Sentimento della natura e della bellezza nelle Stanze
Le Stanze: forme vaganti,
di cui nessuno cerca il legame, ciascuna compiuta in sé.
Nella giovine mente del poeta non ci è il romanzo, ci è
Stazio e Claudiano con le loro Selve, ci è Teocrito ed
Euripide; ci è Ovidio con le sue Metamorfosi, ci è Virgilio
con la sua Georgica, ci è il Petrarca con la sua Laura; ci è
tutto un mondo di immagini fluttuanti, sciolte, disseminate
come le stelle nel cielo all'occhio semplice del pastore.
Questo è il mondo che vien fuori in un legame artificiale e
meccanico, delle cui fila interrotte. nessuno si cura:
perché la giostra non è il motivo di questo mondo; è la
semplice occasione. La sua unità non è in un'azione frivola
e incompiuta, debole trama. La sua unità è in se stesso,
nello spirito che lo move, ed è quel vivo sentimento della
natura e della bellezza che dal Boccaccio in qua è il mondo
della coltura.
La primavera, la notte, la vita rustica, la caccia, la casa
di Venere, il giardino d'Amore, gl'intagli, non sono già
episodi, sono questo mondo esso medesimo nella sua sostanza,
animato da un solo soffio. Sono l'apoteosi di Venere e
d'Amore, della bella natura, la nuova divinità.
E la natura non ha già quel vago, che ti fa pensoso e ti
tiene in una dolce malinconia; non sei nel regno de' misteri
e delle ombre, nel regno musicale del sentimento: sei nel
regno dell'immaginazione. Venere è nuda; Iside ha alzato il
velo. Non hai più gli schizzi di Dante, hai i quadri del
Boccaccio; non hai più la faccia di Giotto, hai la figura
del Perugino; non hai più il terzetto nel suo raccoglimento,
hai l'ottava rima nella sua espansione. Ci è quel sentimento
idillico e sensuale che ispirò il Boccaccio, e di cui senti
la fragranza nella Lepidina e nel Rul sticus: l'anima sta
come rilassata in dolce riposo, non fantasticando ma
figurando parte a parte e disegnando, quasi voglia
assaporare goccia a goccia i suoi piaceri. E non è la
descrizione minuta, anatomica, spesso ottusa, del Boccaccio;
ché mentre la natura ti si offre distinta come un bel
paesaggio, non sai onde o come ti giungano mormorii,
concenti, note, come la voce di una divinità nascosta nel
suo grembo. La sensualità filtrata fra tanta dolcezza di
note lascia in fondo la sua parte grossolana ed esce fuori
purificata; e non è la musa civettuola del Boccaccio, è la
casta musa del Parnaso, che copre la sua nudità e vi gitta
sopra il suo manto verginale. Nel Boccaccio è la carne che
accende l'immaginazione; nel Poliziano l'immaginazione è
come un crogiuolo, dove l'oro si affina. La sensuale e
volgare Griseida si spoglia in quel crogiuolo la sua parte
terrena, e diviene la gentila Simonetta, bellezza nuda,
sviluppata da ogni velo allegorico dantesco e petrarchesco,
a contorni precisi e finiti, pur divina nella sua realtà:
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Nell'atto regalmente è mansueta,
E pur col ciglio le tempeste acqueta. |
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Tra il poeta e il suo mondo
non ci è comunione diretta; ci stanno di mezzo Virgilio,
Teocrito, Orazio, Stazio, Ovidio, che gli prestano le loro
immagini e i loro colori. Ma egli ha un gusto così fine e un
sentimento della forma così squisito che ciò che riceve esce
con la sua stampa come una nuova creazione. Ci è nel suo
spirito una grazia che ingentilisce il volgare naturalismo
del suo tempo, e una delicatezza che gli fa cogliere del suo
mondo il più bel fiore. L'insignificante, il rozzo, il
plebeo non entra nella sua immaginazione : ciò che sta lì
dentro è tutto elegante e profumato, e non cessa che non
l'abbia reso con l'ultima finitezza e perfezione. Le sue
reminiscenze mitologiche e classiche sono semplici mezzi di
colorito e di rilievo: gli sta innanzi Venere, Diana, e la
tale e tale frase di Ovidio e di Virgilio; ma il suo spirito
va al di là della frase, attinge le cose nella loro vita, e
le rende con evidenza e naturalezza. Perciò, raro connubio,
l'eleganza in lui non è mai rettorica e si accompagna con la
naturalezza, perché ha delle cose una impressione propria e
schietta. La mammola, la rosa, l'ellera, la vite, il
montone, la capra, gli uccelli, le aurette, l'erba e il
fiore, tutto si anima e si configura e prende le più vaghe e
gentili attitudini innanzi a questa immaginazione idillica.
Ciò che prova non è sensualità, è voluttà, sensazione alzata
a sentimento, che fonde il plastico e te ne fa sentire la
musica interiore. Ottiene potentissimi effetti con la
massima semplicità de' mezzi, spesso col solo allogar egli
oggetti, ora aggruppando, ora distinguendo, e tutto
animando, come persone vive. Tale è la mammoletta verginella
con gli occhi bassi e vergognosa, e l'ellera che va carpone
co' piedi storti, o l'erba che si maraviglia della sua
bellezza, bianca, cilestre, pallida e vermiglia. Il
sentimento che n'esce non ha virtù di tirarti dalle cose e
lanciarti in infiniti spazi; anzi ti chiude nella tua
contemplazione e vi ti tiene appagato, come fosse quella
tutto il mondo, e non pensi di uscirne, e la guardi parte a
parte nella grazia della sua varietà. Perché il motivo
dell'ispirazione non è lo spirito nella sua natura
trascendente e musicale, quale si mostra in Dante, ma il
corpo, e non come un bel velo, una bella apparenza, ma
terminato e tranquillo in se stesso, quale si mostra nel
periodo e nell'ottava, le due forme analitiche e descrittive
del Boccaccio, divenute la base della nuova letteratura.
L'ottava del Boccaccio, diffusa, pedestre, insignificante,
qui si fissa, prende una fisonomia. Ciascuna stanza è un
piccolo mondo, dove la cosa non lampeggia a guisa di rapida
apparizione, ma ti sta riposata innanzi come un modello e ti
mostra le sue bellezze. Non è un periodo congegnato a modo
di un quadro, dove il protagonista emerga tra migliori
figure; ma è come una serie dove ti vedi sfilare avanti le
parti ad una ad una di quel piccolo mondo. Diresti che in
questa bella natura tutto è interessante, e non ci è
principale ed accessorio, maniera di ottava accomodata al
genio di un uomo che non ammette l'insignificante e
l'indifferente, e tutto vuole sia oro e porpora. Perciò non
hai fusione ma successione, che è la cosa come ti si spiega
innanzi, prima che il tuo spirito la scruti e la trasformi.
La stanza non ti dà l'insieme, ma le parti; non ti dà la
profondità, ma la superficie, quello che si vede. Pure le
parti sono così bene scelte e la serie è ordita con una
gradazione così intelligente, che all'ultimo te ne viene
l'insieme, prodotto non dalla descrizione, ma dal
sentimento. Vuol descrivere la primavera dà una serie di
fenomeni:
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Zefiro
già di bei fioretti adorno
Avea ai monti tolta ogni pruina:
Avea fatto al suo nido già ritorno
La stanca rondinella peregrina;
Risonava la selva intorno intorno
Soavemente all'ora mattutina;
E la ingegnosa pecchia al primo albore
Giva predando or uno or altro fiore. |
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Questi fenomeni sono così
bene scelti, legati con tanto accordo di pause e di tono,
armonizzati con suoni così freschi e soavi, che sembrano le
voci di un solo motivo, e te ne viene non all'occhio ma
all'anima l'insieme, ed è quel senso di intima
soddisfazione, che ti dà la primavera, la voluttà della
natura. In Dante non ci è voluttà, ma ebbrezza: così è
trascendente. Nel Boccaccio non ci è voluttà, ma sensualità.
La voluttà è la musa della nuova letteratura, è l'ideale
della carne o del senso, è il senso trasportato
nell'immaginazione e raffinato, divenuto sentimento. Qui è
una voluttà tutta idillica, un godimento della natura
senz'altro fine che il godimento, con perfetta obblivione di
tutto l'altro; senti le prime e fresche aure di questo mondo
della natura assaporato da un'anima, il cui universo era la
villetta di Fiesole illuminata e abbellita da Teocrito e da
Virgilio. Da questa doppia ispirazione, un intimo godimento
della natura accompagnato con un sentimento puro e delicato
della forma e della bellezza, sviluppato ed educato da
classici, è uscito il nuovo ideale della letteratura,
l'ideale delle Stanze, una tranquillità e soddisfazione
interiore piena di grazia e di delicatezza nella maggior
pulitezza ed eleganza della forma; ciò che possiamo chiamare
in due parole: voluttà idillica. Il contenuto di questo
ideale è l'età dell'oro e la vita campestre, con tutto il
corteggio della mitologia, ninfe, pastori, fauni, satiri,
driadi, divinità celesti e campestri, in una scala che dal
più puro e più delicato va sino al lascivo e al licenzioso. |