UMANITA' E STILE NEL BAROCCO
Ad una intuizione della
realtà e a una condizione di vita quali sono queste cui
abbiamo accennato, essenziali alla civiltà barocca, paiono
alludere e richiamarsi modi e atteggiamenti della lirica
marinista, sì da determinare una direzione espressiva, se
non unica ed assoluta, tuttavia abbastanza costante. La
stessa poetica della varietà (e l'innumerevole serie
predicativa della donna a cui essa dà luogo) può forse
raccordarsi a questa intuizione, per quel carattere che,
nell'economia totale di questi canzonieri, assume, di
mutevole inchiesta di ogni possibile elemento, di inquieta
provvisorietà di ogni singolo aspetto. Del resto, proprio
per la lirica amorosa, si insinua non raramente una ragione
di incertezza, di evanescenza e di illusione, sulla realtà
figurata. Saranno i dubbi dell'amante sull'interpretazione
di un sembiante, di un atteggiamento, di un dono della
donna; e le sue sottili elucubrazioni su una situazione
(alla maniera petrarchesca del resto, eppure rinnovata da
una coscienza diversa) con complicazioni di echi di
pensieri, e riflessi allusivi e illusivi, in un inseguimento
labirintico di certezze, di punti che si sentono instabili e
sfuggenti; e certe ansie improvvisamente affioranti, e certe
turbate insoddisfazioni d'amore; e la stessa ridente
perplessità di scelta fra due o più donne o fra la donna ed
altra cosa; e il velarsi reciproco di illusione e realtà di
una figura o di una situazione d'amore nella prospettiva
aperta dal gioco ottico di uno specchio, di un'ombra, di un
ritratto, di un palcoscenico; e il sentimento della bellezza
che vieni meno e tramonta; e, nei riflessi espressivi,
talune ricerche di contrasto e rotture d'equilibrio e di
chiarezza: come avviene nei sonetti sotto forma di sequenze
di parallelismi improvvisamente interrotte sul finale da una
discordanza, e nelle composizioni affollate di stile
enumerativo, e nell'uso mobile di una parola impiegata ora
in un senso proprio ora figurata. Così le confessioni di
alcuni poeti sulla finzione del loro amore, che potrebbero
essere interpretate, con mentalità positivistica, come una
prova di insincerità (sia che false si ritengano le stesse
confessioni, ipocritamente dovute a motivi di moralismo
controriformistico, sia che effettivamente si considerino
finti gli amori cantati come veri) o allo opposto,
idealisticamente, come un documento di estetica
consapevolezza che scinde la verità lirica da quella pratica
e contingente (forse che Virgilio, come proclamerà il
Battista, è mai stato pastore o guerriero pur avendo cantato
«Pale e 'l dio del Trace»?) in realtà rispondono soltanto a
questo gusto di indugio sui rapporti e sulle forme di più
malferma e inquietante verità. Così ancora il forte
intervento metaforico, soprattutto nella figurazione della
natura, che sposta le parvenze da una realtà ad un'altra,
che scambia e confonde fra loro le cose, collabora a questa
visione della instabile realtà, a questo metaforismo
universale (in cui, appunto, i miti delle metamorfosi,
oggetto di particolare preferenza da parte di questi poeti,
determinano anch'essi un processo di linee in movimento). Ma
le «forme che volano», secondo sono stati chiamati i modi
stilistici del barocco in sede di arte figurativa, sono
prima che una realtà estetica una intuizione etica: un fatto
umano, prima che di stile. Il tema ascetico cristiano della
vanità delle cose terrene, della caducità della bellezza,
della ricchezza, della gloria, assume proporzioni grandiose
nell'età barocca e diffonde un velo di malinconia su tutto,
coordinandosi al senso tipico di questa età, di inquietudine
di spiriti e di oscillazione di forme: le cose della vita,
belle e piacevoli, se appaiono talora, in questa lirica,
assaporate con avidi sensi, sono anche troppo spesso velate
dalla tristezza del destino di morte dell'uomo, che le
possiede provvisoriamente, che neppure le possiede per un
istante con pieno abbandono, perché, come insisteranno
questi poeti, ogni cosa buona ha in sé un lato cattivo, ogni
cosa bella ha un lato brutto, perché tale è lo stato
dell'uomo che «il ciel sempre unisce Con infausto legame il
ben e 'l male»; anzi queste cose stesse, le più
desiderabili, quelle che donano amore e fortuna, sembrano
mutare e cadere nello stesso desiderio dell'uomo («Quel
ch'ieri si bramava oggi si sprezza... Ch'alfin è un lampo
amor, fortuna un vento»); così il sentimento del tempo che
passa veloce e irsuta le forme, avvertito com'è
nell'instabilità dell'attimo fuggevole, approfondisce ancora
questa visione della vita del barocco, alla quale del resto
non pare sottrarsi nemmeno la morte, se uno di questi poeti,
Antonio Basso, potrà dedicare un sonetto All'incenerite ossa
d'un umano cadavere per descrivere «la natural varietà della
nostra corruttibil materia, inquieta anche nelle ceneri
dell'uomo estinto».
In questa intuizione umano-stilistica, in cui sembra in gran
parte risolversi anche l'intellettualistico gioco e la
sensuale apprensione del reale (due modi di reagire di
quella intuizione), si può forse indicare la più feconda
linea espressiva della lirica barocca. E la più costante,
anche: pur nella diversità delle tendenze di regione e di
persona, di tempi e di sviluppi. Perché è innegabile, anche
se spesso difficile da cogliersi, la diversità di
fisionomia, di toni e di accenti, che passa fra questi
poeti. Così il piglio iperbolico e dinamico dell'Achillini
si differenzia dal tono di languida e morbida eleganza del
Preti, e la maniera atroce e tormentata di un Artale da
quella di squisita raffinatezza di un Pietro Casaburi (tanto
diverso dal più banale fratello Lorenzo). Così i modi dei
lombardi, piuttosto ferini e avvivati solo da un certo gusto
di saporosa realtà, si distinguono dai modi più coloriti e
smaglianti dei napoletani, o da quelli più melodici e
sensuali dei veneti. E, ancora, la composizione più frenata
degli autori del principio del secolo appare ben diversa da
quella audace e sconvolta degli autori dell'ultimo seicento.
Del resto non vale probabilmente la pena di troppo insistere
nel tentativo di segnare queste differenze. Si tratta
infatti, per questi poeti, di condurre una ricerca critica
d'insieme, poiché di valore complessivo e non individuale si
presenta il significato storico della loro ricerca poetica.
Il quadro di questi lirici marinisti non ci propone in
realtà nessuna grande figura di creatore, nessuna di quelle
rare personalità che, mentre ci lasciano il dono della loro
opera, imprimono con essa forze e sviluppi nuovi alla boria:
esso ci offre invece una schiera di sperimentatori, di
inquieti analizzatori, che contano non tanto per quei
momenti isolati di poesia che Pur realizzano, quanto
piuttosto per la loro generale esperienza, per i pro
tentativi di rinnovare il gusto poetico. Per opera di questi
poeti non si può negare, invero, che sia sorto un ideale
nuovo di poesia: uovo nelle situazioni e nelle emozioni,
nelle forme e nelle parole (di queste ultime ecco, per
finire, alcuni originali esemplari: atomo, enimma, cifra,
emblemi, epitalami, epicicli, fosforo, genealogie, embrione,
epitaffio, iperbole, ottica, chimico, apocrifo, epilogare,
inamarirsi, infogliare, ecc.). Ed è per questa loro opera di
rinnovatori (opera spesso nascostamente e misteriosamente
attiva nello sfondo della civiltà delle lettere) che essi
contano nella storia letteraria, che è storia dello
svolgimento del gusto poetico, e in definitiva dunque anche
storia della poesia. |