LA
BALLATA DELL'ESILIO DEL CAVALCANTI
La tradizione vuole che
questa ballatetta sia l'ultima poesia di Guido, composta
da lui già ammalato, durante quell'esilio a Sarzana da
cui doveva ritornare a Firenze solo per morirvi dopo
pochi giorni. C'è stato chi ha impugnato la tradizione,
è vero, con argomenti che non è il caso di esporre qui e
che, del resto, altri a sua volta ha creduto di dover
rbattere.
La ballatetta, comunque, mi par che riveli uno stato
d'animo così nuovo al Cavalcanti, da far pensare ch'essa
sia stata composta proprio in summo vitae discrimina,
quando l'uomo, conscio della sua prossima fine, acquista
quasi una nuova sensibilità, e i suoni della vita gli
giungono affievoliti, ma pur distinti, e come congegnati
in nuove armonie. L'idea della morte, che è uno dei
pensieri dominanti della poesia di Guido, qui appare
come trasfigurata e genera tutto un nuova ordine di
sentimenti, che generano a loro volta una musica nuova.
Una pacificazione, sto per dire una catarsi, è avvenuta
nell'animo del poeta che sentì le forze ostili della
vita premerlo con impeto di tempesta...
La pace di Guido, nella nostra ballatetta, è quella de'
vinti che accettano con rassegnazione il proprio
destino. Par che lo avvolga una nebbia lentificante che
toglie, sì, all'aspetto del mondo ogni durezza tagliente
di linee, ma non lascia vedere il sereno e la luce.
Accettazione, rassegnazione, ma non consolate dalla
speranza.
Questo poeta aveva amato intensamente la vita. L'aveva
amata nella bellezza delle forme, nello splendore dei
colori. Certi suoi versi, in cui trae dagli spettacoli
naturali le immagini per lodare la sua donna,hanno
l'ingenua, acerba verdezza di quei deliziosi Primitivi
che sembrano davvero scoprire, come Adamo nel Paradiso
terrestre, il mondo dei fiori, dell'erbe, degli animali
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Avete 'n voi li fiori e la verdura
e ciò che luce od è bello a vedere.
Fresca rosa novella,
......................
piacente primavera
per prata e per riviera,
gaiamente cantando
vostro fin pregio mando - ala verdura -.
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E con la natura, tutto
quello che l'uomo ne ha tratto di buono e di bello per
il proprio utile e per il proprio diletto : gli snelli
navigli che corrono rapidi sullo specchio del mare come
giganteschi insetti variopinti ed alati; le fulgide
gemme che la mano dell'artista lega nell'argento e
nell'oro; i ben ordinati tornei in cui la bellezza
virile si rivela nell'eleganza di un gesto o nella fiera
espressione di un volto; le dotte discussioni sull'amore
che una donna gentile sa guidare secondo un ritmo di
grazia
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Beltà di donna e di piagente core,
e cavalier armati molto gemi,
cantar d'augelli e ragionar d'amore,
adorni legni in mar forte correnti,
aria serena quand'appar l'albore,
e bianca neve scender senza venti,
rivera d'acqua e prato d'ogni fiore,
oro, argento, azzurro 'n ornamenti... |
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Né la resistenza è
possibile contro questa forza cieca e fatale. Così dal
pensiero dell'Amore rampolla quello della morte, così
nascono in questo canzoniere, che è uno dei più sinceri
della nostra letteratura, le immagini di guerra e di
strage:
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Io
vidi li occhi, dove amor si mise
quando mi fece di sé pauroso;
che mi guardar com'io fosse noioso;
allora dico che 'l cor si divise.
.....................
Chi gran pena sente
...................
guardi costui e vedrà lo su 'core
che morte 'l porta 'n man tagliato in croce.
Io vo come colui ch'è fuor di vita,
.....................
che pare a chi lo sguarda come sia
facto di rame o di pietra o di legno
che se conduca sol per maestria
e porti nello core una ferita
che sia, com'egli è morto, aperto segno. |
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L'Amore non è più il dolce
signore che l'anima riconosce e saluta, ma un «arcier
presto siriano - acconcio sol per uccidere altrui»: egli
tien corte in «fero loco», ed è tal tiranno che da lui
non è da sperare « altro che morte » : tratta i suoi
servi come «quel de lo inferno» i malnati, e nella
prigione dove li rinserra è pianto e stridore di denti
come nei più cupi cerchi danteschi. La morte sola può
liberare i prigionieri di questa potenza demoniaca. La
morte che per Guido come per il Leopardi «ogni gran male
annulla», è perciò accoratamente invocata
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Morte gentil, remedio de' captivi,
merzé, merzé, a man 'giunte ti chieggio,
viemmi a vedere e prendimi... |
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Ma ora che la morte ha
ascoltato il grido del poeta ed egli la sente
avvicinarsi col suo passo infallibile, una pace nuova
gli si diffonde nell'anima. Triste, squallida pace: la
pace del vinto. Quante rovine da constatare! Il corpo è
disfatto, abbattuta la forza della mente, e la voce, che
si dispone a cantare, ridotta a un povero soffio. C'è
tuttavia, nella ballatetta, l'eco paurosa della gran
battaglia finita e c'è, a momenti il timore che
l'orrendo tumulto non debba ricominciare. Ma il
sentimento che domina nella poesia e ne governa l'intimo
ritorno è di una dolce, riposata mestizia:
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Perch'i' no' spero di tornar giammai,
ballatetta, in Toscana,
va tu leggera e piana
dritta la Donna mia
che per sua cortesia
ti farà molto onore. |
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Quel «giammai» così in
fine di verso, è un singhiozzo del cuore, ma l'inciso
del vocativo «ballatetta» ha la grazia d'una mesta
carezza, e i settenari a rima baciata, che s'inseguono
con pacato balbettio, sono di una gentilezza
incomparabile. Nel congegno delle singole stanze il
ritorno di questi gracili settenari, dopo il respiro più
largo degli endecasillabi, è come il lieve risucchio
dell'onda che si ritrae dopo che si è rovesciata sulla
spiaggia:
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Tu
porterai novelle di sospiri,
piene di doglia e di molta paura;
ma guarda che persona non ti miri
che sia nemica di gentil natura;
ché certo per la mia disaventura
tu saresti contesa
tanto da lei ripresa,
che mi sarebbe angoscia,
dopo la morte poscia
pianto e novel dolore. |
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«Paura», «nemica»,
«contesa» : ancora qualche immagine di guerra.
Più in giù è il cuore che « si sbatte forte », la
persona «distrutta», l'anima che «a trema» e in quel
povero soffio di voce lo sbigottimento di chi ha troppo
sofferto, Ritornano qua e là in questo poetico adagio,
senza punto alterare il melodioso svolgimento, alcuni
accordi dei tempestosi allegri cavalcantiani.
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Tu
senti, ballatetta, che la morte
mi stringe si che vita m'abbandona,
e senti come 'l cor mi sbatte forte
per quel che ciascun spirito ragiona.
Tanto è distrutta già la mia persona
ch'i' non posso soffrire
se tu mi vuo' servire
mena l'anima teco,
molto di ciò ti greco,
quando uscirà del core.
Deh, ballatetta, alla tua amistate
quest'anima che trema raccomando
menala teco nella sua pietate
a quella bella donna a cui ti mando,
Deh, ballatetta, dille sospirando .
quando le se' presente:
questa vostra servente
viene per star con vui,
partita da colui
che fu servo d'amore. |
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«Ballatetta...», «ballatetta...»,
«ballatetta...». Ancora i teneri vocativi, le dolci
inflessioni, le meste carezze. Chi pensa più, in tanta
soavità di cadenze, a trovar artifiziosa quella
personificazione della ballatetta. E chi pensa a
domandarsi freddamente che cosa potesse significare per
Guido quell'accenno alla sopravvivenza dell'anima al
corpo, se la concezione averroistica, che sembra fosse
la sua, non ammette tale sopravvivenza?
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Tu, voce sbigottita e deboletta,
ch'esci piangendo da lo cor dolente,
coll'anima e con questa ballatetta
va ragionando de la strutta mente.
Voi troverete una Donna piacente
di sì dolce intelletto
che vi sarà diletto
davanti starle ognora.
Anima, e tu l'adora
sempre nel su' valore. |
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Quando il cuore avrà
cessato di battere, si sarà dissolta anche la forza
intellettuale che distingue l'uomo dal bruto. La Morte
avrà avuto tutta la sua preda.
Ma il poeta, che istintivamente ripugna all'annullamento
totale, pensa di sopravvivere nel suo canto e perciò
quasi immedesima la ballatetta, la voce e l'anima in
un'unica persona, ch'egli invia alla Donna amata per
un'adorazione che non cesserà mai più.
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Anima, e tu l'adora
sempre nel su' valore. |
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Ci abbia o non ci abbia
pensato il poeta, al « giammai > del primo verso
risponde questo «sempre» dell'ultimo, quasi a
significare la rivincita dello spirito sulle cieche
forze della materia.
«Sempre», «adora» le grandi parole della liturgia (Adoramus
te... et nunc et sempre... sine fine dicentes...)
ritornano smarrite, sulle labbra del poeta incredulo, e
l'anima sua, offerta in omaggio alla Donna amata, é come
una lampada votiva che arde di giorno e di notte
nell'ombra della nicchia dove si venera un'immagine
santa. |