L'ARTE NARRATIVA DI ALVARO
La complessità dell'arte di
Alvaro è riconoscibile
immediatamente dalla costante
presenza nelle sue opere di una
zona di imponderabile (quello,
all'incirca, che è stato
chiamato dal De Robertis
«realismo magico») non
facilmente raggiungibile, che
per altro rientra facilmente fra
i dati positivi della sua
pagina, accanto a quel mondo che
costituisce la sostanza più
certa della sua ispirazione e
della sua opera. La pagina
dell'Alvaro risulta perciò
venata dalla impressione del
vero e del duro, ricavato dalla
terra delle sue suggestioni, e
insieme dal fantasmagorico e
dall'irreale, che si protendono
fino alle zone della sua
riflessione sul tempo e sulla
civiltà, accostamento di una
realtà più vasta ma anche
creatrice di interni contrasti
che hanno effetto sulla singola
pagina come sulle strutture
delle sue opere narrative...
Gente in Aspromonte racconta la
storia di Antonello Argirò che
diventa bandito: il paese
calabrese si muove intorno a
lui, le sue scoperte sono il
riconoscimento che lo scrittore
offre del paesaggio naturale e
umano allo stesso lettore, le
sue umiliazioni sono quelle di
tutta una umanità sofferente, la
sua rivolta è assurda e generosa
come tutte le cose primitive.
Tutto vi è tagliato in una
durezza che appare inumana il
piccolo pastore riconosce la
sventura, arrivata nella casa
degli Argirò quando le mule del
padre sono finite in un burrone,
non nell'attimo della tragedia,
ma nella casa del proprietario
quando il padre va per
richiedere un prestito. La
dimensione della sciagura che il
caso ha procurato cresce
nell'opposizione degli uomini,
nell'umiliazione della povertà:
fino a che tutto esplode nel suo
animo ed egli corre sulla
montagna, uccide il gregge del
padrone, ne offre la carne ai
poveri, brucia i fienili,
diventa bandito, per consegnarsi
infine ingenuamente fiducioso
nelle mani della giustizia.
Brevemente è questo il tessuto
del racconto che matura
all'interno una situazione
lirica fino ai limiti di un vero
epos, in cui tutto si muove
contemporaneamente, uomini e
cose. Nel racconto c'è una netta
linea strutturale, non arido
sforzo di costruzione ma senso
di disposizione, necessità di
quella cosa in quel luogo,
dettata dalla materia stessa e
dallo scavo che l'Alvaro vi fa.
Il nucleo poetico essenziale del
racconto scaturisce da questa
architettura, animato
dall'immagine della terra,
dall'elementare e faticoso volto
dei personaggi, dalla natura che
è parte viva della vicenda,
dalla freschezza delle cose
circostanti, amiche quando sono
familiari, nemiche quando non si
conoscono. Tutto vi è primitivo
e gentile, non rozzo; i
personaggi si ripiegano su se
stessi, scoprono di nuovo cose
antiche sempre esistite, buone e
cattive, partecipano con
ingenuità i propri sentimenti,
mostrano una serietà profonda
anche nel riso e nella gioia,
soffrono la propria
mortificazione eterna che è
anche ciò che li rende umanità.
L'urgere di tali motivi nella
pagina sembra travolgere qualche
volta la misura dell'arte.
Questo mondo di una civiltà
antica che sta per morire, che
conserva tratti inalienabili di
tradizioni e di sedimentazioni,
tornato ingenuo nella vicenda
stessa così umana e terrestre,
sembra travolgere l'Alvaro
stesso. Al clima delle prime
pagine, con quelle aperture
improvvise, tessute in un
costante rapporto di immagini e
di cose reali, succede
un'atmosfera più sfocata quando
i suoi personaggi cominciano a
parlare: quasi che dall'immagine
tutta nitida e forte si sia
passati alla riflessione che
aggiunge qualcosa di non
strettamente necessario e
intimo. Ma questo si riconosce
facilmente come momento di
passaggio, necessità di
attingere un piano nuovo di
movimento, appena torna dinanzi
Antonello, con i cui occhi lo
scrittore ci porta alla scoperta
del mondo e col quale vive i
motivi della sua ribellione, che
è avidità di giustizia (poter
parlare con la giustizia sarà
l'aspirazione del giovane
bandito), il senso del diritto
dell'uomo a godere delle cose
della terra.
Ma i momenti in cui la parola
stessa si fa più limpida, meno
affaticata, sono quelli in cui
gli occhi del ragazzo che
guarda, più che cercare piani
speciali segnano semplicemente
in una linea unica i rilievi
delle cose e li fermano
decisamente: i momenti insomma
in cui il racconto diviene
documento essenziale della
realtà, come quando descrive il
paese o certi rapporti tra gli
uomini, l'amore di Antonello per
la madre, l'umiltà dell'Argirò
davanti al padrone. È questo il
piano più autentico di
movimento, in cui le immagini
trovano la loro propria
dimensione e perfino le
sottolineature ironiche
acquistano un senso di tragedia.
Il realismo di Alvaro si
struttura dentro a certe
immagini, dentro ad una generale
suggestione del racconto, senza
che questa però prenda il
sopravvento quelle immagini,
anzi, non hanno valore di per
sé, ma solo dentro a quel clima
che l'Alvaro ha creato fin da
principio. Certi episodi, come
quello di Lisca l'usuraio,
prendono un loro posto solo
dentro a quel clima, che è il
filo su cui tutto il racconto si
svolge fino alle scene intrise
di meraviglioso con cui è
narrata l'esplosione di rivolta
di Antonello e la sua attesa
della giustizia. Il centro del
fatto espressivo si fonde con
quel clima definito sull'inizio
e l'armonia del racconto sta in
questo, dove non ci siano
cambiamenti improvvisi di tono
che scoprano l'architettura. La
validità della prosa di Alvaro
sta in definitiva nel suo andare
dal documento al senso di
meraviglia che le cose segnano
nell'animo del personaggio, che
è alla fine lo scrittore stesso:
sono gli occhi di questi che
scoprono i contorni reali delle
cose e se ne meravigliano e
tornano poi come a un rifugio
agli orizzonti conosciuti da
bambino e resi familiari. Lo
stile di Alvaro sta qui, in
questa diretta rappresentazione
della verità, nello sforzo di
dipanare questa tela che ha la
stessa verità della realtà e
dell'immagine per quell'uomo
primigenio che è il suo
personaggio...
Il punto d'approdo della
narrativa alvariana è l'Età
breve (1946) anche questo
romanzo storia di una scoperta
del mondo fatta da un ragazzo,
Rinaldo, nel paese dominato
dalla figura del padre, Filippo
Diacono, e nella scuola
gesuitica della città lontana,
deliberatamente scelta dal padre
per creare intorno al figlio
quasi un alone di mito e di
rispetto agli occhi dei
compaesani. Anche qui gli
orizzonti, non sconfinati ma
tutti impregnati della presenza
dell'uomo, fanno da tessuto e
quasi da legame al racconto, che
è più vivo quando coglie il
paese piuttosto che la città,
più vero, per fare un esempio
concreto, quando Rinaldo scopre
la donna nella povera prostituta
Antonia, che sarà uccisa per
voler restar fedele, che non
nella donna bella ed elegante
della città. Insomma le figure
del paese, la vecchia madre del
seminarista, il nobiluccio
impoverito che scopre con fiuto
speciale la casa dove si sta
preparando il caffè, sono le
cose più vive del romanzo: e
anche la pagina si fa più viva
ed intensa quando queste sono le
immagini tradotte dalla
esperienza diretta dello
scrittore, che non quando
giungono a lui dalla mediazione
di una riflessione sulla
condizione della civiltà nuova
verso cui l'uomo si muove. Il
ricordo del passato anima tutta
la verità di cui l'Alvaro è
capace: si pensi alla partenza
di Rinaldo dal paese dopo che le
speranze del padre falliscono, e
all'incontro nella notte col
giovane che ha scoperto una
statua antica, bellissima
soprattutto di questa antichità,
che è il solo tesoro vero che
quell'umanità, piegata sotto il
peso di una vita amara,
conserva. A1 di là della sicura
e più intensa prova poetica di
Gente in Aspromonte, questo
romanzo offre palesemente la
trama intera del mondo poetico
del narratore insieme alla
problematica che il saggista
coglie in sé e nel suo proprio
tempo. La sua prosa, innervata
in una sostanza verbale che è
risultato di quel connubio o
dualismo sul quale tutta la sua
sensibilità era centrata, è ad
un tempo turgida e limpida,
costituendo insieme passione e
documento, così come egli stesso
la definiva nell'ultima pagina
di Incontri d'amore, quasi una
dichiarazione di poetica, in cui
parlava di una parola che gli
serviva a scoprire la realtà e
che nell'esercizio gli si faceva
essa stessa realtà.