IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

DIVINA COMMEDIA

PURGATORIO

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 DIVINA COMMEDIA: PARAFRASI PURGATORIO CANTO IV°

1 Quando per dilettanze o ver per doglie,
che alcuna virtù nostra comprenda,
l'anima bene ad essa si raccoglie,
  1 Quando per un'impressione di piacere o di dolore, che una qualche potenza della nostra anima riceve in sé, l'anima si concentra tutta in quella facoltà,
 
4 par ch'a nulla potenza più intenda;
e questo è contra quello error che crede
ch'un'anima sovr' altra in noi s'accenda.
  4 sembra allora che essa non presti più attenzione a nessun'altra sua facoltà; e questo fatto é una prova contro quella dottrina errata la quale ritiene che in noi si formino più anime una accanto all'altra.
  Dante sostiene, secondo il principio scolastico, una sola essenza dell'anima, che "hae tre potenze, cioè vivere, sentire e ragionare" (Convivio III, Il, 11), e quando essa è intensamente occupata in un'operazione, non può impegnarsi in altre. Viene così confutata la teoria platonica della formazione e dell'esistenza di tre anime, la vegetativa, la sensitiva, l'intellettiva.
7 E però, quando s'ode cosa o vede
che tegna forte a sé l'anima volta,
vassene 'l tempo e l'uom non se n'avvede;
  7 E perciò. quando si ascolta o si vede qualcosa che attiri a sé fortemente l'anima, il tempo trascorre senza che uno se ne accorga,
10 ch'altra potenza è quella che l'ascolta,
e altra è quella c'ha l'anima intera:
questa è quasi legata e quella è sciolta.
  10 poiché una è la facoltà che percepisce il passare del tempo (che l'ascolta: la facoltà intellettiva), e una altra (la facoltà sensítiva) è quella che concentra in sé l'anima intera: questa è come legata (alle impressioni che percepisce), quella invece è sciolta da ogni ufficio (perché l'attenzione dell'anima è rivolta altrove).
  L'esordio solenne rivestito dei moduli espressivi della Scolastica pare chiudere il canto IV in una di quelle zone che il Croce definisce, nell'esclusione di ogni forma di scienza dalla poesia, non poetiche e che il D'Ovidio censura affermando che "se Dante ebbe il proposito di riposar l'animo dei lettori dall'ammirazione dei tre canti che precedono" e dargli lena ad ammirare la bellezza del successivo e la sublimità dei tre appresso, riposarlo dallo stupore con la fatica, non si può negare che v'è riuscito!" In realtà, pur essendo innegabile il peso degli elementi didascalici (il massimo sviluppo si avrà nei versi 61-96), da Dante ritenuti necessari al fine di spiegare la disposizione cosmografica del secondo regno, è necessario rilevare che nel pensiero medievale la scienza costituisce elemento di elevazione e modo di purificazione, portando l'uomo. attraverso la meditazione, a considerare ogni vicenda, ed esteriore ed interiore, della sua vita in una prospettiva universale, trovando in quella vicenda lo stesso ritmo di leggi e principii generali. Tale posizione garantisce la validità strutturale di questo inizio, ma assicura anche la liricitá, polarizzando l'interesse sulla nuova situazione spirituale di Dante. Finora ogni suo gesto e ogni suo passo implicanti una conquista purificatoria erano stati guidati, o addirittura voluti attraverso duri rimproveri, da Catone e da Virgilio, quasi il Poeta fosse ancora troppo impedito dai legami terreni. Ora, "fisso e attento alle parole di Manfredi con la medesima fissità e attenzione che ebbe di fronte al canto di Casella, Dante ha ... saputo superare il pericolo della lentezza e della negligenza - l'accusa di Catone ~ intendendo appieno verso quali oggetti debba convergere il suo spirito nella via del purgatorio. Qui Dante giustifica filosoficamente la necessità della rampogna di Catone. La scienza filosofica lo illumina sul pericolo della contentezza provata durante il canto dell'amico musico" (Romagnoli). Dante, al quale ormai basta un semplice cenno delle anime (verso 18) per riscuotersi, entra dunque nella legge morale del purgatorio, preannunziando "la sua prima vittoria conseguita nella vicenda della dura e vincolante dialettica, dei rapporti anima-corpo, intelletto-senso".(Mattalia)
13 Di ciò ebb' io esperïenza vera,
udendo quello spirto e ammirando;
ché ben cinquanta gradi salito era
  13 Di questo fatto io ebbi personale esperienza, ascoltando e guardando intensamente Manfredi; infatti di oltre cinquanta gradi era salito
16 lo sole, e io non m'era accorto, quando
venimmo ove quell' anime ad una
gridaro a noi: «Qui è vostro dimando».
  16 il sole (esso percorre quindici gradi ogni ora: perciò sono trascorse più di tre ore dal levarsi del sole e dall'apparizione dell'angelo nocchiero), ed io non me ne ero accorto, quando giungemmo in un punto in cui quelle anime ci gridarono tutte insieme: « Questo è il luogo di cui ci avete domandato».
19 Maggiore aperta molte volte impruna
con una forcatella di sue spine
l'uom de la villa quando l'uva imbruna,
  19 Il contadino quando l'uva incomincia a maturare (imbruna; bisogna perciò difenderla dai ladri) spesso con una piccola forcata di spine chiude con questi pruni un'apertura della siepe più larga
22 che non era la calla onde salìne
lo duca mio, e io appresso, soli,
come da noi la schiera si partìne.
  22 di quello che non fosse il sentiero lungo il quale salimmo Virgilio, ed io dietro di lui, soli, dopo che la schiera delle anime si era congedata da noi.
  Se l'apertura di questa similitudine dà la misura di un'attenzione concretissima alla terra, qui osservata nell'animato ritmo di una scena campestre, è tuttavia il verso 23 - con il suo stile duro, spezzato da continue pause, che si raccolgono tutte in un'unica, lunga sospensione nell'aggettivo soli - che apre un tema maestro, facendo del IV canto "uno dei più importanti dall'angolo visuale del contenuto " (Jenni) : i due pellegrini iniziano l'ascesa dei monte, che finora avevano osservato solo dalla spiaggia e del quale avevano già guardato con preoccupazione la ripidità (canto III, versi 46-51). Le due similitudini realistiche (maggiore aperta... vassi in Sanleo... ) poste in successione immediata, "come una ripresa, una movenza stilistica di constatazione vagamente esclamativa" (Jenni), sono per il Poeta necessarie al fine di mettere subito in rilievo il carattere eccezionale della salita, contemporaneamente introducendoci nell'atmosfera di silenzio e di solitudine, che, secondo il Momigliano, è il motivo lirico del canto, accanto alla "presenza solenne e muta della montagna, che nel Purgatorio è protagonista della poesia ben più che l'abisso nell'Inferno".
25 Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,
montasi su in Bismantova e 'n Cacume
con esso i piè; ma qui convien ch'om voli;
  25 E' possibile arrivare a Sanleo (borgo del ducato d'Urbino, posto su un ripido colle che si raggiungeva con un sentiero scavato nella roccia) e scendere a Noli (cittadina della riviera ligure di ponente, alla quale si accedeva scendendo lungo pareti a picco sul mare), salire sul Bismantova (alto monte dell'Appennino nel territorio di Reggio Emilia) fin sulla vetta solamente coi piedi; ma qui è necessario che si voli;
28 dico con l'ale snelle e con le piume
del gran disio, di retro a quel condotto
che speranza mi dava e facea lume.
  28 dico con le ali veloci e con le piume del grande desiderio, seguendo quella guida che mi dava speranza e mi faceva luce.
  I mezzi necessari per salire il monte del purgatorio - la cui ripidità supera ogni confronto umano - sono quelli spirituali: "colla fede e colla speranza che sono l'ali che portano i virtuosi e fedeli".(Anonimo Fiorentino)
31 Noi salavam per entro 'l sasso rotto,
e d'ogne lato ne stringea lo stremo,
e piedi e man volea il suol di sotto.
  31 Salivamo per un sentiero scavato nella roccia, e (era tanto angusto che) le sue sponde ci stringevano a destra e a sinistra, e il suolo sottostante costringeva ad aiutarsi con i piedi e con le mani.
34 Poi che noi fummo in su l'orlo suppremo
de l'alta ripa, a la scoperta piaggia,
«Maestro mio», diss' io, «che via faremo?».
  34 Dopo essere giunti al termine dell'alta parete (alta ripa; essa costituisce la base del monte), su uno spiazzo aperto (non incassato nella roccia), dissi: «Maestro, che via seguiremo?»
37 Ed elli a me: «Nessun tuo passo caggia;
pur su al monte dietro a me acquista,
fin che n'appaia alcuna scorta saggia».
  37 Ed egli mi rispose: «Il tuo passo non pieghi né a destra né a sinistra: avanza sempre verso l'alto seguendo me finché ci appaia qualche guida esperta del cammino».
40 Lo sommo er' alto che vincea la vista,
e la costa superba più assai
che da mezzo quadrante a centro lista.
  40 La vetta del monte era così alta che superava ogni possibilità della nostra vista, e il pendio era assai più ripido di una linea condotta dal punto mediano di un quadrante al centro del cerchio (poiché il quadrante di un cerchio corrisponde ad un angolo al centro di 90 gradi, la linea ha un'inclinazione di 45 gradi: la costa perciò è quasi perpendicolare al monte).
43 Io era lasso, quando cominciai:
«O dolce padre, volgiti, e rimira
com' io rimango sol, se non restai».
  43 Ero stanco, quando dissi: «O dolce padre, volgiti, e guarda che rimango indietro, solo, se non ti fermì ad' aspettarmi».
46 «Figliuol mio», disse, «infin quivi ti tira»,
additandomi un balzo poco in sùe
che da quel lato il poggio tutto gira.
  46 «Figliolo, cerca di trascinarti fin qui» disse, indicandomi un ripiano poco più in alto, che cingeva tutto il monte dalla, parte a noi visibile.
49 Sì mi spronaron le parole sue,
ch'i' mi sforzai carpando appresso lui,
tanto che 'l cinghio sotto i piè mi fue.
  49 Le sue parole mi spronarono a tal punto, che riunii tutti i miei sforzi, procedendo a carponi dietro di lui, finché raggiunsi quella sporgenza.
  L'ascensione di Dante e Virgilio - pur resa con una rappresentazione molto mossa, in cui il dialogo tra i due poeti è ricco di una familiarità sostenuta dalla comune fatica dell'ascesa ed espressa nel rapporto padre-figlio, che ora ha sostituito quello maestro-discepolo - ha il significato allegorico-morale di purificazione raggiunta via via attraverso la fatica del superamento. "Ci troviamo di fronte a uno di quei luoghi del poema dove l'allegoria si aggruma" (Jenni) in un'ascesa ambivalente, accostata da alcuni critici moderni a quella del Petrarca sul monte Ventoux, descritta; nell'epistola datata Malaucène 26 aprile 1336. Anche il Petrarca conferisce ad ogni gesto suo e del fratello Gherardo che l'accompagna, una significazione morale, ma mentre in lui il senso letterale e quello allegorico restano sempre distinti, in Dante essi sono fusi a un grado così avanzata", che nei migliori momenti non sí danneggiano. Noi possiamo leggere questo primo episodio d'una scalata con una partecipazione viva come per un'impresa di montagna... E quando Virgilio dà al suo protetto il mezzo ordine e mezzo consiglio di non fare nemmeno un passo in giù, si tratta d'un ammonimento morale che però vale alla perfezione già per la sola fatica fisica. Senza contare che sempre, nei luoghi danteschi di allegoria più ricca, restano dei particolari il cui senso non oltrepassa quello letterale: come, qui, l'ultimo « carpare » di Dante per giungere al cìnghio".(Jenni)
52 A seder ci ponemmo ivi ambedui
vòlti a levante ond' eravam saliti,
che suole a riguardar giovare altrui.
  52 Lì ci sedemmo entrambi rivolti verso oriente, da dove eravamo saliti, poiché guardare il cammino già fatto suole apportare conforto e gioia agli uomini.
55 Li occhi prima drizzai ai bassi liti;
poscia li alzai al sole, e ammirava
che da sinistra n'eravam feriti.
  55 Dapprima volsi lo sguardo verso la spiaggia; poi lo alzai verso il sole, e mi accorsi con stupore che i suoi raggi ci colpivano provenendo da sinistra.
  Molti critici moderni vedono nel volgersi di Dante verso oriente un significato mistico, dal momento che, prima ancora della letteratura medievale, già quella patristica avvertiva del valore della preghiera fatta verso oriente, da dove era venuto Cristo. Ma poiché i più antichi commentatori non hanno rilevato nei versi 53~54 tale significato, il Sapegno ritiene giustamente che "Dante non guarda all'oriente in quanto tale, bensì alla parte da cui è salito".
Benché il gran disio sospinga verso l'alto. il cammino resta pur sempre aspro per il corpo e lo spirito, crea un affanno fisico e un affanno morale (che via faremo?; rimira com'io rimango sol, se non restai) in Dante, motivando uno stato di perplessità smarrita che era già stato presente nei canti precedenti, ma che ora viene superato in virtù della vicinanza della meta (additandomi un balzo poco in sue). E' il "momento - afferma il Romagnoli - più schietto e fresco della gioia di Dante: e non possiamo non partecipare a questo silenzioso trionfo della vista sua... e non possiamo non assentire a quel gesto di alzare gli occhi al sole, di muovere la propria vista nella libertà degli spazi infiniti... Il canto sembra giunto al suo culmine, sembra sciogliere tutti gli elementi del dramma umano di Dante per liberarli nell'infinitezza del cielo", ma è una pausa contemplativa breve, anche se molto intensa, perché è subito interrotta dallo stupore (versi 56-57). "Il fatto è che Dante non può indugiare sugli elementi contemplativi... in un canto tutto incentrato sullo slancio morale della conquista, sull'acquisto di scienza certa", che può essergli data solo da Virgilio, la ragione, che, dominando l'apparente mistero del fenomeno fisico, ricompone "in filosofica quiete lo spirito dianzi stupefatto."(Romagnoli)
58 Ben s'avvide il poeta ch'ïo stava
stupido tutto al carro de la luce,
ove tra noi e Aquilone intrava.
  58 Virgilio si accorse facilmente che io guardavo tutto stupefatto il sole, là dove entrava nel suo cammino fra noi e il settentrione.
61 Ond' elli a me: «Se Castore e Poluce
fossero in compagnia di quello specchio
che sù e giù del suo lume conduce,
  61 Per questo egli mi disse: «Se la costellazione dei Gemelli (Castore e Polluce) fosse in compagnia del sole che rischiara alternativamente l'emisfero settentrionale e quello meridionale,
64 tu vedresti il Zodïaco rubecchio
ancora a l'Orse più stretto rotare,
se non uscisse fuor del cammin vecchio.
  64 tu vedresti la parte rosseggiante dello Zodiaco (la via percorsa dal sole) ruotare ancora più vicina alla costellazione delle Orse (cioè al polo artico, essendo la costellazione dei Gemelli più a nord di quella dell'Ariete con la quale il sole era allora in congiunzione), a meno che il sole non deviasse dal suo cammino abituale.
67 Come ciò sia, se 'l vuoi poter pensare,
dentro raccolto, imagina Sïòn
con questo monte in su la terra stare
  67 Se vuoi sapere come ciò avvenga, pensa, raccogliendoti in te stesso che Gerusalemme e il monte del purgatorio si trovano sulla terra
70 sì, ch'amendue hanno un solo orizzòn
e diversi emisperi; onde la strada
che mal non seppe carreggiar Fetòn,
  70 in modo tale che tutti e due hanno lo stesso orizzonte astronomico e giacciono in diversi emisferi; per questo la strada (cioè la eclittica) che male Fetonte (cfr. Inferno XVII 107-108) seppe percorrere col carro del sole,
73 vedrai come a costui convien che vada
da l'un, quando a colui da l'altro fianco,
se lo 'ntelletto tuo ben chiaro bada».
  73 vedrai come è necessario che corra, rispetto al monte del purgatorio, da un lato (cioè da destra a sinistra) e, rispetto a Gerusalemme, da un altro (cioè da sinistra a destra), se la tua mente bene discerne».
76 «Certo, maestro mio», diss' io, «unquanco
non vid' io chiaro sì com' io discerno
là dove mio ingegno parea manco,
  76 «Di certo, maestro mio» dissi «non ho mai compreso così chiaramente alcuna cosa davanti alla quale il mio ingegno appariva insufficiente, come ora comprendo
79 che 'l mezzo cerchio del moto superno,
che si chiama Equatore in alcun' arte,
e che sempre riman tra 'l sole e 'l verno,
  79 che il cerchio mediano della rotazione celeste, che in astronomia si chiama Equatore, e che rimane sempre tra il sole e l'inverno, (perché quando in un emisfero è inverno, nell'altro è estate e viceversa),
 
82 per la ragion che di', quinci si parte
verso settentrïon, quanto li Ebrei
vedevan lui verso la calda parte.
  82 per il motivo che tu dici (cioè che il purgatorio è agli antipodi di Gerusalemme), da questo monte si allontana verso settentrione, mentre gli Ebrei (quando abitavano la Palestina) lo vedevano allontanarsi verso il sud.
85 Ma se a te piace, volontier saprei
quanto avemo ad andar; ché 'l poggio sale
più che salir non posson li occhi miei».
  85 Ma se tu vuoi, volentieri desidererei sapere quanto cammino resta da percorrere, perché il monte si innalza più di quanto possa salire il mio sguardo.»
88 Ed elli a me: «Questa montagna è tale,
che sempre al cominciar di sotto è grave;
e quant' om più va sù, e men fa male.
  88 Ed egli: «Questo monte è tale, che la ascesa è sempre ardua per chi l'inizia dal basso; ma quanto più si sale tanto meno essa appare faticosa.
91 Però, quand' ella ti parrà soave
tanto, che sù andar ti fia leggero
com' a seconda giù andar per nave,
  91 Perciò, quando essa ti sembrerà dolce a tal punto, che il salire diventerà per te facile come procedere su una nave seguendo la corrente,
94 allor sarai al fin d'esto sentiero;
quivi di riposar l'affanno aspetta.
Più non rispondo, e questo so per vero».
  94 allora sarai giunto alla fine di questo cammino: qui soltanto potrai riposarti dell'affanno della salita. Non ti rispondo oltre, e questo so come cosa certa».
  "Il monte della virtù è tanto alto e tanto si profonda, che occhio suo né d'altrui non vede la sua sommità, cioè la sua profondità." (Anonimo Fiorentino) L'immagine del monte della virtù è di frequente uso scritturistico e liturgico ed è unita, quasi sempre, al concetto dì ascensione, di rinuncia, dì progressiva conquista della Grazia attraverso la liberazione dal male, perché il passaggio dalla fatica dell'esercizio ascetico alla beatitudine della contemplazione è l'itinerario consueto della mistica cristiana.
97 E com' elli ebbe sua parola detta,
una voce di presso sonò: «Forse
che di sedere in pria avrai distretta!».
  97

E non appena egli ebbe finito di parlare, risuonò vicina una voce: «Forse avrai bisogno di ríposarti prima dì giungere lassù!»

  E’ la voce di Belacqua che, secondo l'Anonimo Fiorentino, "fu uno cittadino di Firenze, artefice, e facea cotai colli di liuti e di chitarre, e era il più pigro uomo che fosse mai. E si dice di lui ch'egli venia la mattina a bottega, e ponevasi a sedere, e mai non si levava se non quando egli voleva ire a desinare e a dormire. Ora l'autore fu forte suo dimestico: molto il ríprendea di questa sua nigligenzia".
Questa voce interviene dando l'impressione di continuare il tono del discorso di Virgilio, ed è invece, secondo l'acuta analisi del Sapegno, la proiezione che Dante fa di un suo sentimento contrastante con le nobili parole di Virgilio, per "esprimere le esigenze e i bisogni realistici della sua carne fragile", oggettivando il conflitto che si svolge nel suo intimo. "Lo slancio dello spirito deve pur fare in ogni momento i conti con la fragilità della carne", e deve moderare la sua baldanza di fronte alle difficoltà che attendono di essere superate, abbandonandosi più pazientemente e docilmente alla volontà divina. Proprio in questo apparente contrasto, tra il senso di fatica e di ascesi sottolineato dallo spirito del Poeta e il senso di abbandono e di passività di Belacqua (esprimente la staticità del corpo), la poesia autentica del canto: la quale è fondata nella prospettiva di equilibrio e di unità tra la debolezza dell'uomo e la forza della Grazia; equilibrio che sostiene l'umanesimo cristiano di Dante e di tutta la Commedia.
Perciò questo episodio non deve essere letto, come molte volte è stato fatto dalla critica, in chiave comica, ma, pur tenendo conto della sua venatura scherzosa, permessa anche dallo spunto autobiografico che riporta ad un ambiente fiorentino fresco e vero, deve essere visto come un serio richiamo ad una maggiore purificazione. Per l'Apollonio "l'orgoglio razionale di Virgilio e Dante, usciti appena dalla scansione eroica che ha misurato, dopo l'ascesa della balza, il cammino delle stelle" a Belacqua "pare, ed è, cosa dappoco; e mentre Dante, orgoglioso ancora, si permette di canzonarlo con aperte parole, e preziose (colui che mostra sé ... ) egli si contenta di staccarlo da sé: va tu su..."
100 Al suon di lei ciascun di noi si torse,
e vedemmo a mancina un gran petrone,
del qual né io né ei prima s'accorse.
  100 Al suono di questa voce entrambi ci volgemmo, e scorgemmo a sinistra un grosso macigno, del quale né io né Virgilio ci eravamo prima accorti.
103 Là ci traemmo; e ivi eran persone
che si stavano a l'ombra dietro al sasso
come l'uom per negghienza a star si pone.
  103 Lo raggiungemmo con fatica; e lì c'era un gruppo di anime che giacevano all'ombra di questa rupe nell'atteggiamento che suole indicare pigrizia.
  Sono le anime di coloro che, per negligenza e pigrizia, aspettarono a pentirsi alla fine della vita e che devono rimanere nell'antipurgatorio tanto tempo quanto vissero.
106 E un di lor, che mi sembiava lasso,
sedeva e abbracciava le ginocchia,
tenendo 'l viso giù tra esse basso.
  106 E una di loro, che mi sembrava stanca, sedeva abbracciando le ginocchia, e abbandonando il viso tra esse.
109 «O dolce segnor mio», diss' io, «adocchia
colui che mostra sé più negligente
che se pigrizia fosse sua serocchia».
  109 «O mia dolce guida» dissi «osserva quello che appare più negligente degli altri, come se la pigrizia fosse una sua sorella.»
112 Allor si volse a noi e puose mente,
movendo 'l viso pur su per la coscia,
e disse: «Or va tu sù, che se' valente!».
  112 Allora quello si volse verso di noi, e guardò, muovendo solo gli occhi lungo la coscia (senza alzare il viso), e disse: «Sali tu ora, dal momento che sei così bravo!»
115 Conobbi allor chi era, e quella angoscia
che m'avacciava un poco ancor la lena,
non m'impedì l'andare a lui; e poscia
  115 Riconobbi allora chi era, e l'affanno che rendeva ancora un poco affrettato il mio respiro, non mi impedì di accostarmi a lui; e dopo
118 ch'a lui fu' giunto, alzò la testa a pena,
dicendo: «Hai ben veduto come 'l sole
da l'omero sinistro il carro mena?».
  118 che gli giunsi accanto, sollevò un poco la testa, dicendo: «Hai capito bene come il sole manda i suoi raggi dalla parte sinistra?»
  La derisione di Belacqua sottolinea, ironizzandola, l'eccessiva attenzione di Dante alla spiegazione astronomica di Virgilio e contrappone, a quell'impegno di conoscenza, la propria indolente saggezza, che supera quelle questioni perché non se le pone, quasi sentisse la sua pigrizia come una fatalità. Alcuni tuttavia intendono l'ironia di Belacqua rivolta non all'attenzione di Dante, ma alla lentezza della sua capacità di intendere una spiegazione così semplice. Gli atti... pigri e le corte parole muoveranno il riso di Dante. "La prima volta ch'e' rida - nota il Tommaseo - l'altra sarà alle parole di Stazio: l'uno sorriso di sdegno, ma amico, l'altro d'affetto, ma riverente; le due aie di Dante."
121 Li atti suoi pigri e le corte parole
mosser le labbra mie un poco a riso;
poi cominciai: «Belacqua, a me non dole
  121 I suoi atti pigri e le sue parole brevi mossero un poco le mie labbra al sorriso; poi dissi: «Belacqua, io non sono più in ansia
124 di te omai; ma dimmi: perché assiso
quiritto se'? attendi tu iscorta,
o pur lo modo usato t'ha' ripriso?».
  124 per te ormai (sapendoti salvo); ma dimmi: perché te ne stai seduto appunto qui? aspetti forse una guida, oppure sei stato ripreso dalla pigrizia abituale?»
127 Ed elli: «O frate, andar in sù che porta?
ché non mi lascerebbe ire a' martìri
l'angel di Dio che siede in su la porta.
  127 E quello; «Fratello, che giova il salire? infatti l'angelo di Dio che custodisce la porta del purgatorio non mi lascerebbe affrontare le pene dell'espiazione.
  Belacqua non solo ha un atteggiamento passivo, ma sembra giustificare la sua stessa indolenza: o frate, l'andar su che porta? Infatti l'angelo gli impedirebbe di salire anche se egli lo volesse. Questa giustificazione della pigrizia è sembrata ad alcuni discordante dallo spirito di tutta la cantica, la quale è liberazione progressiva dal terrestre e, comunque, sempre tensione verso la beatitudine, mentre a quello spirito si ricollega appieno. Il Pietrobono così nota a proposito: "Se l'angelo portiere non gli permette d'entrare, e Dio agli accidiosi ha negato il conforto e il beneficio della preghiera, e lì nell'antipurgatorio le anime non sono soggette a pene fisiche, che dovrebbe fare Belacqua? Altro non può se non aspettare il tempo stabilito e, per sua vergogna, in un'attitudine che gli ricorda di continuo la colpa. In fondo gli spiriti dei pigri, come tanti altri, patiscono del male che hanno commesso".
130 Prima convien che tanto il ciel m'aggiri
di fuor da essa, quanto fece in vita,
per ch'io 'ndugiai al fine i buon sospiri,
  130 E' necessario che prima il cielo giri intorno a me fuori di quella porta, per tutto il tempo che mi girò intorno in vita, poiché rimandai fino all'estremo il pentimento,
133 se orazïone in prima non m'aita
che surga sù di cuor che in grazia viva;
l'altra che val, che 'n ciel non è udita?».
  133 se non mi aiuta prima la preghiera che sgorga da un cuore in grazia di Dio: che vale l'altra (quella del peccatore), che non è esaudita in cielo?»
  L'apparente scontrosa ironia di Belacqua, unico spiraglio in quella sua compatta staticità, si scioglie dinanzi alla invocazione - pur contenuta - di preghiere: "Belacqua si trasforma, come doveva inevitabilmente avvenire, in un personaggio di gentilezza, perfettamente circoscritto nella luce morale che vela di malinconia, di trepida attesa le anime della seconda cantica".(Romagnoli)
136 E già il poeta innanzi mi saliva,
e dicea: «Vienne omai; vedi ch'è tocco
meridïan dal sole e a la riva
  136 E già Virgilio, saliva precedendomi, e dicendomi, «Vieni ormai: vedi che il sole è al meridiano (è tocco meridian dal sole: è cioè mezzogiorno) mentre (nell'emisfero boreale) sulla riva dell'Oceano
139 cuopre la notte già col piè Morrocco».   139 la notte già si distende fino al Marocco (Morrocco: esso costituiva l'estrema parte occidentale della terra abitata)».

 

© 2009 - Luigi De Bellis