CARATTERI DI MORAVIA
L'invenzione narrativa, la virtù
di costruire persone e vicende e
trarre il lettore a seguirne il
destino con animo attento, anche
se non partecipe; la sicurezza
delle scene e la perizia del
loro quadro, la forza di un
linguaggio senza ornamenti,
simile a un'architettura tutta
«funzionale»: son questi i doni
dei romanzi e racconti di
Alberto Moravia, e giustificano
l'adesione dei critici ad
un'opera tanto significativa. Le
ragioni che hanno divulgato i
suoi libri possono riferirsi
prevalentemente alla materia
morale o immoralistica di cui
son fatti; ma il lettore
avveduto sa che di questa egli
deve discorrere soltanto nel
rapporto con l'arte dello
scrittore, indagando dove
raggiunse una virtù poetica e
dove fu saggio morale e dove una
violenza d'istinto che non
giunse veramente alla parola ma
restò, essa medesima, null'altro
che materia.
Conviene a noi riprendere alcune
sintetiche osservazioni che già
ci avvenne di fare su Moravia, e
svolgerne i trapassi e
approfondirne il significato. Il
primo stimolo al racconto di
Moravia - ci avvenne di scrivere
- diresti sia di una irritazione
verso la società che simula una
morale e verso la morale stessa
che la società si crede in
obbligo di simulare o, se si
vuole usare una metafora, alla
sincerità naturale degli eventi
cerca non una verità morale ma
una lealtà di visione, come un
occhio non accetta ostacoli: né
la cerca per un bisogno
religioso o sociale (motivi che
potrà coltivare altrove, ma che
nel racconto gli sono estranei),
o per la religione stessa della
verità contro il falso, o perché
alla morale simulata che lo
offende abbia una morale sua
diversa da contrapporre; ma per
puntiglioso gusto di svelare gli
inganni, per il puro ritmo di
una partita a carte scoperte, e
per un'acerba sebbene tacita
protesta contro i desolati
confini del vivere. Accoglie il
mondo come uno sguardo che è
ferito dalla luce. Scoprire,
sotto le ipocrisie del vivere e
le illuse parvenze e le
cantabili evasioni, il congegno
delle menzogne non accettando
che una cosa presuma darsi per
un'altra: ecco un suo bisogno
vitale. E rimescolare quella
materia oscura che gli uomini
velavano è un'attrazione del suo
sentire: per diretto piacere e
per dispetto, magari, talvolta,
per una stizza vendicativa dei
torti donde gli uomini sono
offesi..
Di solito è materia del senso, e
magari la più ambigua.
L'ipocrisia di altre passioni
con altri divieti non lo ha
irritato all'arte, ma ha
sommosso il suo lucido pensiero
a vigorose considerazioni e
massime.
Il pericolo di un'arte nata da
occasioni acri e dissacranti è
di rimaner vittima della materia
e sporcarsene. Ma all'acredine
che dapprima lo aizza al nucleo
più disgustante, succede in
Moravia l'attrazione dell'evento
per se stesso, come di un fatto
di natura che entra nelle sue
pupille e sul quale la luce è
caduta come cade sul giusto e
sull'ingiusto. Può essere egli
riposseduto dall'acredine, come
avviene a Zola per certo suo
sentire crudele: ma tornerà a
schiarirsi per la naturale sua
lealtà espressiva.
In un così desolato contatto col
mondo, come e donde nasce questa
lealtà espressiva? Questa
fiducia nella parola, che non è
già la falsa verbalità, ma senso
d'arte, non potrebbe aver
significato se non rispondesse
ad una positiva fede, che è più
profonda del disgusto e della
nausea e, se volete,
dell'angoscia donde prende avvio
il suo bisogno di scrivere.
Disgustato e deluso dalla
società troppo presto, Moravia
ha in sé, quasi confessato, un
angelico volto di utopista che
teme di costruire il suo sogno,
in una società ove lo
scetticismo e il facile riso, e
il proprio stesso atteggiarsi a
supreme certezze ciniche,
bruciano i bruchi prima che
diventino farfalle. L'abitudine
del disgusto, una specie di
precoce alcoolismo della
visione, crea quella necessità
di frugare in una materia
maligna e velenosa. Ma una vita
in cui la società fosse libera
come è libero il desiderio è
nell'angelo Moravia. Se così non
fosse, come scoprireste in lui,
improvvise quelle aperture di
cordialità e un non so che di
splendida fanciullezza? Così la
parola gli è implicita fiducia
nella vita contro il ripudio
ch'è alla radice del suo
disgustato racconto. Finirà egli
col giungere ad una pietà per
gli uomini e le cose che è nel
segreto della sua parola come un
sigillo troppo ritroso. Dopo
tutte le esperienze
dissacratrici, artisti come
Moravia, che innanzi alla parola
sono pii e perfino
superstiziosi, ecco che passando
dalla parola-sfogo alla
parola-rappresentazione, salvano
l'umano (il doloroso destino
delle creature umane) dove
appunto credevano di averlo
dannato.
Crediamo siano queste premesse
una chiara introduzione
all'opera del Moravia; ma
occorre scendere nel cuore della
sua arte, ove la prosa, come
atteggiamento di fronte alla
realtà, tende alla
rappresentazione morale, quasi
al saggio morale, pur se
immoralistico, più che alla
disinteressata rappresentazione
poetica. Quando invece tende ad
una irosa reazione di istinti,
ci tocca constatare che il
problema artistico non è più in
causa, e le pagine non sono
veramente parole ma antiparole,
sfoghi, un modo quasi di
disumanarsi e trovare non la
verità che è iniziativa della
vigile mente umana, ma lo stadio
anteriore in cui la parola e per
ciò la verità non sono neppure
un'aspirazione. Ciò forma sempre
la parte negativa degli
scrittori, quella che nel nostro
saggio sul D'Annunzio adombrammo
nella formula della parola-senso
contro la parolamusica.
Da quando nel 1929 il Moravia
entrò fulmineamente e con tutti
gli onori nel mondo delle
lettere, la sua opera consta di
tre ampi romanzi Gli
Indifferenti che lo collocarono
subito in primo piano, Le
ambizioni sbagliate, La Romana;
tre romanzi più brevi: La
mascherata, Agostino, La
disubbidienza; e poi raccolte
varie di racconti e di novelle:
La bella vita, L'imbroglio, I
sogni del pigro, L'amante
infelice, L'epidemia ecc. E
accanto alla narrativa son da
porre saggi vari, aforismi,
moralità, e l'esercizio della
critica cinematografica.
I titoli di alcuni libri di
Moravia sembrano promettere un
trattato di psicologia; sono
definitorii e non esitano a
stabilire una tesi: Gli
indifferenti, Le ambizioni
sbagliate, La disubbidienza. E
mentre il primo, soltanto in
qualche punto, enunzia la
rappresentazione
dell'indifferenza in questo o
quell'atteggiamento dei
personaggi e così la definisce
piuttosto che farne
oggettivamente sentire la
presenza, La disubbidienza è
condotto come un saggio di rara
efficacia e illuminazione sulla
psicologia di un adolescente.
Se la pura virtualità poetica
non può mai mancare in uno
scrittore e gli esperti la
scoprono perfino tra le
condensate formule scientifiche,
per le parole e la storia
contratta a cui accennano,
agevole è riconoscerla anche
nella composizione, nel ritmo
scenico, nelle soluzioni, nel
periodo verbale di Moravia; mala
prosa nella sua arte prevale
perfino quando egli si esprime
per motivi del tutto
irrealistici. Prevale per
l'atteggiamento negativo che
egli assume di fronte alla vita,
senza quella pietà del canto, se
così può dirsi, che salvò i
grandi pessimisti romantici. Ma
Moravia veniva su dopo la
rivolta e, diciamo pure, il
disfacimento del decadentismo
che predicava il tempo degli
assassini e variamente volle
liberare l'uomo dal senso della
colpa e dalla inibizione
(insomma da ciò che lo fa uomo)
ed ebbe il torto di confondere
la giusta rivolta all'ipocrisia
di ciò che nell'uomo è ancora
bestiale (e vien chiamato a
torto, civiltà, religione,
morale, diritto, mentre è
schiavitù verso la bestia
naturale, il perenne stato di
natura che resiste alla nostra
sincerità di uomini e alla
nostra vera civiltà) con
l'innocenza male intesa degli
istinti ferini. Dovette perciò
vincere l'ostilità di questa
nuova e aggrovigliata rete di
principii immoralistici, e la
nuova e più desolante ipocrisia
dei nuovi predicatori della
libertà sessuale, del superuomo
ridotto alla pura funzione della
bestialità senza l'innocenza
necessaria della bestia: perché
l'uomo, dotato di parola, non
può agire come se non pensasse,
e imbestiandosi non diventa
bestia, ma la perversa scimmia
della bestia. La fatica di uno
scrittore come Moravia e come
altri che vissero queste
esperienze dissacratrici
dell'estremo decadentismo
consiste e consisterà sempre
più, in modi più o meno
consapevoli, nel dover cercare
la propria umanità tra i
pregiudizi dell'ipocrisia
naturalistica instaurata dall'immoralismo
post-romantico, diventato
un'abitudine perfino accademica,
e sia pure di un'accademia
dell'avanguardia: un'abitudine
non meno conformistica, ma forse
più pesante e più difficile a
vincere, di quella della vecchia
consuetudine sociale e morale e
religiosa a cui, con gli
equivoci che abbiamo accennati,
pretese di ribellarsi. E se
nonostante questa giungla dei
nuovi pregiudizi, questa
soffocante sincerità sociale che
vuol trovare un pretesto e una
scusa scientifica e un falso
nome di verità a certa sua
sporcizia (come per esempio di
parlare di cose sconce sotto
pretesto di un'analisi
dell'inconscio, e trovare questa
o quella ragione per spiegare
come un merito una propria
viltà) il Moravia è giunto a
costruire figure e caratteri e
paesi di schietta verità, egli
ha avuto bisogno, forse senza
saperlo, di una forza generosa e
sorgiva che gli va riconosciuta
e per la quale gli è dovuta una
franca e non avara simpatia.