IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

CRITICA LETTERARIA

IL NOVECENTO

 

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CRITICA: IL NOVECENTO

IL "CASO" SVEVO

 

 

Il «caso Svevo» sembra giunto alla sua soluzione soltanto ora, a parecchi anni dalla morte dello scrittore, ora che non si tratta più di stabilire le ragioni della saltuaria fortuna, quanto piuttosto di iniziare un vero esame critico dell'opera sua.
Sembra giunto il tempo per un bilancio conclusivo, per un interesse non esclusivamente problematico. Oggi Italo Svevo può finalmente, pensiamo, essere situato senza errori di valutazione nel quadro del romanzo europeo...
Era logico pensare che nella situazione letteraria dal '25 al '40, pur intuendo la portata del messaggio sveviano, fosse difficile ottenere il distacco necessario dagli sviluppi della nostra «linea» culturale, per giungere a caratterizzare l'isolamento di Svevo, in rapporto alla posizione «europea» ch'era necessario riconoscergli. In questo dopoguerra, nei termini di un allargamento necessario del nostro quadro letterario, è giusto che il «caso Svevo» sia stato di nuovo proposto; oggi che è urgente chiarire le ragioni che isolarono la cultura italiana dal contemporaneo sviluppo europeo precedente l'ultima guerra mondiale, relegandola nei casi singoli di una preparazione specifica (nel caso nostro Montale, Vittorini, «Solaria», ecc.) e di un ristretto cerchio di avanguardia che aveva superato i limiti angusti di una intristita «tradizione», ma che, contemporaneamente, non poteva costituire la base di una coscienza popolare rimasta lontana per tante ragioni, prima fra tutte la politica, da quelli che dovevano essere, nei primi anni del Novecento, gli sviluppi europei mossisi dal positivismo ed in particolare dal naturalismo francese...

Nato e vissuto a Trieste, in una città di confine, in un clima necessariamente distaccato dalla più interna situazione italiana, nel luogo che fu in certo senso il centro di raccolta di tanti echi europei negli anni intorno alla prima guerra mondiale, in un tempo caratterizzato da una profonda crisi centro-europea, Svevo non poteva trovarsi implicato in un identico problema letterario. Per lui la tradizione romantica che tanto potentemente agì nel primo Verga, non ebbe egual peso, in quanto il mondo a cui appartenne la sua sensibilità, già da tempo se ne era liberato o, per meglio dire, ne era stato toccato tangenzialmente.
Svevo è dunque un isolato, se il nostro occhio corre alla situazione italiana; non lo è se riusciamo a collocare Trieste nel cerchio di una cultura destinata a confluire più tardi in problemi letterari quali furono quelli che dettero via alle opere di Kafka e di Proust. Si pensi all'interesse suscitato in Francia dalle segnalazioni di Joyce, e alla partecipazione al «caso Svevo» dovuta ad uomini come Valéry Larbaud che intesero senza dubbio il significato europeo del romanzo sveviano.
In Italia, dunque, non potevano essere comprese opere quali Una vita e Senilità, negli anni in cui gli epigoni romantici tendevano a contrapporsi ad ogni altra esperienza, soprattutto extra-nazionale...
Un'esperienza quale fu quella di Svevo, che pur movendo dagli schemi della narrativa verista portava tuttavia in sé le nuove esigenze di una indagine estremamente soggettiva ed autobiografica, non poteva non resultare estranea ed impopolare, e nei casi estremi, addirittura poco comprensibile. La critica, quand'anche si volse al mondo francese, si trovò in ritardo sugli sviluppi della situazione europea; le idee che giungevano dalla Germania e si affermavano in Francia, la situazione drammatica destinata a sfociare nella prima guerra mondiale, e che già conduceva in sé, chiarissima, la tragica sorte dell'individuo, il suo problema non più oggettivabile ma reso all'estremo sintomatico di una situazione personale, non ebbero ugual peso al di qua delle Alpi, non giunsero con la stessa evidenza all'interno della nostra cultura appena uscita dal problema risorgimentale. Trieste, posta allo sbocco mediterraneo del mondo austriaco, partecipe di quel clima centro-europeo che andava sempre più esaurendo la propria funzione coordinatrice, che anzi, assimilata ormai la grande tradizione tedesca nei suoi aspetti filosofici, morali, politici, conduceva verso una soluzione disperata e crudele, Trieste diciamo, fu il centro in cui vennero ripercuotendosi gli echi della crisi; forse anzi tempo, forse proprio per la sua posizione geografica, per il suo aspetto «internazionale» e commerciale, fu il luogo ideale per il problema sveviano, per la sua «terrena» autobiografia che è sensibile indice di una crisi spirituale, sintomo di una situazione estremamente umana. E ancora, fondamentale, il fondo ebraico, il peso della tradizione semitica sentito nel suo aspetto più urgente da chi apparteneva, come più tardi Kafka, ad una condizione d'anima estremamente tesa che esigeva una soluzione non più « di compromesso »; soprattutto una chiarificazione morale.

In tutta l'opera di Svevo è presente lo sforzo di ridurre la realtà alla propria misura, una misura che è, al tempo stesso, testimonianza di un problema individuale e sociale. Per la Coscienza di Zeno e per le opere successive (gli Inediti), nate dal '23 al '28, la situazione è mutata: qui pesa un altro aspetto della nostra cultura. Logicamente i tempi sono diversi; è passata la guerra e in Italia il fatto letterario aderisce al fatto politico. D'Annunzio, la reazione ai «crepuscolari» hanno spinto verso un'esperienza essenzialmente di stile che è andata con gli anni maturando, ma che d'altra parte doveva di necessità isolarsi in una precisa fisionomia, sulle tracce aperte dalla «Ronda», sulla via, d'altronde importante che il «gusto per l'elzeviro e la prosa d'arte» aveva in quegli anni aperto. Tuttavia in Italia (interesse per Svevo si afferma proprio in questo periodo: urge specialmente tra i giovani la necessità di un allacciamento «europea», la Coscienza di Zeno è appunto il segno di una «apertura» italiana verso quelle esperienze che ormai, per quanto vincolate al gusto e alla moda letteraria, vanno facendosi strada anche nei limiti imposti dalla crisi politica. In questa luce va considerato l'intervento di Montale sull'Esame nel '25, senza dubbio sollecitato dall'occasione «triestina» (quel Bobi Balzlen, segnalato da Stuparich e ricordato in Vita di mio marito) e dall'interesse d'oltralpe (Joyce e Larbaud), ma al quale non si può disconoscere il merito di aver individuato (anche per l'aderenza spirituale) il significato europeo di Svevo e di aver stabilito un giusto equilibrio critico.
Gli ultimi anni della vita di Svevo furono dunque, dal '25 in poi, anni abbastanza fortunati: soprattutto i giovani sentirono nelle pagine della Coscienza un'apertura nuova che h trascinò a riconoscere l'importanza anche di quelle opere che erano state in altri tempi trascurate...

Se da un lato i tempi erano maturi, dall'altro fu Svevo, l'opera di lui ormai giunta con la Coscienza alla «essenzialità», ad imporsi alle nuove leve della cultura italiana. Zeno portò l'arte di Svevo al suo punto estremo, al vertice delle proprie «conseguenze»; definitivamente liberato da ogni sovrastruttura, non fu più possibile ignorare il significato di quelle pagine. In Zeno si conclude quindi un cammino iniziatosi molti anni prima e lungamente maturatosi negli anni del silenzio: anni d'altra parte densi di una diretta esperienza di vita che lo condussero a semplificare la propria scoperta, eliminando ogni necessità letteraria e conducendolo alla valorizzazione di ciò che di originale era alla base delle sue prime prove letterarie.
Una volta toccata nella Coscienza e, con caratteri ancor più evidenti in Corto viaggio sentimentale, una particolare «natura» narrativa, in Svevo torna a farsi impellente il bisogno di risalire al romanzo: una pagina come quella di Zeno è senza dubbio irripetibile. Dalla semplificazione della propria poetica (forse è più giusto parlare di una «liberazione») che da Una vita e da Senilità aveva condotto a Zeno, Svevo avrebbe dovuto, nel suo disegno umano, tornare di nuovo al romanzo, e risalirvi alla base offerta da Zeno, cioè non introdurre il proprio significato a render viva la pagina, quanto piuttosto fare di esso la molla del romanzo, il postulato della propria poetica. Gli ultimi inediti e soprattutto la Novella del buon vecchio e della bella fanciulla sono, a parer nostro, le prove di questo intimo processo, e ancora gli interessi letterari di Svevo che andarono concretandosi negli ultimi anni (Proust, Kafka), la sua rinnovata attenzione allo stile, la necessità di fare veramente della narrativa.

Ormai con Zeno, Svevo ha realizzato la propria poetica; al di là lo aspetta unicamente la prova letteraria, l'impegno di romanziere e di artista. Le correzioni alla seconda edizione di Senilità, il continuo sforzo stilistico, ne sono, in certo senso, i documenti: l'interesse « linguistico » era stato, fino a Zeno, in «minore», sottomesso dall'urgere di una attiva «morale» ; negli ultimi anni andrà invece chiedendo la propria parte e significando il concludersi di una esperienza...
Non è dato stabilire ciò che sarebbe accaduto se la morte non avesse troncato l'attività di Svevo ancora nel pieno degli anni, ma gli inediti lasciano adito alla supposizione di un diagramma tendente a riallacciare la linea spezzata nel 1898, dopo l'insuccesso di Senilità; un cerchio che non ebbe il tempo di chiudersi, una costruzione geometrica che ebbe il suo vertice in Zeno e che va considerata appunto alla luce delle pagine pubblicate nel '23.

Giorgio Luti

© 2009 - Luigi De Bellis