PROSPETTIVA SU PAVESE
È già, in questi racconti, la
continuità e pienezza di umana
vibrazione che, nell'opera del
Pavese, verrà facendosi sempre
più intima e tersa; e in virtù
della quale il suo linguaggio,
senza mai esaltarsi e prendere
un'aria poetizzata, si satura di
valori lirici che poi non sono
altro che l'accento della
partecipazione in una più
profonda verità. Sarà sempre
mirabile che un esordiente
avesse potuto disimpegnarsi con
tanta lucidezza in un partito di
contrappunto sommesso e
complicato come quello di Tre
ragazze; mentre in Carogne la
scena amorosa fra Concia e
Rocco, scappato dal carcere col
proposito di uccidere la donna
che l'ha tradito, ha, nel
dialogo non meno che
nell'azione, un rilievo e una
rapidità degni d'un maestro.
O si vegga, sempre in questo
racconto: Carogne, la pittura
dell'interno della prigione, con
quella infernale promiscuità; e
con la compassionevole figura
del prete in borghese, ch'è lì
per poche ore in sosta di
transito verso la sua
destinazione di confino; e
sull'atto che i carabinieri
della scorta, all'ora della
partenza, vengono a pigliarlo
per rimettersi in viaggio, porge
i polsi alle manette come un
Christus patiens. In Notte di
festa, è tutt'altro carattere di
sacerdote: il superiore di un
ospizio di trovatelli ed orfani
di campagna: imperioso,
violento, e ciò malgrado con una
sua brutale saggezza, e a modo
suo, si direbbe quasi bontà.
Personaggi così numerosi e
variati, si paragonino a quelli
d'altri nostri scrittori di
romanzi e novelle, e si sentirà
subito un'aria differente. Non
si tratta soltanto che Pavese si
applica ad animare e colorire le
sue figure con una pazienza
infinita, e un'affettuosità come
si è detto inesauribile; pur
senza mai scivolare in
romanticherie e sentimentalismi;
tanto è vero che, a lettori
superficiali o frettolosi, il
suo costante rifiuto di
qualsiasi effetto eloquente, fa
un'impressione di vera e propria
freddezza e aridità. Si tratta
che, dell'esperienza umana e
sociale di cui egli si serve per
il proprio lavoro, il Pavese ha
un possesso addirittura
eccezionale lentamente vissuto,
maturato in ogni parte. Onde non
è mai costretto a ricorrere a
soluzioni di maniera, e non va
mai nel generico,
nell'approssimativo.
Il suburbio dove la vita della
provincia trova quotidianamente
la sua saldatura provvisoria con
la vita della città;
l'accostarsi e l'adattarsi del
ceto rustico alle professioni
industriali; la ragazzotta
inurbata che diventa serva,
operaia, commessa, «maschietta»,
e lascia le prime penne nei
ballonzoli rionali; il logorarsi
della borghesia campagnuola
nelle mutate condizioni
economiche e politiche: nessuno
li ha interpretati come lui, con
una competenza così
stratificata, con una visione
così complessa e tranquilla,
senza escandescenze polemiche.
Veramente egli sa di che cosa
parla; e per dare autorità al
suo discorso, non si crede in
obbligo di sermoneggiare; di
fare la faccia severa; allo
stesso modo che non si dilunga
in minuzie ed oziosità di
descrizione, in inventari
veristici: in un documentarismo
ch'è poi quel solito, zoliano,
rinfrescato come usa oggi con lo
spizzico di qualche banale
procedimento cinematografico. È
sufficiente, del resto,
riferirsi alla qualità creativa
e tutta interiore del dialogo
del suoi personaggi; che non è
mai un dialogo di Imitazione
vernacola, nel quale alcuni
fantocci, di natura
completamente gratuita, alla
peggio rifacciano il verso a
operai e contadini con i quali
non hanno nulla a che vedere.
Riconosciamo così, ancora una
volta, che della sua
generazione, Pavese fu tra gli
spiriti non solo artisticamente
più dotati, ma nell'insieme di
tutte le facoltà,
intellettualmente e moralmente
più esemplario. Il libro odierno
lo conferma. Racconti di un tal
merito, dall'autore furon
lasciati dormire manoscritti, in
fondo a un cassetto, per quasi
un ventennio. Considerando il
ritmo con il quale oggidì si
produce e si pubblica, e tanto
più che il Pavese aveva a
propria disposizione una potente
casa editrice: è la riprova più
concreta del disinteresse, dello
scrupolo dello scrittore, e
della sua profonda moralità.
A precoci e robusti risultati
come i racconti di Notte di
festa, il Pavese era pervenuto,
innanzi tutto, è superfluo
dirlo, per i suoi doni naturali;
ma in aggiunta a codesti, per
virtù del suo illuminato ed
assiduo tirocinio umanistico. Né
in altra maniera potrebbero
definirsi la sua volontà
culturale, l'ampiezza delle
letture, antiche e moderne e
l'inesauribile bisogno di
rendersi conto criticamente, di
cui sono testimoni tante pagine
del Diario. Soprattutto, non
potrebbe altrimenti definirsi la
sua enorme operosità di
traduttore; esercitata su autori
che particolarmente lo
appassionavano, e il problema
del cui linguaggio era talvolta
assai prossimo a quello che egli
s'era proposto di risolvere,
come infatti gli avvenne, con la
invenzione del linguaggio suo.
Senza voler sottolineare oltre
misura il loro influsso:
Sherwood Anderson, Melville,
Defoe, Dickens, Gertrude Stein,
ecc., dei quali egli tradusse
numerosi volumi; ed altri
scrittori alle cui versioni,
eseguite da diversi, egli prestò
dotte e pazienti fatiche di
revisore: con uno scolaro della
sua forza, non potevano non
dimostrarsi i grandi maestri di
prosa che sono. Alla drammatica
esperienza di vita sentimentale
che si riflette nel Diario, e
all'esperienza sociale e
politica in cui interamente egli
pagò di persona, fu insomma
accompagnato sempre un lavorio
filologico e critico, dal quale
ogni più fuggevole segno della
sua penna, non importa in
qualsiasi materia, deriva una
caratteristica impronta di
intellettuale responsabilità e
dignità. Per lo stesso motivo,
nella sua arte, il sentimento
d'umana partecipazione è di un
cristallo talmente puro; e si
distingue e separa in modo così
reciso dagli atteggiamenti e
dalla comune pratica realistica
e neorealistica.
Col progresso del lavoro, in
Pavese, il bisogno di bellezza
ritmica e verbale si fa sempre
più intenso. Si notò già come,
nei tre grandi racconti della
Bella estate, che stanno fra le
sue prove più alte, la tendenza
ad una formazione per brevissime
scene regolari a capitoli
staccati, risponda alla
necessità interiore d'una
accentuata scansione ritmica;
senza che la continuità
narrativa perda evidenza e
coerenza, mentre più acquista
d'intimità musicale.
E tutto, ormai, anche ogni più
labile occasione, a un
leggerissimo tocco, può
trasformarsi in racconto; da far
pensare ad una disposizione non
dissimile a quella, riccamente
trasfigurativa (benché in un
certo senso anche dispersiva),
alla quale nel corso degli anni,
Sherwood Anderson andò più
concedendo; come si vide in
componimenti inediti del suo
ultimo periodo, pubblicati nello
Sherwood Anderson Reader, 1947.
Ma per ciò che riguarda il
Pavese, la solidità di struttura
del racconto, non apparve, come
s'è detto, mai compromessa.
Altrettanto sembrano fuori luogo
gli allarmi di taluno circa i
pericoli d'un presunto
«estetismo», nel Pavese ultimo;
a non considerare come l'odio
istintivo per la proprietà e
bellezza della scrittura, ed in
genere per la nobiltà dell'arte
ed ogni disposizione umanistica,
autorizzi certi critici ai più
sballati sospetti.
In realtà, dal principio alla
fine della breve ma così feconda
carriera, fu in lui continua
conquista, integrazione e
perfezionamento. La passione,
andatagli sempre crescendo, per
gli studi di mitologia ed
etnologia, tutt'altro che
estranei al suo ideale della
creazione «d'un linguaggio che
tanto si identificasse alle
cose, da abbattere ogni barriera
tra il comune lettore e la
realtà simbolica e mitica più
vertiginosa»: codesta passione,
probabilmente nata, come nella
maggior parte dei suoi coetanei,
sotto il segno di Jung e di
Freud, e cioè su una base
fisiologica e psicopatica, s'era
poi chiarita e naturalizzata,
aveva trovato la sua tradizione,
orientandosi verso i miti
mediterranei, sotto il segno di
Vico.
Vuol concludersi che il valore
dei giovanili racconti ora
scoperti, non dovrà indurre
(come purtroppo sembra ci sia
qualche tendenza) a ritenere che
più tardi il Pavese ebbe
deviazioni e complicazioni, che
in un certo senso lo diminuirono
come artista, allontanandolo
dalla originaria concretezza e
spontaneità. Figlio di un'età
difficile, egli ne condivise
tutte le responsabilità ed i
patemi; ma il suo ingegno ne
trasse costante incremento,
anche se a un prezzo di dolore
infinito.