1 |
«S'io ti
fiammeggio nel caldo d'amore
di là dal modo che 'n terra si vede,
sì che del viso tuo vinco il valore, |
|
1 |
“Se io nell’ardore dell’amore divino risplendo ai tuoi
occhi in modo superiore a quello che si può vedere
(risplendere) sulla terra, tanto che la tua capacità
visiva rimane sopraffatta, |
4 |
non ti
maravigliar, ché ciò procede
da perfetto veder, che, come apprende,
così nel bene appreso move il piede. |
|
4 |
non meravigliarti, perché
tale effetto proviene dalla perfezione della mia vista,
la quale, quanto più percepisce la luce divina, tanto
più si addentra nel bene percepito (ed è da questo
illuminata). |
7 |
Io veggio
ben sì come già resplende
ne l'intelletto tuo l'etterna luce,
che, vista, sola e sempre amore accende; |
|
7 |
Io vedo chiaramente come
nel tuo intelletto risplende già la luce della verità
eterna, la quale, in chi la vede, accende essa sola è
per sempre l’amore di se; |
10 |
e s'altra
cosa vostro amor seduce,
non è se non di quella alcun vestigio,
mal conosciuto, che quivi traluce. |
|
10 |
e se qualche altro bene
terreno attrae il vostro desiderio, è solo perché in
esso traspare una parvenza, mal compresa, della verità
eterna. |
13 |
Tu vuo'
saper se con altro servigio,
per manco voto, si può render tanto
che l'anima sicuri di letigio». |
|
13 |
Tu desideri sapere se, in caso di voto inadempiuto, si
può compensare (Dio) con altra opera meritoria, tale che
metta l’animo al sicuro da ogni contrasto (con la
giustizia divina)". |
16 |
Sì cominciò
Beatrice questo canto;
e sì com' uom che suo parlar non spezza,
continüò così 'l processo santo: |
|
16 |
Con tali parole Beatrice
cominciò a esporre l’argomento di questo canto; e come
colui che non interrompe il suo discorso, ella continuò
così il santo ( perché ispirato da Dio) ragionamento: |
19 |
«Lo maggior
don che Dio per sua larghezza
fesse creando, e a la sua bontate
più conformato, e quel ch'e' più apprezza, |
|
19 |
“Il dono più
grande che Dio, creando (gli uomini), abbia fatto per
sua generosità e insieme quello più conforme alla sua
bontà e quello che Egli stesso stima più di tutti (gli
altri doni ), |
22 |
fu de la
volontà la libertate;
di che le creature intelligenti,
e tutte e sole, fuoro e son dotate. |
|
22 |
fu la libertà della volontà (il libero arbitrio); e di
questo dono furono e sono dotate, tutte e soltanto loro,
le creature intelligenti. |
25 |
Or ti parrà,
se tu quinci argomenti,
l'alto valor del voto, s'è sì fatto
che Dio consenta quando tu consenti; |
|
25 |
Ora, se tu ragioni partendo da questa premessa, ti
apparirà chiara la grande importanza del voto, purché
sia tale che Dio accetti quando tu prometti, |
28 |
ché, nel
fermar tra Dio e l'omo il patto,
vittima fassi di questo tesoro,
tal quale io dico; e fassi col suo atto. |
|
28 |
perché, nello stabilire
(col voto) il patto tra Dio e l’uomo, si fa sacrificio
di questo tesoro del libero volere, tesoro così prezioso
come ti ho detto; e (questo sacrificio) si compie con un
atto della volontà stessa. |
31 |
Dunque che
render puossi per ristoro?
Se credi bene usar quel c'hai offerto,
di maltolletto vuo' far buon lavoro. |
|
31 |
Dunque che cosa si può offrire a Dio in
risarcimento (del voto non osservato)? Se tu credi di
poter usare ancora per uno scopo buono quella libertà
che hai offerta (a Dio), pretendi di fare opere di bene
con una cosa presa illecitamente ad altri. |
|
Per comprendere l'ampiezza della trattazione riguardante
il voto, la quale occupa buona parte del quarto canto e
quasi tutto il quinto, ci aiutano alcune riflessioni.
Innanzi tutto Dante intende colpire l'abitudine, molto
radicata al suo tempo, di fare voti frequenti e spesso
strani, che riducevano il rapporto fra l'uomo e Dio ad
un rapporto contrattuale o a una pratica magica.
Accadeva inoltre facilmente che ci si stancasse o ci si
pentisse del voto promesso e si cercasse di ritirarlo o
di diminuirne il peso. In secondo luogo il tema del voto
si presta alla celebrazione di quell'ideale eroico di
vita che fu proprio dell'Alighieri e che ispira tutta
l'etica della Commedia. Il discorso di Beatrice può
essere diviso in due parti, senza timore di distruggerne
la sostanziale unità, che trova le sue radici nelle
profonde convinzioni morali del Poeta. Nella prima parte
viene esposta la natura e l'importanza del voto (versi
19-63), mentre la seconda si presenta come un'ampia e
amara invettiva contro la stoltezza degli uomini,
invettiva che è conclusione e, insieme, giustificazione
delle note teologiche di questo canto e di quello
precedente. Secondo il procedimento aristotelico Dante
prende l'avvio dell'enunciazione dei principi universali
sui quali è formato il problema particolare. La libera
volontà (o libero arbitrio) è il dono più grande che Dio
abbia fatto alle creature dotate di intelligenza, cioé
agli angeli e agli uomini. Dante afferma qui, in modo
appassionato e commosso, un principio già rilevato nella
Monarchia (I, XII, 6: "la libertà... è il dono più
grande da Dio offerto alla natura umana: perché per esso
siamo felici sulla terra come uomini, e per esso siamo
felici altrove come beati"), sul quale era tornato due
volte nel Purgatorio (XVI, 67-81; XVIII, 49-75) e di cui
aveva già iniziato la celebrazione nel canto IV del
Paradiso (versi 76-88). Ora l'uomo con il voto si
impegna a rinunciare a questo dono, offrendolo a Dio
come il più prezioso dei sacrifici: la libertà usa di se
stessa per ridonarsi al suo creatore, per cui la vittima
coincide con l'atto con il quale viene immolata: vittima
fosti... e fassi col tuo atto. Tuttavia il voto è tale
solo quando la volontà divina vi acconsente, per cui
oggetto di esso non può essere una cosa stolta o
peccaminosa. Essendo un patto bilaterale, non può essere
annullato dall'uomo, che è solo una delle due parti. |
34 |
Tu se' omai
del maggior punto certo;
ma perché Santa Chiesa in ciò dispensa,
che par contra lo ver ch'i' t'ho scoverto, |
|
34 |
Tu ormai conosci con
certezza il punto essenziale della questione; ma poiché
la Santa Chiesa dispensa in materia di voto, la qual
cosa sembra in contrasto con la verità che io ti ho
esposto, |
37 |
convienti
ancor sedere un poco a mensa,
però che 'l cibo rigido c'hai preso,
richiede ancora aiuto a tua dispensa. |
|
37 |
devi ancora prestarmi un
poco di attenzione, perché l’ardua dimostrazione che hai
appresa, ha bisogno ancora di aiuto per essere
assimilata. |
40 |
Apri la
mente a quel ch'io ti paleso
e fermalvi entro; ché non fa scïenza,
sanza lo ritenere, avere inteso. |
|
40 |
Apri la tua mente a quello
che ti manifesto e fissalo bene nella memoria, perché
l’aver capito, senza ricordare quello che si è compreso,
non forma scienza. |
43 |
Due cose si
convegnono a l'essenza
di questo sacrificio: l'una è quella
di che si fa; l'altr' è la convenenza. |
|
43 |
Due cose sono necessarie
all’essenza di questo sacrificio (a costituire l’essenza
del voto): una è la materia del voto; l’altra è il patto
tra Dio e l’uomo. |
46 |
Quest'
ultima già mai non si cancella
se non servata; e intorno di lei
sì preciso di sopra si favella: |
|
46 |
Quest’ultimo elemento del
voto non si annulla mai se non quando sia stato
completamente adempiuto: e proprio riferendomi ad esso
ho parlato prima in termini così assoluti: |
49 |
però
necessitato fu a li Ebrei
pur l'offerere, ancor ch'alcuna offerta
si permutasse, come saver dei. |
|
49 |
perciò agli Ebrei rimase
sempre l’obbligo di fare offerte a Dio, anche se si
poteva permutare la materia del voto, come devi sapere
anche tu. |
|
La legge di Mosè impose agli Ebrei l'obbligo di fare
delle offerte a Dio tale obbligo doveva essere mantenuto
anche se, in taluni casi, era ammessa la permuta della
materia dell'offerta (cfr. Levitico XXVII, 1-33). |
52 |
L'altra, che
per materia t'è aperta,
puote ben esser tal, che non si falla
se con altra materia si converta. |
|
52 |
L’altro elemento, che ti è
stato dichiarato come materia del voto, può ben essere
di natura tale, che non si pecca se viene commutato con
un altro oggetto. |
55 |
Ma non
trasmuti carco a la sua spalla
per suo arbitrio alcun, sanza la volta
e de la chiave bianca e de la gialla; |
|
55 |
Ma nessuno cambi di suo
arbitrio il peso che si è posto sulle sue spalle, senza
che girino e la chiave d’argento e quella d’oro; |
|
Il cambiamento della materia del voto può avvenire solo
con l'autorizzazione ecclesiastica: la chiave bianca o
d'argento indica la scienza e la prudenza necessarie per
giudicare, quella gialla o d'oro l'autorità che Dio ha
concesso alla Chiesa di vincolare e di sciogliere (cfr.
Purgatorio IX, 117-126). |
58 |
e ogne
permutanza credi stolta,
se la cosa dimessa in la sorpresa
come 'l quattro nel sei non è raccolta. |
|
58 |
e giudica errata ogni
commutazione, se la materia del voto abbandonato non è
contenuta per entità nella cosa presa in cambio, come il
quattro nel sei. |
61 |
Però
qualunque cosa tanto pesa
per suo valor che tragga ogne bilancia,
sodisfar non si può con altra spesa. |
|
61 |
Perciò quella materia di
voto il cui valore sia di peso tale da far traboccare
ogni bilancia (non potendo trovare il suo contrappeso),
non può essere compensata con alcun’altra offerta; |
|
Beatrice, dopo aver rigidamente distinto l'essenza del
voto (cioè il sacrificio della propria libertà) dalla
materia assunta, e aver rigorosamente affermato che può
cambiare la materia ma non la forma di esso, osserva che
solo l'intervento della Chiesa può permettere un
mutamento nell'oggetto, purché la seconda offerta sia
importanza alla prima. Poiché il voto di castità è il
più prezioso di tutti, esso non può essere mutato
neppure dalla Chiesa. San Tommaso, che rispetto al voto
di verginità assume una posizione simile (Il, Il, 88,
Il), in un altro passo (Il, Il, 88, 10), sostiene che la
Chiesa può concedere una dispensa totale dal voto,
quando giudichi che questa permetta un bene più vero e
sostanziale. Dante, invece, "moralmente irritato dagli
abusi che in questo campo potevano effettuarsi"
(Montanari), resta aderente alla dottrina più rigorosa:
non è possibile nessuna dispensa totale. |
64 |
Non prendan
li mortali il voto a ciancia;
siate fedeli, e a ciò far non bieci,
come Ieptè a la sua prima mancia; |
|
64 |
Gli uomini non prendano il
voto alla leggiera: siate fedeli (nell’osservare i voti)
e nel farli non siate sconsiderati, come fu Jefte
riguardo all’offerta (di sacrificare a Dio) la prima
persona che gli fosse venuta incontro: |
67 |
cui più si
convenia dicer 'Mal feci',
che, servando, far peggio; e così stolto
ritrovar puoi il gran duca de' Greci, |
|
67 |
a lui sarebbe stato più
conveniente dire “Ho agito stoltamente (con questo
voto)”, piuttosto che, osservandolo, commettere una
empietà: e allo stesso modo puoi giudicare stolto
Agamennone, il grande condottiero dei Greci, |
70 |
onde pianse
Efigènia il suo bel volto,
e fé pianger di sé i folli e i savi
ch'udir parlar di così fatto cólto. |
|
70 |
a causa del quale
Ifigenia rimpianse la propria bellezza (motivo del suo
sacrificio), e fece piangere sulla sua sorte tutti gli
uomini, gli stolti e i saggi, che udirono parlare di un
atto di culto di questo genere. |
|
Jefte, giudice d'Israele, dovendo combattere contro gli
Ammoniti, stoltamente fece voto di sacrificare, se fosse
riuscito vittorioso, chiunque avesse incontrato per
primo sulla porta di casa sua: così sacrificò la figlia,
la prima a uscirgli incontro dopo la vittoria (cfr.
Giudici XI, 30-40). Sia i padri della Chiesa sia i
teologi medievali condannarono unanimamente il voto di
Jefte e la sua empietà (cfr. S. Tommaso - Summa
Theologica II, II, 88, 2). Agamennone comandante supremo
dei Greci, per ottenere venti favorevoli e potere così
salpare con l'esercito dal porto di Aulide alla volta di
Troia, promise a Diana la cosa più bella che fosse nata
in quell'anno nel suo regno. Fu così costretto a
sacrificare la figlia Ifigenia. All'episodio accennano
Virgilio (Eneide II, 116-119) e Ovidio (Metamorfosi XII,
27 sgg.), ma forse Dante qui ha presente un passo di
Cicerone (De Officiis III, 25), il quale, parlando del
voto di Agamennone, esprime un giudizio di condanna. |
73 |
Siate,
Cristiani, a muovervi più gravi:
non siate come penna ad ogne vento,
e non crediate ch'ogne acqua vi lavi. |
|
73 |
Ma voi, o cristiani, siate
più ponderati nel far voti: non siate volubili come una
piuma ad ogni soffio di vento, e non crediate che
qualunque altra offerta sia come un’acqua che vi liberi
(dal debito di un voto inadempiuto). |
76 |
Avete il
novo e 'l vecchio Testamento,
e 'l pastor de la Chiesa che vi guida;
questo vi basti a vostro salvamento. |
|
76 |
Avete (come guida) i libri
sacri del Nuovo e del Vecchio Testamento, e il pastore
della Chiesa che vi conduce: questo vi deve bastare per
la vostra salvezza eterna. |
79 |
Se mala
cupidigia altro vi grida,
uomini siate, e non pecore matte,
sì che 'l Giudeo di voi tra voi non rida! |
|
79 |
Se una cattiva passione vi
stimola a fare diversamente, siate uomini (padroni di
voi stessi), e non pecore prive di discernimento, in
modo che i Giudei che vivono in mezzo a voi non debbano
ridere di voi. |
|
Mala cupidigia: è la passione priva di discernimento che
porta gli uomini a compiere voti stolti e insensati per
ottenere da Dio la soddisfazione di qualche desiderio di
poco conto o addirittura cattivo. Un'altra
interpretazione propone di vedere in mala cupidigia
l'azione del clero e degli ordini religiosi corrotti,
che per brama di denaro spingevano i fedeli a offerte e
donazioni, oppure, per denaro, dispensavano dal voto o
concedevano il permesso di cambiarne la materia. |
82 |
Non fate
com' agnel che lascia il latte
de la sua madre, e semplice e lascivo
seco medesmo a suo piacer combatte». |
|
82 |
Non fate come l’agnello che lascia il
latte materno, e sconsiderato e irrequieto va giostrando
con le corna da solo a suo capriccio!” |
|
Beatrice, dopo essere apparsa quale salvatrice di Dante
nel canto primo dell'lnferno, nel Purgatorio come suo
giudice (canto XXXI) e come ammonitrice dell'umanità
traviata e profeta del futuro (canto XXXIII), nei primi
canti del Paradiso presenta due aspetti della sua
poliedrica personalità. La sua figura è quella luminosa
di una beata, nella quale il ricordo dell'amore terreno
si è trasferito su un piano trascendente e la sua
bellezza (espressione dello splendore della verità di
cui ella è ora dispensatrice ) provoca in Dante continui
smarrimenti che conservano la potente vibrazione
sentimentale di un tempo. Tuttavia è pur sempre
attraverso Beatrice che il Poeta discute in questi primi
canti, servendosi della chiarezza del metodo scolastico,
i più aspri problemi teologici e scientifici: una
Beatrice a volte cattedratica, a volte sottilmente
analizzatrice, talvolta anche pesantemente didascalica,
ma sempre sorretta dalla passione di chi vede, nel
sentimento e nella presenza del divino ( rappresentato
da Beatrice) il motivo più alto della propria poesia.
Ora invece "il rigore intellettuale sembra sopraffatto
dall'impeto ascetico e parenetico che va maturando nel
discorso di Dante ed esplode poi al verso 64"
(Montanari), aprendo cosi la prima delle numerose
invettive che incontreremo nel Paradiso contro la
decadenza morale dell'umanità (chiara testimonianza che
la realtà della terra non sfuma nella luminosità dei
cieli, ma, anzi, da questo contrasto prende più vigorosi
contorni ) . Qui la personalità di Beatrice appare
completamente sopraffatta da quella del Poeta, che grida
alto il suo sdegno di fronte alle pecore matte, nelle
quali la salda voglia è troppo rada ( Paradiso IV, 87),
e la sua amara constatazione della debolezza degli
uomini, che, proprio per questo, non debbono prendere il
voto a ciancia. La forza di questa invettiva è evidente
anche nello stile, non solo costruito su solide metafore
visive (penna ad ogni vento.., pecore matte.. agnel che
lascia il latte...), ma anche sorretto dalle forme
imperative, rafforzate dalla loro posizione all'inizio o
alla fine del verso: non prendan... siate fedeli... non
dieci... siate, Cristiani... non siate.. non crediate...
uomini siate, e non pecore matte... non fate... "
Nell'immagine finale dell'agnello, la violenta metafora
precedente, delle pecore matte, sembra, alla nostra
sensibilità moderna, attenuarsi e placarsi, per la
grazia infantile dell'agnello che tutto si contorce
quasi a cercare di cozzare contro se stesso. Ma forse
Dante si inteneriva assai meno di noi sull'agnello...
probabilmente, nell'immagine dell'agnello sente
suggellata e conclusa la condanna della frivolità e
inconsistenza dei contemporanei: uomini fatti, si
comportano come bambini." (Montanari) |
85 |
Così
Beatrice a me com' ïo scrivo;
poi si rivolse tutta disïante
a quella parte ove 'l mondo è più vivo. |
|
85 |
Beatrice mi parlò così
come sto scrivendo; poi si rivolse vibrante di intenso
desiderio verso quella parte dove il cielo è
maggiormente ravvivato (dalla luce del sole). |
88 |
Lo suo
tacere e 'l trasmutar sembiante
puoser silenzio al mio cupido ingegno,
che già nuove questioni avea davante; |
|
88 |
Il suo silenzio e la
trasfigurazione del suo aspetto imposero silenzio al mio
ingegno desideroso di sapere, che già aveva pronte nuove
domande; |
91 |
e sì come
saetta che nel segno
percuote pria che sia la corda queta,
così corremmo nel secondo regno. |
|
91 |
e con la velocità di una
freccia, che colpisce il bersaglio prima che la corda
dell’arco abbia cessato di vibrare, salimmo al secondo
cielo. |
94 |
Quivi la
donna mia vid' io sì lieta,
come nel lume di quel ciel si mise,
che più lucente se ne fé 'l pianeta. |
|
94 |
Qui vidi la mia donna così
raggiante di letizia, non appena entrò nella luce di
quel cielo, che il pianeta (in cui eravamo giunti)
divenne più luminoso. |
97 |
E se la
stella si cambiò e rise,
qual mi fec' io che pur da mia natura
trasmutabile son per tutte guise! |
|
97 |
E se il
pianeta (che è di natura immutabile) si trasfigurò e
rise di letizia, come non divenni io che proprio per la
mia natura umana sono soggetto ad ogni cambiamento! |
|
Dante e Beatrice sono entrati nel secondo cielo, quello
di Mercurio, dove appaiono le anime di coloro che hanno
compiuto il bene per conquistare onore e fama.
Accogliendo Beatrice, il pianeta ( la stella) si
trasfigura, diventando più lucente, sebbene nel Medioevo
fosse convinzione generale che i pianeti, le stelle e in
genere tutti i corpi celesti fossero incorruttibili e
immutabili. Qui all'immutabilità del pianeta Dante
contrappone la natura umana sensibile ad ogni influenza
e quindi: estremamente mutevole. |
100 |
Come 'n
peschiera ch'è tranquilla e pura
traggonsi i pesci a ciò che vien di fori
per modo che lo stimin lor pastura, |
|
100 |
Come in una
peschiera dall’acqua tranquilla e cristallina i pesci
accorrono verso ciò che viene gettato (in essa)
dall’esterno perché lo credono cibo per loro, |
103 |
sì vid' io
ben più di mille splendori
trarsi ver' noi, e in ciascun s'udia:
«Ecco chi crescerà li nostri amori». |
|
103 |
così io vidi più di mille
anime luminose accorrere verso di noi, e dentro ciascuna
si udiva dire:“Ecco chi accrescerà il nostro spirito di
amore (dandoci modo di illuminarlo con le nostre
spiegazioni)”. |
|
Secondo l'interpretazione del Natali i beati del secondo
cielo predicono a Dante la sua sorte futura: egli, dopo
la morte, farà parte della loro schiera, per essere
stato, come loro, attivo per amore di gloria (Paradiso
VI, 112-114). Nell'ultima parte del canto V la poesia
del Paradiso vive in tutta la sua pienezza: nella
beatitudine di Beatrice risolta in un aggettivo distante
- e in un gesto - si rivolse... a quella parte ove 'I
mondo è più vivo - nella sua luminosa trasfigurazione,
nel silenzio suo e di Dante. nella rappresentazione dei
cieli che, diventando più splendenti, partecipano
anch'essi di quell'amore divino che sembra riempire
tutto l'universo. Il fulmineo concatenarsi di questi
fatti (lo sguardo verso l'alto, il silenzio, la
trasfigurazione, l'ascesa al secondo cielo,
l'accresciuta letizia di Beatrice, l'aumento di luce del
pianeta, il mutamento di Dante avvengono
simultaneamente) sfocia in una di quelle similitudini
che da sole possono rappresentare la poesia del
Paradiso, e che, comunque, da sole ne illuminano la
sovrumana atmosfera. La chiarità del cielo di Mercurio è
paragonata ad una peschiera tranquilla e pigra, mentre
le anime, che in quella chiarità si muovono, offrono qui
il primo esempio della loro vita corale, fatta, oltre
che di movimenti, anche di parole unisone (versi
104-105: in ciascun s'udia: " Ecco chi crescerà li
nostri amori " ) . "L'immagine della peschiera è
particolarmente geniale: un lago di luce serena; una
luce liquida come di chi nella luce sia tuffato senza
contrasto di esterno e d'interno, ma la luce diventi
tranquillamente interna a lui stesso. In questa liquida
luce (creazione perfettamente fusa di liquida dolcezza e
di chiarità luminosa) altre luci si avanzano distinte da
essa, e in essa fuse, di essa tutte compenetrate. Ma
tutto questo non resta puro paesaggio sia pur
serenissimamente edonistico; questo soave bagno di luce
si qualifica come carità interiore: come gioia della
gioia altrui, totale partecipazione alla vita altrui
senza alcun residuo, nonché di mala cupidigia, neppure
di egoistica pigrizia: " Ecco chi crescerà li nostri
amori " (verso 105). La peschiera di luce, in cui si
avanzano le forme vive e sciolte dei nuovi beati, è
tutta animata da questa gratuità caritativa: la gioia
della conversazione cavalleresca d'amore cortese ( gioia
di bei conversari tra adorne persone) è trasferita in
gioia di conversazione paradisiaca." (Montanari) |
106 |
E sì come
ciascuno a noi venìa,
vedeasi l'ombra piena di letizia
nel folgór chiaro che di lei uscia. |
|
106 |
E via via che ciascun
splendore si avvicinava a noi, si intravedeva l’anima
piena di letizia attraverso l’abbagliante fulgore che si
irradiava da lei. |
109 |
Pensa,
lettor, se quel che qui s'inizia
non procedesse, come tu avresti
di più savere angosciosa carizia; |
|
109 |
Pensa, o lettore, come
sentiresti angosciosamente la mancanza di una maggiore
conoscenza (di ciò che rimane da raccontare), se la
trattazione che qui comincia non dovesse continuare; |
112 |
e per te
vederai come da questi
m'era in disio d'udir lor condizioni,
sì come a li occhi mi fur manifesti. |
|
112 |
e capirai da te stesso
(senza bisogno che te lo spieghi) come io ardessi dal
desiderio di sapere da costoro la loro condizione non
appena li potei vedere. |
115 |
«O bene nato
a cui veder li troni
del trïunfo etternal concede grazia
prima che la milizia s'abbandoni, |
|
115 |
“O spirito destinato alla
salvezza, a cui la grazia divina concede di vedere i
seggi dei beati nel trionfo dell’Empireo, prima di aver
abbandonato la vita terrena, |
118 |
del lume che
per tutto il ciel si spazia
noi semo accesi; e però, se disii
di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia». |
|
118 |
noi siamo accesi dalla
luce dell’amore divino che si diffonde per tutto il
cielo; e perciò, se desideri avere spiegazioni sul
nostro conto, sarai appagato quanto desideri.” |
121 |
Così da un
di quelli spirti pii
detto mi fu; e da Beatrice: «Dì, dì
sicuramente, e credi come a dii». |
|
121 |
Cosi mi fu detto da uno di
quegli spiriti benevoli; e da Beatrice: “Parla, parla
liberamente, e credi a loro come si crede ad esseri
divinizzati”. |
|
L'anima che ha parlato rivelerà la sua identità nel
canto seguente: si tratta dell'imperatore Giustiniano.
Credi come a dii: i beati, infatti, partecipano della
bontà e della sapienza di Dio. Perciò, dice San Tommaso
(Summa Theologica 1, Xll, 5; 1, X111, 9), essi sono, in
certo modo, "simili a Dio", di una somiglianza, però,
che non significa certamente identità. |
124 |
«Io veggio
ben sì come tu t'annidi
nel proprio lume, e che de li occhi il traggi,
perch' e' corusca sì come tu ridi; |
|
124 |
“Io vedo chiaramente che
tu sei chiusa come in un nido nel tuo splendore, e che
lo effondi dagli occhi, perché esso lampeggia non appena
tu sorridi; |
127 |
ma non so
chi tu se', né perché aggi,
anima degna, il grado de la spera
che si vela a' mortai con altrui raggi». |
|
127 |
ma non so chi tu sia, né
perché tu abbia, o anima degna, il grado di beatitudine
proprio del cielo di Mercurio, che è velato ai nostri
occhi dai raggi del sole. |
|
Mercurio appare quasi sempre velato dai raggi del sole (cfr.
Convivio 11, X111, Il), perché ha la sua orbita
vicinissima al disco solare. |
130 |
Questo diss'
io diritto a la lumera
che pria m'avea parlato; ond' ella fessi
lucente più assai di quel ch'ell' era. |
|
130 |
Questo dissi rivolto allo
splendore luminoso che prima mi aveva parlato; per cui
essa (per la gioia di poter esplicare il suo spirito di
carità ) divenne assai più splendente di quanto non
fosse precedentemente. |
133 |
Sì come il
sol che si cela elli stessi
per troppa luce, come 'l caldo ha róse
le temperanze d'i vapori spessi, |
|
133 |
Come il sole si nasconde
(ai nostri sguardi) da solo per la sua luce eccessiva,
non appena il calore ha sciolto i fitti vapori che ne
temperavano la luce, |
136 |
per più
letizia sì mi si nascose
dentro al suo raggio la figura santa;
e così chiusa chiusa mi rispuose |
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136 |
nello stesso modo per la
cresciuta letizia la figura dell’anima beata si nascose
alla mia vista entro la sua luce abbagliante; e cosi
tutta fasciata nel suo splendore mi rispose |
139 |
nel modo che
'l seguente canto canta. |
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139 |
come verrà rivelato nel
canto seguente. |