IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

Critica letteraria

SETTECENTO

 

 

 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 CRITICA DELLA LETTERATURA: IL SETTECENTO

IL "DON CARLO" DI SCHILLER E IL "FILIPPO" D'ALFIERI

Sul cadere del secolo scorso due poeti esposero sul teatro a due nazioni la trista istoria del re che potè uccidere un figlio senza dirne ai viventi né ai posteri la cagione. Il « Filippo » di Alfieri fu primamente steso in prosa francese nel 1775, poi due volte in verso italiano nell'anno seguente, poi una terza volta, poi una quarta nel 1781. In settembre del 1782 era pronto alla stampa con tredici altre tragedie; era stampato nel 1783.

Schiller, giovane d'anni ventidue non ancora compiuti, fuggiva nell'autunno del 1781 da Stutgarda e dall'importuno suo mecenate, per vivere due anni in una solinga villa di Franconia dove tracciava le prime idee del suo Don Carlo, e nel 1784 ne pubblicava alcune scene nel primo volume della «Talìa». Nell'estate dell'anno seguente (1785) lo conduceva a compimento, ma dopo averlo del tutto rifatto, e dolente d'aver posto nella «Talìa» quei primi abbozzi. Queste date fanno pensare che la scelta dell'argomento fosse spontanea in ambo i poeti, benché anteriore di parecchi anni in Alfieri, il quale, già pervenuto a virile età, lo ridusse primamente in iscritto nel 1775, quando Schiller era adolescente di quindici anni; e rifatta la sua tragedia cinque volte, la pubblicò quando Schiller tracciava i primi pentimenti della sua.
I sensi medesimi movevano ambo gli scrittori: l'altiera speranza di levare a più generosi pensieri le loro nazioni, e l'odio del potere arbitrario e violento. Ambedue, e per giungere a questo fine, e per assecondare le richieste dell'arte, fecero forza al nudo fatto istorico...

Quando il fatto in complesso sia consono, non tanto all'istoria, quanto all'attuale idea che la nazione si è fatta di dati tempi e luoghi e costumi, il poeta ha compiuto il debito suo. Basta ch'egli diffonda su tutto il suo lavoro una gran verisimiglianza, giusta le opinioni invalse al suo tempo. Una generazione erudita nelle istorie naturalmente non può non esigere dai poeti una fedeltà sempre maggiore; poiché l'ignoranza o l'incuria offenderebbe le menti, e ad ogni passo raffredderebbe col dubbio e colla critica e col disprezzo gli affetti. Ma tutta questa materia istorica non è per l'arte più che una servile sustanza, destinata a ricevere e sostenere una forma; non è più che un corpo destinato a fodero dello spirito e della vita. Ciò che importa è l'efficace trattazione degli affetti e il profondo commovimento delle moltitudini adunate. E se il poeta può darci questo, questo solo, gli siano rimessi tutti i suoi peccati...

Noi vorremmo che messe una volta in disparte le trite e superficiali controversie d'unità, di mole, di forma, d'intreccio, si apprezzasse nella tragedia sopra tutto il valor morale e intimo delle figure poste in azione. E allora siamo certi che lo spassionato osservatore, dopo aver trovato nell'opera di Schiller bellezze d'un ordine altissimo e tratti che spirano il più delicato affetto, si lagnerebbe che riescano dispersi a soverchi intervalli, tra un fogliame di freddi accessori. Riconoscerebbe che la vantata verità del costume locale consiste più nel materiale contorno di dame, e grandi, e paggi inginocchiati, che nell'intimo sentimento di dignità che il popolo spagnolo serbò sempre nel tempo del suo fiore e nel suo decadimento; e quindi loderebbe piuttosto il fondo del quadro, o direm pure la cornice, che le figure e le movenze. Riconoscerebbe che l'illustre istorico, al paro d'Alfieri, anzi più assai d'Alfieri, sprezzò nella tragedia il rigor delle date, e le smosse liberamente e le aggruppò, come le smove e aggruppa naturalmente la oscillante memoria e l'impaziente immaginazione dei popoli; e, com'è ben giusto, le fece serve alle alte ragioni della poesia e dell'effetto. Riconoscerebbe che Schiller, al paro d'Alfieri, si valse dei nomi d'un'altra età, per incarnare le opinioni e i voti del mondo contemporaneo. Infine non negherebbe che se si scrutano con severo sindacato le singole figure, la regina talora scende al ragguaglio di donna vulgare; Don Carlo e Posa non hanno la rigorosa idealità del cavaliere spagnolo; e in Filippo e in Alba manca quella fermezza e durezza d'animo che infatti ebbero; mentre ed Alba stesso e tutta la corte cadono a più abietta corruttela che non sia loro attribuita nemmeno dai loro nemici. Perloché in generale l'opera d'Alfieri, comunque angustiata dallo spazio e dalle rigide osservanze teatrali, sovrasta per precisione di date istoriche, per verità di sentimento nazionale, per concentrazione di luce e di calore, e sopratutto per continua delicatezza e dignità. Lo squisito merito di Schiller risiede sopra tutto in quella spontaneità e sovrabbondanza, con cui si effondono le concezioni d'un ingegno ineguale ma liberissimo, e tutto ridondante di giovanile fecondità.
Ma siccome nessuno ci costringe a prender l'una delle tragedie e ricusar l'altra; siccome nessuno ci vieta di abbracciare con equo e candido giudizio ambo gli illustri poeti: così noi, lasciata ogni cosa a suo luogo, diremo il nostro desiderio che da ogni lato si apportino pure le straniere dovizie a fecondare il nostro terreno
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Carlo Cattaneo

© 2009 - Luigi De Bellis