ITALO SVEVO
Innanzi tutto il tono di Svevo è
condizionato dalla presenza del
tema autobiografico che, anche
se trattato con la libertà
inventiva dell'artista, ritorna
costante almeno come dato di
partenza in tutte le pagine
significative, dal giovanile
romanzo Una vita fino alle
novelle della maturità e al
libro interrotto dalla morte. Né
l'autobiografia risulta
espediente minore di attacco
verso la narrativa: anzi
s'impone come procedimento
naturale per aderire a una prima
e profonda verità che non voleva
esser tradita. Rilevare
l'ingenuità letteraria della
maniera con la quale lo
scrittore trasferisce intenzioni
e segreti della propria
coscienza in personaggi che
hanno il nome di Alfonso Nitti o
Emilio Brentani importa meno che
osservare come di volta in volta
l'autobiografia torni rinnovata
ad assolvere proprio un nuovo
assunto letterario; perché non
solo la tecnica ingenua di Una
vita è abbondantemente
riscattata dai pregi di una
forte tempra di narratore ed è
la medesima delle opere
giovanili di scrittori più
grandi, ma l'autobiografia si
snoda con modulazioni assai
varie, dalla concentrazione
drammatica di Senilità
all'ironia signorile della
Novella del buon vecchio e della
bella fanciulla. Tuttavia nel
diario-romanzo di Zeno si
realizza quanto di più nuovo e
di più vero ci ha dato Svevo, e
il libro si presenta come
un'autentica opera narrativa;
misurabile sui personaggi, le
situazioni, il tempo. I
personaggi che in Una vita e
ancora in parte in Senilità
erano presentati con un amore
minuzioso del vero che li
rendeva in parte sproporzionati
al significato delle vicende,
nella Coscienza di Zeno trovano
la loro misura esatta, riportati
assiduamente e pure senza
ostentazione polemica o
sentimentale a quell'indice
sicuro di verità che è l'animo
del protagonista. Persino figure
caratterizzate da una mossa
tipica e ridotte quasi alla
fissità delle macchiette, si
trovano infatti riscattate nel
gioco di attrazione, di repulse,
di manie che è la coscienza di
Zeno : si ricordi, per esempio,
quel Tullio che parla dei
cinquantaquattro muscoli della
gamba, o il Copler, l'amico
malato che introduce Zeno da
Carla, o l'agente di cambio di
Guido, il Nilini. Ma innanzi a
tutti stanno le donne, Augusta,
Carla, Ada, che intrecciano,
consapevolmente o no le loro
esistenze, non collaborano solo
a compiere l'educazione di Zeno:
gli conservano dinanzi con
irrefutabile urgenza la sua
controversa idea del mondo amato
e ostile. E Zeno, ormai vecchio,
sul punto di ritrovare
l'equilibrio dell'uomo sano, ma
pronto ancora a tradire sua
moglie, tenterà infatti di
riassumere in forma compendiosa
il valore di questa sua storia
sentimentale: «Fu un vero
raccoglimento il mio, uno di
quegl'istanti rari che l'avara
vita concede, di vera grande
oggettività in cui si cessa
finalmente di credersi e
sentirsi vittima. In mezzo a
quel verde rilevato tanto
deliziosamente da quegli sprazzi
di sole, seppi sorridere alla
mia vita e anche alla mia
malattia. La donna vi ebbe una
importanza enorme. Magari a
pezzi i suoi piedini, la sua
cintura, la sua bocca,
riempirono i miei giorni. E
rivedendo la mia vita e anche la
mia malattia le amai, le intesi!
Come era stata più bella la mia
vita che non quella dei
cosiddetti sani, coloro che
picchiavano o avrebbero voluto
picchiare la loro donna ogni
giorno salvo in certi momenti.
Io, invece ero stato
accompagnato sempre
dall'amore...». Sono parole
fortemente rivelatrici, se anche
condensano in una forma quasi
concettuale la fluidità
difficilmente ripetibile della
storia di Zeno, sempre perplesso
tra le due condizioni opposte di
chi vuole una certezza o dal
mondo o da sé, quelle in qualche
modo simboleggiate dalla sua
doppia vocazione di studente di
chimica e di studente di legge.
E Svevo tenta ancora di estrarne
una giustificazione al «sistema»
del suo personaggio nelle ultime
pagine del romanzo, quando Zeno
sfiduciato della cura del medico
psicanalista si rivolge al
vecchio dottor Paoli e trova una
calma insperata all'idea di
essere malato di diabete: «Il
Paoli analizzò la mia orina in
mia presenza. Il miscuglio si
colorì in nero e il Paoli si
fece pensieroso. Ecco finalmente
una vera analisi e non più una
psicoanalisi. Mi ricordai con
simpatia e commozione del mio
passato lontano di chimico e di
analisi vere: io, un tubetto e
un reagente! L'altro,
l'analizzato, dorme finché il
reagente imperiosamente non lo
desti. La resistenza del tubetto
non c'è o cede alla minima
elevazione della temperatura e
la simulazione manca del tutto».
Perciò la salute come equilibrio
spirituale Zeno la raggiunse
senza un suo intervento attivo;
anzi nella calma del suo animo
il romanzo si esaurisce; nella
serenità a cui è approdato si
spengono le ragioni che l'hanno
fatto scrittore. Ancora una
volta sussiste la coincidenza
tra la biografia e l'arte, se al
punto d'equilibrio sorridente e
deluso Svevo arrivò molti anni
dopo la composizione di
Senilità, non senza che il
secondo romanzo portasse già le
tracce della disposizione che La
coscienza di Zeno doveva
alleggerire e perfezionare, non
tradire...
I non pochi lettori che
riconobbero in Senilità l'opera
più riuscita di Svevo, cedettero
senza dubbio alla suggestione
della compostezza strutturale
del racconto più che al senso di
verità umana dei personaggi;
veramente Senilità tradisce in
ogni parte la condizione di uno
scrittore intelligentissimo e
perciò sensibile ai fatti più
sottili dell'anima, e pure
rivela un'istintiva forza di
intuizione psicologica che si
impone quasi al di fuori della
sua consistenza letteraria.
Forse un lungo discorso a questo
proposito si potrebbe svolgere
sul particolare clima della
letteratura in quella provincia
eccentrica che è Trieste, aperta
al richiamo di opposte e lontane
civiltà e per questo anche
rimasta fuori da un'esatta linea
di tradizione letteraria. Non si
verrebbe che a confermare «la
ragione di uno pseudonimo che
sembra voler affratellare la
razza italiana e quella
germanica» suggerita dallo
scrittore; e senza dubbio si
andrebbe più lontano di quanto
non si possa con i molti
raffronti tentati nella
letteratura europea. Ma il tono
della narrativa di Svevo non
verrebbe molto meglio chiarito
nella sua essenza, nella sua
contraddizione difficilmente
sanabile, eppure tanto efficace
a un effetto di poesia. Perché
in Senilità la consistenza delle
persone e la semplificazione nel
racconto, mentre vanificano la
parte della tesi (quella delle
ultime pagine che dà il titolo
al romanzo, dànno la misura del
vigore naturale dello scrittore,
in una forma che, indulgendo
meno al divertimento dell'ironia
e tenendo la situazione in una
forte tensione di dramma,
risolve più immediatamente in
ritmo narrativo l'implacabile
amore di verità. I rapporti fra
Senilità e La coscienza di Zeno
non restano meno stretti per
queste ragioni. Ma mentre la
critica ha insistito
sull'affinità di personaggi dei
due libri, più vero e utile
sarebbe sottolineare certi
tratti che, come materia
psicologica, possono misurarsi
su uno stesso metro e
stilisticamente si risolvono in
fatti diversi nella diversa
atmosfera dei due libri. Si
risalirebbe anzi per questa
lettura a Una vita, ,trattata
magari come zibaldone giovanile
e portrait of the artist as a
young man. C'è, per esempio,
come situazione necessaria nei
tre romanzi quella del
protagonista che si riconosce e
si stacca da un mondo di
illusioni e d'errori nel
contemplare la morte di una
persona cara: Alfonso Nitti di
fronte alla madre; Emilio
Brentani dinanzi ad Amelia, Zeno
nei giorni che precedono la
morte del padre. Ma quello che
in Una vita e ancor meglio in
Senilità segna un momento
conclusivo, la svolta per un
nuovo destino, in Zeno sta
piuttosto come un ammonimento
che insistentemente riaffiora
nella coscienza, oltre che per
la sua enormità, per quel tanto
d'ingiusto e d'inspiegabile che
contiene. Dalle pagine tragiche,
quel ceffone misurato al figlio
in un estremo moto di reazione
che viene a punire il passato
più che il presente si proietta
quasi come una fatale condanna
sulla storia degli errori e
delle debolezze di Zeno. Allo
stesso modo la sottile analisi
dei suoi sentimenti e della sua
colpa che fa Zeno per assolversi
prima ancora di compiere
l'adulterio riconduce alla
debolezza di Emilio di fronte ad
Angiolina, specialmente quando
ritorna a lei per averla
finalmente, conoscendo già in
anticipo l'amarezza che gli
lascerà il possesso. E dal
confronto risalta la differenza
delle due esperienze e dei due
stili, con tutto il vigore
nativo che c'è nella più
scoperta e immediata vicenda di
Senilità, con la sua traboccante
forza d'espressione e con il
fango che pure si trascina
dietro, in tutto, anche nella
lingua.