato nel canto
XIX dell'Inferno (versi 115-117), rilevando in essa la
fonte di tutti i mali ed errori della Chiesa, anche se
questa donazione fu decisa con intenzione retta e
generosa (verso 138: cfr. anche Paradiso XX, 56;
Monarchia II, XII). Essa, tuttavia, rappresentò una
diminuzione delle prerogative e della giurisdizione
dell'Impero nel mondo: infatti l'aquila lascia l'arca
del carro... di sé pennuta. La posizione di Dante
riguardo alla necessità della divisione del potere
temporale e di quello spirituale è basilare non solo per
la Commedia, ma anche per la Monarchia, essendo la
chiave di volta del pensiero politico dell'Alighieri.
I versi 128-129 sono spiegati dai commentatori antichi
come un riferimento diretto a un episodio della leggenda
che ha per protagonisti Costantino e Silvestro: subito
dopo la donazione si udì una voce dal cielo che diceva:
"Hodie diffusum est venenum in Ecclesía Dei" ("Oggi si è
sparso il veleno sulla Chiesa di Dio"). La Chiesa è
ricordata come la barca di Pietro anche nel Paradiso (XI,
119-120). |
130 |
Poi parve a
me che la terra s'aprisse
tr'ambo le ruote, e vidi uscirne un drago
che per lo carro sù la coda fisse; |
|
130 |
Poi mi sembrò che la terra
fra l'una e l'altra ruota si aprisse, e vidi uscirne un
drago che conficcò la coda nel carro; |
133 |
e come vespa
che ritragge l'ago,
a sé traendo la coda maligna,
trasse del fondo, e gissen vago vago. |
|
133 |
e come la vespa che ritira
il pungiglione, ritraendo a sé la sua coda pericolosa,
asportò una parte del fondo del carro, e se ne andò
tutto soddisfatto. |
|
Il drago rappresenta, come già il "gran dragone"
dell'Apocalisse (XII, 3-9), Satana, che insidia con la
sua azione la vita della Chiesa: questa azione culmina
negli scismi (il più importante era considerato quello
musulmano: occorre, infatti, ricordare che nel medioevo
si riteneva che Maometto fosse un cardinale
allontanatosi dalla Chiesa) e in una sempre più grande
cupidigia dei beni materiali. L'espressione vago vago è
stata variamente spiegata: « lento », «orgoglioso» ,
«errante da una dottrina all'altra» , «desideroso di
mali peggiori». |
136 |
Quel che
rimase, come da gramigna
vivace terra, da la piuma, offerta
forse con intenzion sana e benigna, |
|
136 |
Quella parte del carro che
rimase, come accade per la terra fertile che si ricopre
di gramigna (se è lasciata incolta), dalle penne,
offerte forse con intenzione retta e generosa, |
139 |
si
ricoperse, e funne ricoperta
e l'una e l'altra rota e 'l temo, in tanto
che più tiene un sospir la bocca aperta. |
|
139 |
fu ricoperta, e ne furono
ricoperte entrambe le ruote e il timone, in un tempo più
breve di quello che impiega la bocca ad emettere un
sospiro. |
|
La degenerazione della Chiesa, dopo la donazione di
Costantino e l'intervento di Satana, si completa in
breve tempo: il carro, le ruote e il timone si coprono
della piuma dell'aquila - cioè del potere temporale che
è la causa prima della corruzione morale - e la figura
della Chiesa si trasforma nel mostro dell'Apocalisse. |
142 |
Trasformato
così 'l dificio santo
mise fuor teste per le parti sue,
tre sovra 'l temo e una in ciascun canto. |
|
142 |
Il carro sacro così
trasformato mise fuori delle teste nelle singole parti,
tre sopra il timone e una in ciascuno degli angoli: |
145 |
Le prime
eran cornute come bue,
ma le quattro un sol corno avean per fronte:
simile mostro visto ancor non fue. |
|
145 |
le prime erano fornite di
due corna come quelle dei buoi, ma le altre quattro
avevano un corno solo nella parte mediana della fronte:
mai fu visto un mostro simile. |
|
Dante - ispirandosi ad un passo dell'Apocalisse (XVII.
3), nel quale si descrive "una bestia di color rosso
scarlatto, coperta di nomi blasfemi, con sette teste e
dieci corna" - crea una figura di complesso significato
allegorico, perché ogni suo attributo ha un valore
simbolico. Le sette teste, che nell'Inferno (XIX, 109)
indicavano i sette sacramenti o i sette doni dello
Spirito Santo, simboleggiano ora i sette peccati
capitali.
Le teste con due corna rappresentano i peccati peggiori,
che offendono Dio e il prossimo (superbia, invidia,
ira), quelle con un sol corno i peccati che offendono
solo il prossimo (accidia, avarizia, lussuria, gola),
laddove le dieci corna erano, nell'Inferno (XIX, 110) ,
simboli dei dieci comandamenti. |
148 |
Sicura,
quasi rocca in alto monte,
seder sovresso una puttana sciolta
m'apparve con le ciglia intorno pronte; |
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148 |
Seduta sopra di esso, sicura, come una
rocca sulla cima di un monte, mi apparve una sfrontata
meretrice, che guardava intorno con occhi impudichi; |
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Fonte di questa immagine è ancora l'Apocalisse: "Vieni,
e ti farò vedere la condanna della gran meretrice, che è
assisa sopra le vaste acque, con la quale hanno
fornicato i re della terra, e che ha inebriati gli
abitanti della terra col vino della sua lussuria" (XVII,
1-2; cfr. poi il resto del capitolo). Anche qui, come
già nell'Inferno (canto XIX, 107-111), la figura della
meretrice rappresenta la corrotta Curia romana del tempo
di Dante. Alcuni critici pensano che essa indichi più
direttamente qualche pontefice al quale il Poeta faceva
risalire la responsabilità della degenerazione
ecclesiastica: Bonifacio VIII o Clemente V. |
151 |
e come
perché non li fosse tolta,
vidi di costa a lei dritto un gigante;
e basciavansi insieme alcuna volta. |
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151 |
e quasi (a vigilare) affinché nessuno
gliela rapisse, vidi ritto di fianco a lei un gigante; e
si baciavano l'un l'altra di tanto in tanto. |
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Secondo Pietro di Dante il gigante rappresenta i re di
Francia che in questo momento tengono sotto la loro
sovranità il papato; in particolare esso indicherebbe
Filippo il Bello, sotto il cui regno avvenne
l'asservimento pressoché completo della cattedra di
Pietro alla corona di Francia, con il trasporto della
sede papale da Roma ad Avignone sotto Clemente V: da qui
l'espressione baciavansi insieme alcuna volta. |
154 |
Ma perché
l'occhio cupido e vagante
a me rivolse, quel feroce drudo
la flagellò dal capo infin le piante; |
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154 |
Ma poiché volse verso di me i suoi
occhi desiderosi e vaganti, quel crudele amante la
flagellò dalla testa ai piedi; |
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Dante, che rappresenta in questo momento la giusta
concezione di quella che dovrebbe essere la missione
della Chiesa; viene guardato dallo sguardo cupido e
vagante della meretrice, il quale simboleggia un
tentativo della Chiesa di ritornare sulla giusta via, o
comunque di liberarsi dalla soggezione ai re francesi;
ma l'intervento del gigante é rapido e feroce: la
flagellò dal capo infin le piante. Molti critici
ricordano, a proposito dei versi 155-156, la lunga lotta
sostenuta da Bonifacio VIII contro Filippo il Bello, e
culminata nell'oltraggio di Anagni. |
157 |
poi, di
sospetto pieno e d'ira crudo,
disciolse il mostro, e trassel per la selva,
tanto che sol di lei mi fece scudo |
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157 |
poi, pieno di sospetto e
reso crudele dall'ira, slegò il mostro, e lo condusse
nella selva, tanto che soltanto con gli alberi (sol di
lei: riferito a selva) mi impedì (di vedere) |
160 |
a la puttana
e a la nova belva. |
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160 |
la meretrice e la bestia
mostruosa. |
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Il mostro nel quale si è trasformato il carro della
Chiesa viene trascinato lontano dal gigante per indicare
il trasferimento della sede papale da Roma ad Avignone,
avvenuto nel 1305 e il successivo periodo della
«cattività avignonese». |