Letteratura di trattenimento e poesia nell'Orlando
innamorato
Nell'Innamorato il rapporto
che passa tra la poesia e la non-poesia è di natura assai
differente: il poema, come abbiamo detto, rappresenta nella
storia della cultura del Boiardo il momento ultimo del
distacco dall'alta letteratura classica e volgare, in
corrispondenza a nuove tendenze realistiche, vitali
coincidenti con quelle della Corte ferrarese e di Ercole I;
rappresenta cioè il passaggio deciso dal periodo degli
esercizi letterari (Pastoralia, Canzoniere, Egloghe),
anch'essi pure venati più o meno fortemente di motivi
pratici, al campo della letteratura di trattenimento
(traduzioni, Tarocchi, Timone).
Ora in questo passare dalla freddezza delle imitazioni e
degli esercizi letterari al caldo della reale vita pratica,
c'è senza dubbio un progresso di umanità, o per lo meno una
liberazione delle tendenze genuine del B.; ma mentre si fa
più aderente alla vita contingente, egli viene perdendo quel
certo senso dell'arte letteraria che pur conservava nel
Canzoniere, quasi per riflesso del letteratissimo e
dominatissimo modello petrarchesco: difatti il filone
d'ispirazione sentimentale genuina del Canzoniere si
riversa, senza quasi lasciare residui, nelle pur
frammentarie immagini poetiche: anche lì manca alla
perfezione artistica, assai spesso, la coscienza precisa
della poesia, che dà il suggello definitivo all'espressione,
e che il modello petrarchesco non poteva certamente fornire
al B.; ma in ogni modo non sono molti i momenti in cui il
sentimento sia rimasto puro sentimento, sfogo, interiezione
priva del tutto del tocco trasfigurativo dell'arte. Anche il
fatto che l'ispirazione poetica si sia rifugiata per lo più
nelle parti laterali, come le similitudini e le metafore
paesistiche, più che essere di danno, ha servito al B. per
disciplinare in immagini definite il suo traboccante senso
della vitalità della natura.
Ora in verità questo senso della vitalità nell'Orlando
Innamorato si allarga in un campo molto più vasto; e il suo
interessamento non si limita più alla natura, ma abbraccia
tutto un grande mondo narrativo composto degli elementi più
svariati, in cui si muovono guerrieri, cavalieri, eserciti,
mostri, giganti, fate e dame, un mondo ricco di duelli, di
battaglie, di incanti; ma questo ampliamento è veramente
anche un approfondirsi dell'umanità artisticamente
realizzata del B.?
Bisogna andare molto cauti nel rispondere affermativamente a
questa domanda, poiché nella creazione di questo mondo
narrativo il B. non porta un interesse prevalentemente
contemplativo, poetico, ma soprattutto pratico,
preoccupandosi, più che di rappresentarlo, di assecondare
nel suo narrare quel fremito di vitalità istintiva energica
e amorosa, che colorava le passioni e i gusti pratici suoi e
della società di cui si sentiva parte: c'è insomma nel poema
un disinteresse evidente per la realizzazione artistica,
poiché la mente e la coscienza del poeta sono distratte e
legate alla contingente vita pratica contemporanea. Perciò
la rappresentazione individuata in scene e in personaggi ed
in immagini di questo contenuto sentimentale che tende a
rimanere contenuto è, per così dire, casuale nella mente del
poeta, non necessaria all'economia iniziale del lavoro
intrapreso dal B., concepito come un «romanzo» (parola che
già allora aveva il preciso significato di opera di
trattenimento) di armi e di amori.
Tanto meglio se di tanto in tanto, quasi inconsapevolmente
veniva la Musa a ravvivare la sua tela: l'interesse centrale
del B. e dei suoi ascoltatori era altro dalla poesia, e si
volgeva piuttosto ai duelli e alle battaglie che fino
all'ultimo tenevano sospesi in una divertente incertezza,
alla fresca e gioiosa sensualità delle dame e dei cavalieri,
alle grandi avventure di fiabe e di incanti, in cui si
moveva ardito e impersonale il franco cavaliero a uccidere
il mostro o il gigante crudele e a liberare, se c'era, la
leggiadra donzella imprigionata.
Perciò la poesia nascerà, come vedremo, frammentariamente,
come episodio talvolta ma più spesso ancora come macchietta
vivace, o come immagine felice, conservando sempre il
suggello impressole dalla sua nascita, cioè il suo carattere
di casualità, di soverchia immediatezza, la rozzezza dei
contorni, tutti segni dello scarso indugio meditativo che il
B. concedeva alle sue creazioni.
Questa fisionomia deve essere tenuta presente da chiunque si
accinga ad analizzare la poesia dell'Orlando Innamorato nei
suoi limiti legittimi; altrimenti, come è avvenuto, si
giunge ad equivoci critici che portano alla falsatura o al
disconoscimento della genuina umanità artistica espressa nel
poema.
Un primo equivoco, derivato dal non aver distinto nettamente
limiti della poesia dell'Innamorato, risiede in quelle
inutili e incomodi lodi di cui è stato fatto oggetto il
cosiddetto intreccio del poema, cioè quel modo di spezzare i
racconti al momento culminante, intersecando fra loro storie
antiche e storie nuove, fino al completo disorientamento del
lettore. Questa era un'osservazione che i critici eruditi, a
cominciare dal Rajna, ripetevano con particolare
compiacimento: nella loro mente, che perseguiva nel suo
sviluppo il genere cavalleresco, il B, rappresentava il
punto in cui si unificavano le varie storie dei cantari, per
solito assai brevi, allargate e saldate infine in una lunga
trama interessante. Anzi, perfino i fautori dell'Ariosto
riconoscevano cavallerescamente che almeno in questa
mirabile invenzione del variare improvviso le fila della
trama, il poeta del Furioso aveva seguito le orme del suo
ingegnoso predecessore.
Ora questo intreccio ha un'origine diversissima nei due
poeti nell'Ariosto si tratta di una diretta conseguenza
della sua ispirazione artistica: egli non si appassiona di
questo o di quel motivo sentimentale, di questo o quel
dramma in particolare; ma pone tutta la realtà umana nello
stesso piano contemplativo e si interessa solo all'armonico
trascolorare dei motivi mossi dalla sua sorridente fantasia;
nel B. invece ha una giustificazione puramente pratica nella
sua intenzione di variare le avventure per rendere il suo
poema più piacevole alla lettura. Nella mente dei due poeti
si può cogliere la coscienza di questa diversità: si ricordi
la similitudine del Furioso in cui l'Ariosto, che si sente
veramente artista, si paragona al musico gentile, che varia
i toni musicali della cetra arguta, per ottenere l'armonia
dell'insieme; mentre il B. ha chiara la sua intenzione di
narratore, che vuole soprattutto interessare, in questo
paragone in cui si assomma tutta la sua Poetica:
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Colti
ho diversi fiori a la verdura
azzurri, e gialli, e candidi e vermigli...
traggasi avanti chi d'odore ha cura
e ciò che più gli piace quel si pigli;
a cui diletta il giglio, a cui la rosa,
ed a cui questa e a cui quell'altra cosa.
Però diversamente il mio verziero
d'amore di battaglie ho già piantato.
Piace la guerra a l'animo più fero,
l'amore al cor gentile e delicato. |
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Ma la prova che questo
intreccio del B. non corrisponde ad una esigenza d'arte,
sarà l'analisi stessa dei suoi episodi e personaggi poetici
che appariranno sempre laterali, estranei alla trama
generale del poema. Anzi talvolta questa manìa di voler
spezzare i racconti e gli episodi nei momenti culminanti,
produce degli effetti fastidiosi anche nei passi più
riusciti: si ricordi ad esempio l'interruzione nel bel mezzo
della tempesta dominata da Rodomonte, con un accenno affatto
inutile ai preparativi di Carlomagno (II, XVI, I6-28) ; la
inopportuna parentesi allegorico-fiabesca che spezza in due
la novella di Prasildo e Tisbina (I, XII, 26-42); il brusco
interrompimento del canto nel momento drammaticamente
culminante del duello tra Orlando e Agricane (I, XVIII, 55);
tutti segni chiari del predominio dell'interesse pratico
sulla calma creazione della fantasia. |