1 |
Quando per
dilettanze o ver per doglie,
che alcuna virtù nostra comprenda,
l'anima bene ad essa si raccoglie, |
|
1 |
Quando per un'impressione di piacere o di dolore, che
una qualche potenza della nostra anima riceve in sé,
l'anima si concentra tutta in quella facoltà,
|
4 |
par ch'a
nulla potenza più intenda;
e questo è contra quello error che crede
ch'un'anima sovr' altra in noi s'accenda. |
|
4 |
sembra allora che essa non
presti più attenzione a nessun'altra sua facoltà; e
questo fatto é una prova contro quella dottrina errata
la quale ritiene che in noi si formino più anime una
accanto all'altra. |
|
Dante sostiene, secondo il principio scolastico, una
sola essenza dell'anima, che "hae tre potenze, cioè
vivere, sentire e ragionare" (Convivio III, Il, 11), e
quando essa è intensamente occupata in un'operazione,
non può impegnarsi in altre. Viene così confutata la
teoria platonica della formazione e dell'esistenza di
tre anime, la vegetativa, la sensitiva, l'intellettiva. |
7 |
E però,
quando s'ode cosa o vede
che tegna forte a sé l'anima volta,
vassene 'l tempo e l'uom non se n'avvede; |
|
7 |
E perciò. quando si
ascolta o si vede qualcosa che attiri a sé fortemente
l'anima, il tempo trascorre senza che uno se ne accorga, |
10 |
ch'altra
potenza è quella che l'ascolta,
e altra è quella c'ha l'anima intera:
questa è quasi legata e quella è sciolta. |
|
10 |
poiché una è la facoltà
che percepisce il passare del tempo (che l'ascolta: la
facoltà intellettiva), e una altra (la facoltà sensítiva)
è quella che concentra in sé l'anima intera: questa è
come legata (alle impressioni che percepisce), quella
invece è sciolta da ogni ufficio (perché l'attenzione
dell'anima è rivolta altrove). |
|
L'esordio solenne rivestito dei moduli espressivi della
Scolastica pare chiudere il canto IV in una di quelle
zone che il Croce definisce, nell'esclusione di ogni
forma di scienza dalla poesia, non poetiche e che il
D'Ovidio censura affermando che "se Dante ebbe il
proposito di riposar l'animo dei lettori
dall'ammirazione dei tre canti che precedono" e dargli
lena ad ammirare la bellezza del successivo e la
sublimità dei tre appresso, riposarlo dallo stupore con
la fatica, non si può negare che v'è riuscito!" In
realtà, pur essendo innegabile il peso degli elementi
didascalici (il massimo sviluppo si avrà nei versi
61-96), da Dante ritenuti necessari al fine di spiegare
la disposizione cosmografica del secondo regno, è
necessario rilevare che nel pensiero medievale la
scienza costituisce elemento di elevazione e modo di
purificazione, portando l'uomo. attraverso la
meditazione, a considerare ogni vicenda, ed esteriore ed
interiore, della sua vita in una prospettiva universale,
trovando in quella vicenda lo stesso ritmo di leggi e
principii generali. Tale posizione garantisce la
validità strutturale di questo inizio, ma assicura anche
la liricitá, polarizzando l'interesse sulla nuova
situazione spirituale di Dante. Finora ogni suo gesto e
ogni suo passo implicanti una conquista purificatoria
erano stati guidati, o addirittura voluti attraverso
duri rimproveri, da Catone e da Virgilio, quasi il Poeta
fosse ancora troppo impedito dai legami terreni. Ora,
"fisso e attento alle parole di Manfredi con la medesima
fissità e attenzione che ebbe di fronte al canto di
Casella, Dante ha ... saputo superare il pericolo della
lentezza e della negligenza - l'accusa di Catone ~
intendendo appieno verso quali oggetti debba convergere
il suo spirito nella via del purgatorio. Qui Dante
giustifica filosoficamente la necessità della rampogna
di Catone. La scienza filosofica lo illumina sul
pericolo della contentezza provata durante il canto
dell'amico musico" (Romagnoli). Dante, al quale ormai
basta un semplice cenno delle anime (verso 18) per
riscuotersi, entra dunque nella legge morale del
purgatorio, preannunziando "la sua prima vittoria
conseguita nella vicenda della dura e vincolante
dialettica, dei rapporti anima-corpo,
intelletto-senso".(Mattalia) |
13 |
Di ciò ebb'
io esperïenza vera,
udendo quello spirto e ammirando;
ché ben cinquanta gradi salito era |
|
13 |
Di questo fatto io ebbi personale esperienza, ascoltando
e guardando intensamente Manfredi; infatti di oltre
cinquanta gradi era salito |
16 |
lo sole, e
io non m'era accorto, quando
venimmo ove quell' anime ad una
gridaro a noi: «Qui è vostro dimando». |
|
16 |
il sole (esso percorre
quindici gradi ogni ora: perciò sono trascorse più di
tre ore dal levarsi del sole e dall'apparizione
dell'angelo nocchiero), ed io non me ne ero accorto,
quando giungemmo in un punto in cui quelle anime ci
gridarono tutte insieme: « Questo è il luogo di cui ci
avete domandato». |
19 |
Maggiore
aperta molte volte impruna
con una forcatella di sue spine
l'uom de la villa quando l'uva imbruna, |
|
19 |
Il contadino
quando l'uva incomincia a maturare (imbruna; bisogna
perciò difenderla dai ladri) spesso con una piccola
forcata di spine chiude con questi pruni un'apertura
della siepe più larga |
22 |
che non era
la calla onde salìne
lo duca mio, e io appresso, soli,
come da noi la schiera si partìne. |
|
22 |
di quello che non fosse il sentiero lungo il quale
salimmo Virgilio, ed io dietro di lui, soli, dopo che la
schiera delle anime si era congedata da noi. |
|
Se l'apertura di questa similitudine dà la misura di
un'attenzione concretissima alla terra, qui osservata
nell'animato ritmo di una scena campestre, è tuttavia il
verso 23 - con il suo stile duro, spezzato da continue
pause, che si raccolgono tutte in un'unica, lunga
sospensione nell'aggettivo soli - che apre un tema
maestro, facendo del IV canto "uno dei più importanti
dall'angolo visuale del contenuto " (Jenni) : i due
pellegrini iniziano l'ascesa dei monte, che finora
avevano osservato solo dalla spiaggia e del quale
avevano già guardato con preoccupazione la ripidità
(canto III, versi 46-51). Le due similitudini
realistiche (maggiore aperta... vassi in Sanleo... )
poste in successione immediata, "come una ripresa, una
movenza stilistica di constatazione vagamente
esclamativa" (Jenni), sono per il Poeta necessarie al
fine di mettere subito in rilievo il carattere
eccezionale della salita, contemporaneamente
introducendoci nell'atmosfera di silenzio e di
solitudine, che, secondo il Momigliano, è il motivo
lirico del canto, accanto alla "presenza solenne e muta
della montagna, che nel Purgatorio è protagonista della
poesia ben più che l'abisso nell'Inferno". |
25 |
Vassi in
Sanleo e discendesi in Noli,
montasi su in Bismantova e 'n Cacume
con esso i piè; ma qui convien ch'om voli; |
|
25 |
E' possibile arrivare a Sanleo (borgo del ducato
d'Urbino, posto su un ripido colle che si raggiungeva
con un sentiero scavato nella roccia) e scendere a Noli
(cittadina della riviera ligure di ponente, alla quale
si accedeva scendendo lungo pareti a picco sul mare),
salire sul Bismantova (alto monte dell'Appennino nel
territorio di Reggio Emilia) fin sulla vetta solamente
coi piedi; ma qui è necessario che si voli; |
28 |
dico con l'ale
snelle e con le piume
del gran disio, di retro a quel condotto
che speranza mi dava e facea lume. |
|
28 |
dico con le ali veloci e
con le piume del grande desiderio, seguendo quella guida
che mi dava speranza e mi faceva luce. |
|
I mezzi necessari per salire il monte del purgatorio -
la cui ripidità supera ogni confronto umano - sono
quelli spirituali: "colla fede e colla speranza che sono
l'ali che portano i virtuosi e fedeli".(Anonimo
Fiorentino) |
31 |
Noi salavam
per entro 'l sasso rotto,
e d'ogne lato ne stringea lo stremo,
e piedi e man volea il suol di sotto. |
|
31 |
Salivamo per un sentiero
scavato nella roccia, e (era tanto angusto che) le sue
sponde ci stringevano a destra e a sinistra, e il suolo
sottostante costringeva ad aiutarsi con i piedi e con le
mani. |
34 |
Poi che noi
fummo in su l'orlo suppremo
de l'alta ripa, a la scoperta piaggia,
«Maestro mio», diss' io, «che via faremo?». |
|
34 |
Dopo essere giunti al
termine dell'alta parete (alta ripa; essa costituisce la
base del monte), su uno spiazzo aperto (non incassato
nella roccia), dissi: «Maestro, che via seguiremo?» |
37 |
Ed elli a
me: «Nessun tuo passo caggia;
pur su al monte dietro a me acquista,
fin che n'appaia alcuna scorta saggia». |
|
37 |
Ed egli mi rispose: «Il
tuo passo non pieghi né a destra né a sinistra: avanza
sempre verso l'alto seguendo me finché ci appaia qualche
guida esperta del cammino». |
40 |
Lo sommo er'
alto che vincea la vista,
e la costa superba più assai
che da mezzo quadrante a centro lista. |
|
40 |
La vetta del monte era
così alta che superava ogni possibilità della nostra
vista, e il pendio era assai più ripido di una linea
condotta dal punto mediano di un quadrante al centro del
cerchio (poiché il quadrante di un cerchio corrisponde
ad un angolo al centro di 90 gradi, la linea ha
un'inclinazione di 45 gradi: la costa perciò è quasi
perpendicolare al monte). |
43 |
Io era
lasso, quando cominciai:
«O dolce padre, volgiti, e rimira
com' io rimango sol, se non restai». |
|
43 |
Ero stanco, quando dissi:
«O dolce padre, volgiti, e guarda che rimango indietro,
solo, se non ti fermì ad' aspettarmi». |
46 |
«Figliuol
mio», disse, «infin quivi ti tira»,
additandomi un balzo poco in sùe
che da quel lato il poggio tutto gira. |
|
46 |
«Figliolo, cerca di
trascinarti fin qui» disse, indicandomi un ripiano poco
più in alto, che cingeva tutto il monte dalla, parte a
noi visibile. |
49 |
Sì mi
spronaron le parole sue,
ch'i' mi sforzai carpando appresso lui,
tanto che 'l cinghio sotto i piè mi fue. |
|
49 |
Le sue parole mi
spronarono a tal punto, che riunii tutti i miei sforzi,
procedendo a carponi dietro di lui, finché raggiunsi
quella sporgenza. |
|
L'ascensione di Dante e Virgilio - pur resa con una
rappresentazione molto mossa, in cui il dialogo tra i
due poeti è ricco di una familiarità sostenuta dalla
comune fatica dell'ascesa ed espressa nel rapporto
padre-figlio, che ora ha sostituito quello
maestro-discepolo - ha il significato allegorico-morale
di purificazione raggiunta via via attraverso la fatica
del superamento. "Ci troviamo di fronte a uno di quei
luoghi del poema dove l'allegoria si aggruma" (Jenni) in
un'ascesa ambivalente, accostata da alcuni critici
moderni a quella del Petrarca sul monte Ventoux,
descritta; nell'epistola datata Malaucène 26 aprile
1336. Anche il Petrarca conferisce ad ogni gesto suo e
del fratello Gherardo che l'accompagna, una
significazione morale, ma mentre in lui il senso
letterale e quello allegorico restano sempre distinti,
in Dante essi sono fusi a un grado così avanzata", che
nei migliori momenti non sí danneggiano. Noi possiamo
leggere questo primo episodio d'una scalata con una
partecipazione viva come per un'impresa di montagna... E
quando Virgilio dà al suo protetto il mezzo ordine e
mezzo consiglio di non fare nemmeno un passo in giù, si
tratta d'un ammonimento morale che però vale alla
perfezione già per la sola fatica fisica. Senza contare
che sempre, nei luoghi danteschi di allegoria più ricca,
restano dei particolari il cui senso non oltrepassa
quello letterale: come, qui, l'ultimo « carpare » di
Dante per giungere al cìnghio".(Jenni) |
52 |
A seder ci
ponemmo ivi ambedui
vòlti a levante ond' eravam saliti,
che suole a riguardar giovare altrui. |
|
52 |
Lì ci sedemmo entrambi
rivolti verso oriente, da dove eravamo saliti, poiché
guardare il cammino già fatto suole apportare conforto e
gioia agli uomini. |
55 |
Li occhi
prima drizzai ai bassi liti;
poscia li alzai al sole, e ammirava
che da sinistra n'eravam feriti. |
|
55 |
Dapprima volsi lo sguardo
verso la spiaggia; poi lo alzai verso il sole, e mi
accorsi con stupore che i suoi raggi ci colpivano
provenendo da sinistra. |
|
Molti critici moderni vedono nel volgersi di Dante verso
oriente un significato mistico, dal momento che, prima
ancora della letteratura medievale, già quella
patristica avvertiva del valore della preghiera fatta
verso oriente, da dove era venuto Cristo. Ma poiché i
più antichi commentatori non hanno rilevato nei versi
53~54 tale significato, il Sapegno ritiene giustamente
che "Dante non guarda all'oriente in quanto tale, bensì
alla parte da cui è salito".
Benché il gran disio sospinga verso l'alto. il cammino
resta pur sempre aspro per il corpo e lo spirito, crea
un affanno fisico e un affanno morale (che via faremo?;
rimira com'io rimango sol, se non restai) in Dante,
motivando uno stato di perplessità smarrita che era già
stato presente nei canti precedenti, ma che ora viene
superato in virtù della vicinanza della meta
(additandomi un balzo poco in sue). E' il "momento -
afferma il Romagnoli - più schietto e fresco della gioia
di Dante: e non possiamo non partecipare a questo
silenzioso trionfo della vista sua... e non possiamo non
assentire a quel gesto di alzare gli occhi al sole, di
muovere la propria vista nella libertà degli spazi
infiniti... Il canto sembra giunto al suo culmine,
sembra sciogliere tutti gli elementi del dramma umano di
Dante per liberarli nell'infinitezza del cielo", ma è
una pausa contemplativa breve, anche se molto intensa,
perché è subito interrotta dallo stupore (versi 56-57).
"Il fatto è che Dante non può indugiare sugli elementi
contemplativi... in un canto tutto incentrato sullo
slancio morale della conquista, sull'acquisto di scienza
certa", che può essergli data solo da Virgilio, la
ragione, che, dominando l'apparente mistero del fenomeno
fisico, ricompone "in filosofica quiete lo spirito
dianzi stupefatto."(Romagnoli) |
58 |
Ben s'avvide
il poeta ch'ïo stava
stupido tutto al carro de la luce,
ove tra noi e Aquilone intrava. |
|
58 |
Virgilio si accorse
facilmente che io guardavo tutto stupefatto il sole, là
dove entrava nel suo cammino fra noi e il settentrione. |
61 |
Ond' elli a
me: «Se Castore e Poluce
fossero in compagnia di quello specchio
che sù e giù del suo lume conduce, |
|
61 |
Per questo egli mi disse:
«Se la costellazione dei Gemelli (Castore e Polluce)
fosse in compagnia del sole che rischiara
alternativamente l'emisfero settentrionale e quello
meridionale, |
64 |
tu vedresti
il Zodïaco rubecchio
ancora a l'Orse più stretto rotare,
se non uscisse fuor del cammin vecchio. |
|
64 |
tu vedresti la parte
rosseggiante dello Zodiaco (la via percorsa dal sole)
ruotare ancora più vicina alla costellazione delle Orse
(cioè al polo artico, essendo la costellazione dei
Gemelli più a nord di quella dell'Ariete con la quale il
sole era allora in congiunzione), a meno che il sole non
deviasse dal suo cammino abituale. |
67 |
Come ciò
sia, se 'l vuoi poter pensare,
dentro raccolto, imagina Sïòn
con questo monte in su la terra stare |
|
67 |
Se vuoi sapere come ciò
avvenga, pensa, raccogliendoti in te stesso che
Gerusalemme e il monte del purgatorio si trovano sulla
terra |
70 |
sì, ch'amendue
hanno un solo orizzòn
e diversi emisperi; onde la strada
che mal non seppe carreggiar Fetòn, |
|
70 |
in modo tale che tutti e
due hanno lo stesso orizzonte astronomico e giacciono in
diversi emisferi; per questo la strada (cioè la
eclittica) che male Fetonte (cfr. Inferno XVII 107-108)
seppe percorrere col carro del sole, |
73 |
vedrai come
a costui convien che vada
da l'un, quando a colui da l'altro fianco,
se lo 'ntelletto tuo ben chiaro bada». |
|
73 |
vedrai come è necessario
che corra, rispetto al monte del purgatorio, da un lato
(cioè da destra a sinistra) e, rispetto a Gerusalemme,
da un altro (cioè da sinistra a destra), se la tua mente
bene discerne». |
76 |
«Certo,
maestro mio», diss' io, «unquanco
non vid' io chiaro sì com' io discerno
là dove mio ingegno parea manco, |
|
76 |
«Di certo, maestro mio»
dissi «non ho mai compreso così chiaramente alcuna cosa
davanti alla quale il mio ingegno appariva
insufficiente, come ora comprendo |
79 |
che 'l mezzo
cerchio del moto superno,
che si chiama Equatore in alcun' arte,
e che sempre riman tra 'l sole e 'l verno, |
|
79 |
che il cerchio mediano
della rotazione celeste, che in astronomia si chiama
Equatore, e che rimane sempre tra il sole e l'inverno,
(perché quando in un emisfero è inverno, nell'altro è
estate e viceversa),
|
82 |
per la
ragion che di', quinci si parte
verso settentrïon, quanto li Ebrei
vedevan lui verso la calda parte. |
|
82 |
per il motivo che tu dici
(cioè che il purgatorio è agli antipodi di Gerusalemme),
da questo monte si allontana verso settentrione, mentre
gli Ebrei (quando abitavano la Palestina) lo vedevano
allontanarsi verso il sud. |
85 |
Ma se a te
piace, volontier saprei
quanto avemo ad andar; ché 'l poggio sale
più che salir non posson li occhi miei». |
|
85 |
Ma se tu vuoi, volentieri
desidererei sapere quanto cammino resta da percorrere,
perché il monte si innalza più di quanto possa salire il
mio sguardo.» |
88 |
Ed elli a
me: «Questa montagna è tale,
che sempre al cominciar di sotto è grave;
e quant' om più va sù, e men fa male. |
|
88 |
Ed egli: «Questo monte è
tale, che la ascesa è sempre ardua per chi l'inizia dal
basso; ma quanto più si sale tanto meno essa appare
faticosa. |
91 |
Però, quand'
ella ti parrà soave
tanto, che sù andar ti fia leggero
com' a seconda giù andar per nave, |
|
91 |
Perciò, quando essa ti
sembrerà dolce a tal punto, che il salire diventerà per
te facile come procedere su una nave seguendo la
corrente, |
94 |
allor sarai
al fin d'esto sentiero;
quivi di riposar l'affanno aspetta.
Più non rispondo, e questo so per vero». |
|
94 |
allora sarai giunto alla
fine di questo cammino: qui soltanto potrai riposarti
dell'affanno della salita. Non ti rispondo oltre, e
questo so come cosa certa». |
|
"Il monte della virtù è tanto alto e tanto si profonda,
che occhio suo né d'altrui non vede la sua sommità, cioè
la sua profondità." (Anonimo Fiorentino) L'immagine del
monte della virtù è di frequente uso scritturistico e
liturgico ed è unita, quasi sempre, al concetto dì
ascensione, di rinuncia, dì progressiva conquista della
Grazia attraverso la liberazione dal male, perché il
passaggio dalla fatica dell'esercizio ascetico alla
beatitudine della contemplazione è l'itinerario consueto
della mistica cristiana. |
97 |
E com' elli
ebbe sua parola detta,
una voce di presso sonò: «Forse
che di sedere in pria avrai distretta!». |
|
97 |
E non appena egli ebbe finito di
parlare, risuonò vicina una voce: «Forse avrai bisogno
di ríposarti prima dì giungere lassù!» |
|
E’ la voce di Belacqua che, secondo l'Anonimo
Fiorentino, "fu uno cittadino di Firenze, artefice, e
facea cotai colli di liuti e di chitarre, e era il più
pigro uomo che fosse mai. E si dice di lui ch'egli venia
la mattina a bottega, e ponevasi a sedere, e mai non si
levava se non quando egli voleva ire a desinare e a
dormire. Ora l'autore fu forte suo dimestico: molto il
ríprendea di questa sua nigligenzia".
Questa voce interviene dando l'impressione di continuare
il tono del discorso di Virgilio, ed è invece, secondo
l'acuta analisi del Sapegno, la proiezione che Dante fa
di un suo sentimento contrastante con le nobili parole
di Virgilio, per "esprimere le esigenze e i bisogni
realistici della sua carne fragile", oggettivando il
conflitto che si svolge nel suo intimo. "Lo slancio
dello spirito deve pur fare in ogni momento i conti con
la fragilità della carne", e deve moderare la sua
baldanza di fronte alle difficoltà che attendono di
essere superate, abbandonandosi più pazientemente e
docilmente alla volontà divina. Proprio in questo
apparente contrasto, tra il senso di fatica e di ascesi
sottolineato dallo spirito del Poeta e il senso di
abbandono e di passività di Belacqua (esprimente la
staticità del corpo), la poesia autentica del canto: la
quale è fondata nella prospettiva di equilibrio e di
unità tra la debolezza dell'uomo e la forza della
Grazia; equilibrio che sostiene l'umanesimo cristiano di
Dante e di tutta la Commedia.
Perciò questo episodio non deve essere letto, come molte
volte è stato fatto dalla critica, in chiave comica, ma,
pur tenendo conto della sua venatura scherzosa, permessa
anche dallo spunto autobiografico che riporta ad un
ambiente fiorentino fresco e vero, deve essere visto
come un serio richiamo ad una maggiore purificazione.
Per l'Apollonio "l'orgoglio razionale di Virgilio e
Dante, usciti appena dalla scansione eroica che ha
misurato, dopo l'ascesa della balza, il cammino delle
stelle" a Belacqua "pare, ed è, cosa dappoco; e mentre
Dante, orgoglioso ancora, si permette di canzonarlo con
aperte parole, e preziose (colui che mostra sé ... )
egli si contenta di staccarlo da sé: va tu su..." |
100 |
Al suon di
lei ciascun di noi si torse,
e vedemmo a mancina un gran petrone,
del qual né io né ei prima s'accorse. |
|
100 |
Al suono di
questa voce entrambi ci volgemmo, e scorgemmo a sinistra
un grosso macigno, del quale né io né Virgilio ci
eravamo prima accorti. |
103 |
Là ci
traemmo; e ivi eran persone
che si stavano a l'ombra dietro al sasso
come l'uom per negghienza a star si pone. |
|
103 |
Lo raggiungemmo con
fatica; e lì c'era un gruppo di anime che giacevano
all'ombra di questa rupe nell'atteggiamento che suole
indicare pigrizia. |
|
Sono le anime di coloro che, per negligenza e pigrizia,
aspettarono a pentirsi alla fine della vita e che devono
rimanere nell'antipurgatorio tanto tempo quanto vissero. |
106 |
E un di lor,
che mi sembiava lasso,
sedeva e abbracciava le ginocchia,
tenendo 'l viso giù tra esse basso. |
|
106 |
E una di loro, che mi
sembrava stanca, sedeva abbracciando le ginocchia, e
abbandonando il viso tra esse. |
109 |
«O dolce
segnor mio», diss' io, «adocchia
colui che mostra sé più negligente
che se pigrizia fosse sua serocchia». |
|
109 |
«O mia dolce guida» dissi
«osserva quello che appare più negligente degli altri,
come se la pigrizia fosse una sua sorella.» |
112 |
Allor si
volse a noi e puose mente,
movendo 'l viso pur su per la coscia,
e disse: «Or va tu sù, che se' valente!». |
|
112 |
Allora quello si volse
verso di noi, e guardò, muovendo solo gli occhi lungo la
coscia (senza alzare il viso), e disse: «Sali tu ora,
dal momento che sei così bravo!» |
115 |
Conobbi
allor chi era, e quella angoscia
che m'avacciava un poco ancor la lena,
non m'impedì l'andare a lui; e poscia |
|
115 |
Riconobbi allora chi era,
e l'affanno che rendeva ancora un poco affrettato il mio
respiro, non mi impedì di accostarmi a lui; e dopo |
118 |
ch'a lui fu'
giunto, alzò la testa a pena,
dicendo: «Hai ben veduto come 'l sole
da l'omero sinistro il carro mena?». |
|
118 |
che gli giunsi accanto,
sollevò un poco la testa, dicendo: «Hai capito bene come
il sole manda i suoi raggi dalla parte sinistra?» |
|
La derisione di Belacqua sottolinea, ironizzandola,
l'eccessiva attenzione di Dante alla spiegazione
astronomica di Virgilio e contrappone, a quell'impegno
di conoscenza, la propria indolente saggezza, che supera
quelle questioni perché non se le pone, quasi sentisse
la sua pigrizia come una fatalità. Alcuni tuttavia
intendono l'ironia di Belacqua rivolta non
all'attenzione di Dante, ma alla lentezza della sua
capacità di intendere una spiegazione così semplice. Gli
atti... pigri e le corte parole muoveranno il riso di
Dante. "La prima volta ch'e' rida - nota il Tommaseo -
l'altra sarà alle parole di Stazio: l'uno sorriso di
sdegno, ma amico, l'altro d'affetto, ma riverente; le
due aie di Dante." |
121 |
Li atti suoi
pigri e le corte parole
mosser le labbra mie un poco a riso;
poi cominciai: «Belacqua, a me non dole |
|
121 |
I suoi atti pigri e le sue
parole brevi mossero un poco le mie labbra al sorriso;
poi dissi: «Belacqua, io non sono più in ansia |
124 |
di te omai;
ma dimmi: perché assiso
quiritto se'? attendi tu iscorta,
o pur lo modo usato t'ha' ripriso?». |
|
124 |
per te ormai (sapendoti
salvo); ma dimmi: perché te ne stai seduto appunto qui?
aspetti forse una guida, oppure sei stato ripreso dalla
pigrizia abituale?» |
127 |
Ed elli: «O
frate, andar in sù che porta?
ché non mi lascerebbe ire a' martìri
l'angel di Dio che siede in su la porta. |
|
127 |
E quello; «Fratello, che
giova il salire? infatti l'angelo di Dio che custodisce
la porta del purgatorio non mi lascerebbe affrontare le
pene dell'espiazione. |
|
Belacqua non solo ha un atteggiamento passivo, ma sembra
giustificare la sua stessa indolenza: o frate, l'andar
su che porta? Infatti l'angelo gli impedirebbe di salire
anche se egli lo volesse. Questa giustificazione della
pigrizia è sembrata ad alcuni discordante dallo spirito
di tutta la cantica, la quale è liberazione progressiva
dal terrestre e, comunque, sempre tensione verso la
beatitudine, mentre a quello spirito si ricollega
appieno. Il Pietrobono così nota a proposito: "Se
l'angelo portiere non gli permette d'entrare, e Dio agli
accidiosi ha negato il conforto e il beneficio della
preghiera, e lì nell'antipurgatorio le anime non sono
soggette a pene fisiche, che dovrebbe fare Belacqua?
Altro non può se non aspettare il tempo stabilito e, per
sua vergogna, in un'attitudine che gli ricorda di
continuo la colpa. In fondo gli spiriti dei pigri, come
tanti altri, patiscono del male che hanno commesso". |
130 |
Prima
convien che tanto il ciel m'aggiri
di fuor da essa, quanto fece in vita,
per ch'io 'ndugiai al fine i buon sospiri, |
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130 |
E' necessario che prima il
cielo giri intorno a me fuori di quella porta, per tutto
il tempo che mi girò intorno in vita, poiché rimandai
fino all'estremo il pentimento, |
133 |
se orazïone
in prima non m'aita
che surga sù di cuor che in grazia viva;
l'altra che val, che 'n ciel non è udita?». |
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133 |
se non mi aiuta prima la
preghiera che sgorga da un cuore in grazia di Dio: che
vale l'altra (quella del peccatore), che non è esaudita
in cielo?» |
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L'apparente scontrosa ironia di Belacqua, unico
spiraglio in quella sua compatta staticità, si scioglie
dinanzi alla invocazione - pur contenuta - di preghiere:
"Belacqua si trasforma, come doveva inevitabilmente
avvenire, in un personaggio di gentilezza, perfettamente
circoscritto nella luce morale che vela di malinconia,
di trepida attesa le anime della seconda
cantica".(Romagnoli) |
136 |
E già il
poeta innanzi mi saliva,
e dicea: «Vienne omai; vedi ch'è tocco
meridïan dal sole e a la riva |
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136 |
E già Virgilio, saliva
precedendomi, e dicendomi, «Vieni ormai: vedi che il
sole è al meridiano (è tocco meridian dal sole: è cioè
mezzogiorno) mentre (nell'emisfero boreale) sulla riva
dell'Oceano |
139 |
cuopre la
notte già col piè Morrocco». |
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139 |
la notte già si distende
fino al Marocco (Morrocco: esso costituiva l'estrema
parte occidentale della terra abitata)». |