IL "CASO" SVEVO
Il
«caso Svevo» sembra giunto alla
sua soluzione soltanto ora, a
parecchi anni dalla morte dello
scrittore, ora che non si tratta
più di stabilire le ragioni
della saltuaria fortuna, quanto
piuttosto di iniziare un vero
esame critico dell'opera sua.
Sembra giunto il tempo per un
bilancio conclusivo, per un
interesse non esclusivamente
problematico. Oggi Italo Svevo
può finalmente, pensiamo, essere
situato senza errori di
valutazione nel quadro del
romanzo europeo...
Era logico pensare che nella
situazione letteraria dal '25 al
'40, pur intuendo la portata del
messaggio sveviano, fosse
difficile ottenere il distacco
necessario dagli sviluppi della
nostra «linea» culturale, per
giungere a caratterizzare
l'isolamento di Svevo, in
rapporto alla posizione
«europea» ch'era necessario
riconoscergli. In questo
dopoguerra, nei termini di un
allargamento necessario del
nostro quadro letterario, è
giusto che il «caso Svevo» sia
stato di nuovo proposto; oggi
che è urgente chiarire le
ragioni che isolarono la cultura
italiana dal contemporaneo
sviluppo europeo precedente
l'ultima guerra mondiale,
relegandola nei casi singoli di
una preparazione specifica (nel
caso nostro Montale, Vittorini,
«Solaria», ecc.) e di un
ristretto cerchio di avanguardia
che aveva superato i limiti
angusti di una intristita
«tradizione», ma che,
contemporaneamente, non poteva
costituire la base di una
coscienza popolare rimasta
lontana per tante ragioni, prima
fra tutte la politica, da quelli
che dovevano essere, nei primi
anni del Novecento, gli sviluppi
europei mossisi dal positivismo
ed in particolare dal
naturalismo francese...
Nato e vissuto a Trieste, in una
città di confine, in un clima
necessariamente distaccato dalla
più interna situazione italiana,
nel luogo che fu in certo senso
il centro di raccolta di tanti
echi europei negli anni intorno
alla prima guerra mondiale, in
un tempo caratterizzato da una
profonda crisi centro-europea,
Svevo non poteva trovarsi
implicato in un identico
problema letterario. Per lui la
tradizione romantica che tanto
potentemente agì nel primo
Verga, non ebbe egual peso, in
quanto il mondo a cui appartenne
la sua sensibilità, già da tempo
se ne era liberato o, per meglio
dire, ne era stato toccato
tangenzialmente.
Svevo è dunque un isolato, se il
nostro occhio corre alla
situazione italiana; non lo è se
riusciamo a collocare Trieste
nel cerchio di una cultura
destinata a confluire più tardi
in problemi letterari quali
furono quelli che dettero via
alle opere di Kafka e di Proust.
Si pensi all'interesse suscitato
in Francia dalle segnalazioni di
Joyce, e alla partecipazione al
«caso Svevo» dovuta ad uomini
come Valéry Larbaud che intesero
senza dubbio il significato
europeo del romanzo sveviano.
In Italia, dunque, non potevano
essere comprese opere quali Una
vita e Senilità, negli anni in
cui gli epigoni romantici
tendevano a contrapporsi ad ogni
altra esperienza, soprattutto
extra-nazionale...
Un'esperienza quale fu quella di
Svevo, che pur movendo dagli
schemi della narrativa verista
portava tuttavia in sé le nuove
esigenze di una indagine
estremamente soggettiva ed
autobiografica, non poteva non
resultare estranea ed
impopolare, e nei casi estremi,
addirittura poco comprensibile.
La critica, quand'anche si volse
al mondo francese, si trovò in
ritardo sugli sviluppi della
situazione europea; le idee che
giungevano dalla Germania e si
affermavano in Francia, la
situazione drammatica destinata
a sfociare nella prima guerra
mondiale, e che già conduceva in
sé, chiarissima, la tragica
sorte dell'individuo, il suo
problema non più oggettivabile
ma reso all'estremo sintomatico
di una situazione personale, non
ebbero ugual peso al di qua
delle Alpi, non giunsero con la
stessa evidenza all'interno
della nostra cultura appena
uscita dal problema
risorgimentale. Trieste, posta
allo sbocco mediterraneo del
mondo austriaco, partecipe di
quel clima centro-europeo che
andava sempre più esaurendo la
propria funzione coordinatrice,
che anzi, assimilata ormai la
grande tradizione tedesca nei
suoi aspetti filosofici, morali,
politici, conduceva verso una
soluzione disperata e crudele,
Trieste diciamo, fu il centro in
cui vennero ripercuotendosi gli
echi della crisi; forse anzi
tempo, forse proprio per la sua
posizione geografica, per il suo
aspetto «internazionale» e
commerciale, fu il luogo ideale
per il problema sveviano, per la
sua «terrena» autobiografia che
è sensibile indice di una crisi
spirituale, sintomo di una
situazione estremamente umana. E
ancora, fondamentale, il fondo
ebraico, il peso della
tradizione semitica sentito nel
suo aspetto più urgente da chi
apparteneva, come più tardi
Kafka, ad una condizione d'anima
estremamente tesa che esigeva
una soluzione non più « di
compromesso »; soprattutto una
chiarificazione morale.
In tutta l'opera di Svevo è
presente lo sforzo di ridurre la
realtà alla propria misura, una
misura che è, al tempo stesso,
testimonianza di un problema
individuale e sociale. Per la
Coscienza di Zeno e per le opere
successive (gli Inediti), nate
dal '23 al '28, la situazione è
mutata: qui pesa un altro
aspetto della nostra cultura.
Logicamente i tempi sono
diversi; è passata la guerra e
in Italia il fatto letterario
aderisce al fatto politico.
D'Annunzio, la reazione ai
«crepuscolari» hanno spinto
verso un'esperienza
essenzialmente di stile che è
andata con gli anni maturando,
ma che d'altra parte doveva di
necessità isolarsi in una
precisa fisionomia, sulle tracce
aperte dalla «Ronda», sulla via,
d'altronde importante che il
«gusto per l'elzeviro e la prosa
d'arte» aveva in quegli anni
aperto. Tuttavia in Italia
(interesse per Svevo si afferma
proprio in questo periodo: urge
specialmente tra i giovani la
necessità di un allacciamento
«europea», la Coscienza di Zeno
è appunto il segno di una
«apertura» italiana verso quelle
esperienze che ormai, per quanto
vincolate al gusto e alla moda
letteraria, vanno facendosi
strada anche nei limiti imposti
dalla crisi politica. In questa
luce va considerato l'intervento
di Montale sull'Esame nel '25,
senza dubbio sollecitato
dall'occasione «triestina» (quel
Bobi Balzlen, segnalato da
Stuparich e ricordato in Vita di
mio marito) e dall'interesse
d'oltralpe (Joyce e Larbaud), ma
al quale non si può disconoscere
il merito di aver individuato
(anche per l'aderenza
spirituale) il significato
europeo di Svevo e di aver
stabilito un giusto equilibrio
critico.
Gli ultimi anni della vita di
Svevo furono dunque, dal '25 in
poi, anni abbastanza fortunati:
soprattutto i giovani sentirono
nelle pagine della Coscienza
un'apertura nuova che h trascinò
a riconoscere l'importanza anche
di quelle opere che erano state
in altri tempi trascurate...
Se da un lato i tempi erano
maturi, dall'altro fu Svevo,
l'opera di lui ormai giunta con
la Coscienza alla
«essenzialità», ad imporsi alle
nuove leve della cultura
italiana. Zeno portò l'arte di
Svevo al suo punto estremo, al
vertice delle proprie
«conseguenze»; definitivamente
liberato da ogni sovrastruttura,
non fu più possibile ignorare il
significato di quelle pagine. In
Zeno si conclude quindi un
cammino iniziatosi molti anni
prima e lungamente maturatosi
negli anni del silenzio: anni
d'altra parte densi di una
diretta esperienza di vita che
lo condussero a semplificare la
propria scoperta, eliminando
ogni necessità letteraria e
conducendolo alla valorizzazione
di ciò che di originale era alla
base delle sue prime prove
letterarie.
Una volta toccata nella
Coscienza e, con caratteri ancor
più evidenti in Corto viaggio
sentimentale, una particolare
«natura» narrativa, in Svevo
torna a farsi impellente il
bisogno di risalire al romanzo:
una pagina come quella di Zeno è
senza dubbio irripetibile. Dalla
semplificazione della propria
poetica (forse è più giusto
parlare di una «liberazione»)
che da Una vita e da Senilità
aveva condotto a Zeno, Svevo
avrebbe dovuto, nel suo disegno
umano, tornare di nuovo al
romanzo, e risalirvi alla base
offerta da Zeno, cioè non
introdurre il proprio
significato a render viva la
pagina, quanto piuttosto fare di
esso la molla del romanzo, il
postulato della propria poetica.
Gli ultimi inediti e soprattutto
la Novella del buon vecchio e
della bella fanciulla sono, a
parer nostro, le prove di questo
intimo processo, e ancora gli
interessi letterari di Svevo che
andarono concretandosi negli
ultimi anni (Proust, Kafka), la
sua rinnovata attenzione allo
stile, la necessità di fare
veramente della narrativa.
Ormai con Zeno, Svevo ha
realizzato la propria poetica;
al di là lo aspetta unicamente
la prova letteraria, l'impegno
di romanziere e di artista. Le
correzioni alla seconda edizione
di Senilità, il continuo sforzo
stilistico, ne sono, in certo
senso, i documenti: l'interesse
« linguistico » era stato, fino
a Zeno, in «minore», sottomesso
dall'urgere di una attiva
«morale» ; negli ultimi anni
andrà invece chiedendo la
propria parte e significando il
concludersi di una esperienza...
Non è dato stabilire ciò che
sarebbe accaduto se la morte non
avesse troncato l'attività di
Svevo ancora nel pieno degli
anni, ma gli inediti lasciano
adito alla supposizione di un
diagramma tendente a
riallacciare la linea spezzata
nel 1898, dopo l'insuccesso di
Senilità; un cerchio che non
ebbe il tempo di chiudersi, una
costruzione geometrica che ebbe
il suo vertice in Zeno e che va
considerata appunto alla luce
delle pagine pubblicate nel '23.