LA POESIA DI SABA
Saba non appartiene alla
schiatta atletica dei poeti
giudicanti. In costoro la
tragedia della volontà risolve,
lucidamente, nella vittoria
espressiva: etica e poesia si
allacciano in una chiara
dialettica. Il problema dello
stile, ponendosi nel momento del
giudizio e della liberazione dal
patire, è reso preciso e
rigoroso da necessità etiche e
da funzioni, in alto senso,
consolatorie; ed assume dati
sentimentali in una
concentrazione irrevocabile che
toglie loro ogni possibilità di
ripresentarsi identici, sia pure
sotto veste di aneliti musicali
e di iterazioni tematiche. Ma
Saba non ha un così robusto
tessuto morale che gli permetta
di scrutare a fondo la propria
vita e di portarla a conseguenze
disperate e nude: la sua pacata
riflessività, la sua
intelligenza bonaria e riposata
non amano spingersi a cogliere
gli ultimi e più rarefatti
rapporti dei termini che si
agitano dentro la sua coscienza.
Di ciò hai conferma nel tono
generale del Canzoniere e nella
medesima struttura di esso, che
può riassumersi come il racconto
di semplici situazioni di vita,
non mai fermate a lumeggiare una
sicura moralità. Ma, più ancora,
puoi trovarne riscontro nel modo
come Saba sentenzia. Le sentenze
entrano nella testura del suo
discorso in qualità di pure
clausole musicali. Esse
compaiono sempre come
conclusione prossima di un fatto
accaduto: timidissime
generalizzazioni e facilmente
contenute ai primi risultati. Si
direbbe che Saba non sentenzi,
se non quando si trovi
empiricamente davanti ad una
sintesi che si offra, già
compiuta, nel corso delle cose:
come se, poniamo, in un fatto
gli sembri di riconoscere il
succo e il sentore segreto di
molti altri, già occorsigli.
Oltre che si tratta sempre di
una materia semplicissima,
particolare, cotidiana. Se non a
dirittura, non che dare gli echi
vasti dell'infinito morale,
quelle sentenze non si riducono
ad episodi raccontati in maniera
appena un poco più smateriata ed
astratta. Vedete ridente e
preciso nitore di questo detto
che per un verso pare ancora
attaccato al caso che lo suggerì
e, per altro, musicalmente
arieggia a sentenza ed ha,
press'a poco, la musica di tutte
le sentenze che si trovano in
Saba: «ai giovanetti è bello di
primavera dormir la mattina».
Nemmeno poi si potrebbe
collocare Saba tra i poeti che
semplicemente si confessano. Si
dice di quelli che, se non un
superiore equilibrio etico,
abbiano almeno raggiunto
un'intima concordia; al lume
della quale la loro storia
d'uomini si raduni ad esprimere
una coerente e ragguardevole
esperienza. È vero che,
nell'Autobiografia, il Nostro
sembra accostarsi a questa
famiglia di poeti; ma vedremo
tra breve che in lui siffatta
consapevolezza morale si
manifesta solo puntualmente, e
come stato miracoloso e
d'eccezione.
Per Saba far poesia è un
adattare il destino ai gusti di
una sensualità onesta e
contenuta. E quando si parla di
sensualità, qualunque sia poi
per esserne la natura, si taglia
la strada a tutte le riflesse
distinzioni: nel nostro caso, a
quella tra moralità e poesia.
Invero, per cantarsi le sue
musiche, Saba si cerca umbratili
rifugi di tutta intimità, dove
la sua vita par che si acqueti e
si distenda: l'aura, insomma,
dei poeti delle horae subsícivae.
E solo a questo punto egli si
differenzia e stabilisce la sua
originalità. Mentre nei poeti
delle horae subsicivae il
movente è prima Patetico, tutto
legato alle condizioni pratiche
su cui sorge: e giunge, al
limite, a traverso un desiderio
di poesia che si faccia sempre
più schietto, a gustarsi
sensualmente - Saba, tutto
all'opposto, si costituisce i
valori di intimità che sono
propri a quei poeti, ne realizza
la psicologia schiva e
melanconica, a ciò guidato dal
gusto sensuale di stati del
sentimento, la cui trascrizione
produca certe musiche
sensualmente amate. La
sensualità è in lui iniziale e
dominante: l'invito alla poesia
si insinua dapprima per il
diletto di musiche e modi canori
e di certe semplicissime
prospettive e patetiche
stilizzazioni e «lumi poetici».
Ricostruire, organare per sé una
materia musicale orecchiata nei
massimi poeti è, si direbbe, tra
i primi moti di Saba verso la
poesia.
Il «mondo» di Saba si genera per
via di suggerimenti e
maturazioni di una sensualità
siffatta. Si direbbe che la
musica gli influenza ed orienta
il destino. E quanto più la vita
si fa cantabile e colma le
esigenze di quella sensualità,
tanto più la poesia è continua,
trasparente, felice. Entro
questi limiti, si potrebbe anche
pensare che la poesia di Saba
fiorisce sopra una sensualità
che si moralizza. Certo che la
vita interiore di lui tende,
secondo musica, a sistemarsi
come uno scorrer lento, a cui il
moto sia comunicato più da
naturale fatalità che da
dinamico ardore. Una vita che si
lascia vivere, appagandosi di
quanto, senza sforzo, le tocca;
con appena un accorato anelito
di sentirsi in armonia con le
cose e in solidale unanimità con
le creature. Le situazioni
tendono a comporsi in un
equilibrio d'idillio sopra uno
sfondo che tiene dell'elegiaco:
ne risulta un idillismo animato,
non pure dalla grazia di
attitudini soltanto plastiche e
figurative; ma approfondito,
quasi, e fatto penoso da un
umido batter di cigli, da un
improvviso illuminarsi di
sguardi appassionati. Da ultimo,
a proposito della sensualità che
genera questo «mondo», si
potrebbe aggiungere che, come si
è ritrovata sulle musiche dei
grandi lirici dove risuonano le
più gravi e totali esperienze
del sentimento, essa aspira, nei
limiti in cui ha colte quelle
musiche, a ritrovare il suono di
quelle profondità. Nel «mondo»
di Saba mette voce, soprattutto
come musica, anche il murmure
della saggezza.
Toccando dei rapporti di Saba
con la tradizione dei nostri
lirici, vogliamo intendere che
egli ne ha raccolto, non diremo
lo stile, come d'altronde ha già
con espertissima finezza escluso
il Cecchi, bensì l'intonazione
generica degli stati d'anima, il
fremito - a larghe ondate, a
diffusi suoni - della melodia.
Ha risentito le supreme
situazioni patetiche, le
attitudini di fronte alla vita,
le malinconie; donde trae un
composto decoro, e tenerezza
nostalgica per qualche
indefinita e impossibile cosa
vagheggiata, e sperimentate
cautele al riguardo d'ogni
sgargiante offerta che di sé
facciano gli aspetti esteriori.
Le quali cautele, distogliendo
dall'analizzare i particolari
curiosi o pettegoli, solo
concedono di renderli per sommi
cenni.
D'altronde lo stesso Saba ha
indovinato quanto di indistinto
e, ancora una volta, di soltanto
sensuale fosse nel suo modo di
ricevere la tradizione; e ci ha
parlato non d'altro che di
istinti che l'avrebbero tratto
verso quella. Facciamo ancora un
passo a definire tale istinto e,
forse, ad eliminare altri
suppositivi legami di Saba con
la nostra tradizione poetica. Si
parli pure, se piace, senza
indagare quanto contengano di
metafora e di cattiva usanza e
di sommario vezzo ritrattistico,
delle suggestioni di razza.
Saba, ebreo, ha una stanchezza
morale ereditaria e tanto bene
assimilata, che non tenta
neppure più di farsi una
ragione; una facoltà di rinunzia
ad ogni titanismo, che sembra
provenirgli da un'antica
abitudine, di sangue, a trovarsi
dentro un mondo disperatamente
accettato. Pare che in lui
operino esperienze irrevocabili
ed obliate, di cui sia rimasta
sola la forale stanchezza; e un
amaro sugo della vanità del
tutto. La morale, forse, dell'Ecclesiaste,
se vogliamo esagerare e trovarle
a tutti i costi un nome; se non
che Saba ne riceve i soli
effetti, e inconsapevolmente,
con un modo tutto fisico; la
storia se ne è perduta e ne è
rimasta una disposizione innata
per certe tristezze e
sfaccettature del sentimento,
umili e affettuose: e volontà di
non stonare nel mondo che è dato
e che esiste al di fuori di noi,
malgrado noi, e che bisogna,
comunque, riconoscere così
com'è, se si vuol giungere alla
desolata conquista di un povero,
umano equilibrio.
Raccolte, a modo suo, queste
tradizioni poetiche ed umane,
Saba ne subisce chiaramente i
limiti quanto alla sapienza
psicologica ed alle facoltà
introspettive: possiamo dire, di
fatto, ch'egli non conosce altro
che i sentimenti canonici e
supremi. È chiaro che i nostri
grandi lirici, idillici ed
elegiaci, ignorano la notazione
degli infinitesimi sentimentali,
delle vibrazioni impercettibili,
delle tinte d'anima più
instabili. Per questi stati che
hanno a teatro un paese da
limbo, situato non sai bene se
già nella coscienza ovvero alle
soglie antelucane del
subcosciente, siffatta poesia
non ha sentito la necessità di
trovarsi né linguaggio, né
stile, né adeguata musica. Non
suole, essa, fissare altro che
il suono fondamentale e quasi
l'idea eterna delle situazioni
psicologiche, di cui quelle
delicate sfumature son come lo
spettro decomposto. Pare anzi
che in essa poesia il tempo non
conosca, per le misure
sentimentali, se non i grandi
intervalli; ogni moto d'anima vi
è riflesso dentro come uno
specchio tranquillo ed in
estrema amplitudine; quasi con
quel disinteresse mnemonico che
vela, circonfuso di un sorriso
antico, il ricordo dei vecchi. I
tremiti sono tutti fissati in un
gesto statuario o rappresi nel
moto senza concitazione di una
scena d'idillio: l'esperienza
che li accerta non fiorisce
nella sorpresa malizia, ancor
quasi paradossale, dell'aforismo;
ma nella sentenza incisa e
marmorea.