L'orditura
del
Morgante
L'avvio ad una precisa
fisionomia è nel Morgante assai lento ed è proprio nel
progressivo definirsi di quel rapporto con la realtà che si
chiarisce il valore del poema, anche se ciò succede
piuttosto nel riconoscimento dei limiti suoi propri che non
in un rilevamento di aperture poetiche e di nuovi interessi:
i quali ci sono, ma non in una conquistata dimensione
d'arte; solo in una ulteriore maturità artistica che mostra
meglio l'uomo e il mondo che è suo. Il movimento d'avvio è
lento perché ha in una pura ragione di azione la propria
giustificazione: e i personaggi, che in tale situazione
occorre indurre nel gioco narrativo, sono troppi per essere
originali. Una sfilza di re pagani, Caradoro, Erminione,
Falcone, il Soldano, l'Arpalista, Marsilio, tutti uguali o
che si distinguono appena per i nomi, i cui regni sono tutti
immersi in una identica visione non fantastica ma
immaginaria, tutti forniti di figlie, Forisena, Meridiana,
Antea, Florinetta, Luciana, che entrano nel racconto senza
apportarvi null'altro che la spinta ad altre azioni. Ma se
il tessuto è tale, è facile anche accorgersi che quasi ad
ogni cantare è proprio un centro, che non solidifica forse,
ma che di certo mostra bene come nel fatto isolato e
concretizzato soltanto il Pulci sappia muoversi ed animarsi:
anche il suo narrare torna spesso daccapo, perché la sua
fantasia non ha liberi movimenti. Ciò ch'egli anima è un
momento per ciascun episodio, e oltre a questo non va. Lo
stesso primo cantare, che vuol raccontare l'incontro di
Orlando e Margutte, si snoda in episodi singoli, ognuno con
una sua ragione, ma mai vivi di un'unità estetica
sostanziale. Morgante dà l'avvio ad un tono, che però solo
nel cantare XVIII avrà un senso e una dimensione propria. Il
motivo del magico poi che si annuncia nel cantare II
(Orlando e Morgante nel castello incantato) è arruffato e
vago in modo tale che quasi non si avverte: e le
spropositate dimensioni che prenderà nel cantare V
(l'apparizione improvvisa di Malagigi che fugge in Francia
su un cavallo creato per incanto) stupiranno soltanto,
mentre un chiarimento in questa turbolenza sarà portato solo
dall'evocazione di Astarotte (can. XXV, 150-161), dal suo
dialogo con Malagigi e da tutto il seguito del viaggio aereo
con Rinaldo. Intanto è chiaro che è per tipi e categorie più
o meno fisse che si sviluppa l'immaginazione del Pulci:
Malagigi ha in mano , tutte le file del magico, come Gano è
l'astuzia, e Morgante, Margutte e, sul principio del poema,
Rinaldo (str. 37-83 del cantare II) detengono quelle del
comico. Perché il tentativo di far di Rinaldo un personaggio
più complesso è più incidentale che voluto: e c'è anche per
lui una categoria da fissare, quella dell'avventuroso, che
come lo porta ad incontrare i fatti più impreveduti (e dato
che proprio questi fanno il ritmo narrativo del poema,
Rinaldo sembra quasi divenirne il protagonista), lo spinge
poi a interrogare Astarotte col gusto non di acquistare
saggezza e conoscenza, ma di scoprire cose nuove, non come
chi ricerca la verità, ma come chi si imbatte in un
continente nuovo. Queste categorie da sole non possono
evidentemente fare il personaggio, che ha la vita effimera
dell'episodio, morendo ogni volta per rinascere al seguente.
In sostanza quello su cui il Pulci punta è la scena e nel
rapido svolgersi di essa il definirsi dei personaggi in un
movimento, che ne resta il centro fissato e inalterabile...
Evidentemente in una tale quasi accidentale successione di
fatti ed avventure, parlare di unità compositiva è
impossibile, fors'anche pensando solo a quell'unità di tono
di cui ha parlato il Getto. Ma anche nel parlare di due
distinti poemi confluiti nel Morgante bisogna andar cauti:
che i due poemi presentano ognuno una loro unità per
null'altro che per il canovaccio del cantare popolare da cui
si trae il più della materia. In Pulci non v'è finalità
alcuna se non quella di crear spazio intorno ai suoi
episodi, alle sue parole che entrano in diretta
comunicazione col suo lettore. C'è certo nella seconda parte
del poema un arricchimento di toni, che pure hanno anch'essi
la vita soltanto dell'episodio che animano e che
semplicemente si debbono ad un Pulci più maturo e più ricco.
E il tono più certo dei cantari XXIV-XXVIII è una commozione
in certo modo più alta, che si espande dalle strofe I-II4
del cantare XXV, dove si racconta la preparazione del
tradimento di Roncisvalle da parte di Gano e Marsilio, in
una lenta indagine psicologica che i due svolgono l'uno su
l'altro con un'efficace pittura di caratteri e di sviluppo
di un'azione drammatica non esterna (e si guardi a Gano
soprattutto, che non è più per nulla il Gano gran scrittore
di lettere traditrici o volgare bestemmiatore-bastonatore di
Astolfo), o dall'episodio della morte di Orlando (XXVII,
100-159). |