IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

Critica letteraria

CINQUECENTO

 

 

 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 CRITICA DELLA LETTERATURA: IL CINQUECENTO

Unità del Furioso e la cavalleria

Qual è il filo che unisce tal moltitudine svariatissima di miti, di fatti, di paesi, di tempi, di prodigi, di uomini, di popoli, e d'instituzioni, e la riduce ad armonia, nel divino poeta? Questo principio unificativo è la cavalleria, intendendo per tal nome, non tanto la milizia religiosa, che nacque nel medio evo dal genio germanico e dal genio cattolico-pelasgico insieme confederati, quanto universalmente quel tipo ideale di vivere eroico che si verifica più o meno nei secoli tramezzanti fra una barbarie efferata e una gentilezza che incomincia, e costituenti l'adolescenza dei popoli armigeri; del qual tipo generico gli ordini militanti del medio evo erano una specie. La vita cavalleresca è sommamente bella, sia perché in essa la libertà individuale è sciolta da ogni legge positiva ed estrinseca, e ha il perfetto dominio di sé medesima, e perché l'individuo per coraggio e virtù d'animo, forza di muscoli e maestria d'armi sul comune degli uomini si leva e grandeggia. L'eroe tiene un luogo di mezzo fra l'avatara e il semplice mortale, ed è un uomo divino, il quale si distingue dai due altri, come l'epopea guerriera di Omero e Firdusi si differenzia dall'epopea sacerdotale di Valmichi, di Viasa, e dal romanzo moderno, che è un'epopea dozzinale, popolare, borghigiana, a cui mancano gli spiriti come l'abito della poesia. La cavalleria, per questo rispetto, è l'ideale della feudalità e della conquista, poiché l'aristocrazia patrizia vi è legittimata da un'effettiva maggioranza di natura, e da un'origine divina o altrimenti privilegiata. D'altra parte l'eroe è per un certo riguardo ancor più poetico dell'avatara, perché il personaggio che lo rappresenta è più sciolto, più libero, più padrone di sé medesimo, più indipendente dalla signoria della natura e del Teocosmo; onde l'epica eroica e guerresca della gentilità fiorì solo presso i popoli in cui il panteismo era modificato dal dualismo, e la casta dei preti controbilanciata da quella dei militi; quali erano i Greci nell'età di Omero, e i Parsi ai tempi del più illustre Gaznevide. Vero è che il predominio del monoteismo panteistico innalza l'epopea ieratica ad una idealità maggiore, e ne rende la poesia più filosofica, più vasta e profonda; giacché la profondità, e, direi quasi, la virtù dinamica della poesia deriva dall'elemento ideale e generico, come la beltà e la vivezza delle sue finzioni procedono dall'individualità, in cui l'idea s'incarna e si colora. Il Cristianesimo solo ha saputo stabilire ]'accordo e l'euritmia fra quei due componenti, e riunire nel fantasma estetico l'individuale e il generale con acconcia misura, mediante il principio di creazione, che concilia l'arbitrio e la personalità creata con l'infinito ideale e con la libertà divina. E niuno scrittore umano colse meglio quest'armonia difficile, che il nostro Alighieri; il quale non sai se più valga negli universali o nei particolari, nel ritrarre le idee o nel dipingere gl'individui, o nell'ontologizzare poetando o nel far del psicologo; e parve voler mostrare disgiunto il suo valore in ambo i generi col Paradiso e con l'Inferno, mentre insieme accozzolli nella mezzana delle sue Cantiche. Laonde il suo poema è anche per ciò perfettissimo, che l'epopea sacra vi è congiunta colla civile, mediante la sintesi armonica e signoreggiante della fede cristiana. L'Ariosto è assai meno ortodosso per la ragione che toccherò fra poco, onde in lui l'elemento sensato prevale di gran lunga all'ideale, e il suo poema appartiene alla medesima specie dei Re di Firdusi e dell'Iliade; se non che l'individualità libera dell'uomo vi spicca forse ancor più risentitamente, atteso gl'influssi evangelici da cui era informata la cavalleria dei bassi tempi. In Omero, verbigrazia, gli uomini sono padroneggiati dalle due molle potenti del fato e della lega ellenica, esprimente lo scopo prestabilito in comune, e avente forza di legge estrinseca rispetto a ciascuno individuo. Laddove nel Furioso il fato non è che mi semplice accessorio, come si vede nelle Fate, che rappresentano assai meno la cosa che il nome; ovvero s'incorpora con la valentìa e colle forze personali dell'uomo, secondo si scorge nelle armi fatate dell'Argalia e dei paladini, e nell'epidermide invulnerabile di Orlando e di Ferraguto. Quanto al fine che l'autor si propone, esso nell'Iliade è reale, ed anitra tutto il poema, che riguarda da capo a fondo la presa di Troia; doveché nell'Orlando la liberazione della Cristianità dagl'infedeli è uno scopo solo secondario; e, propriamente parlando, il poema non ha un oggetto a cui tenda, né quindi unità epica, salvo quella che risulta dal concetto cavalleresco. Questo è l'unico nesso di tutto il componimento; perché la smania eroica si stende dal Cataio alla Britannia, e invasa Gradasso, Sacripante e i prodi figli di Troiano, di Ulieno, di Agricane, non altrimenti che Carlo e i suoi paladini; tanto che la cavalleria è, per così dire, il giure comune delle genti che domina in ogni parte di quel mondo poetico. Vero è che la cavalleria degl'infedeli è spesso unita alla slealtà ed alla prepotenza, ed è sempre men pia e generosa, che duella dei guerrieri cristiani; ma questo divario s'attiene manco al genio dei popoli, che a quello degli individui; onde Rodomonte non si può dire più empio od infido del traditor Pinabello e di tutta la rea progenie dei Maganzesi. La legge di onore e di religione imposta ai campioni di Carlo non offende il lor volere spontaneo, perché libera ed interna: per tutti gli altri rispetti, essi sono sciolti da ogni freno; vanno e vengono a loro talento, da un capo del mondo all'altro, per amore o per conquistare un anello, un'arma, un cavallo: combattono quando e come vogliono: ti piantano il loro capo, se occorre, nel buono della battaglia, e se ne vanno alle loro faccende, senza che questi trovi nulla a ridire nel loro procedere. Questa vita spensierata, errabonda e cosmopolitica, questa sete insaziabile di combattimenti e di avventure, è l'essenza della cavalleria ariostana ed esclude ogni scopo determinato; il che porge alla tempra individuale degli uomini il modo di mostrarsi liberamente, e crea quel tipo poetichissimo del guerriero eslege e indipendente che nei personaggi di Marfisa e di Mandricardo mi par condotto al più alto grado di perfezione. Certo, gli eroi di Omero, benché abbiano eziandio la loro dose di libertà e di capricci, sono assai meno sciolti e più ragionevoli; perché la ragionevolezza consiste appunto nell'indirizzare tutte le azioni ad un fine importante e degno degli sforzi che si fanno per ottenerlo. Tal è la presa di Troia e il ritorno alla patria, che sono la causa finale dell'Iliade e dell'Odissea, e la mira a cui intendono tutti i loro personaggi; laddove il negozio che sta meno a cuore dei paladini e dei guerrieri di Agramante, è la liberazione e la conquista della Francia. Il broncio di Achille, causato da una grave ingiuria, non ripugna meglio alla teologia dell'Iliade, che non si opporrebbe a quella del Furioso la pazzia di Orlando, cagionata da un acerbo affanno di cuore, se da questo accidente pendesse l'epitasi del poema italiano, come dall'ira del Pelide nasce il nodo del poema greco. Ma il signor d'Anglante, quando è savio, riesce poco men disutile a Carlo, che quando è matto: i Mori, sono cacciati di Francia senza il suo aiuto, e disfatti nell'Affrica piuttosto colle fronde e coi sassi di Astolfo, che colla spada del Paladino; il quale, per fare alfin qualche cosa, piglia Biserta, e uccide i due guerrieri già vinti e profughi, ma lascia al pugnal di Ruggero il capo di Rodomonte. Parve al Ginguené che il vero protagonista sia esso Ruggero, e che il fine del poema siano gli sponsali da cui dee uscire la casa d'Este. Questo sembra veramente, se posso così esprimermi, l'intento esoterico del gran poeta; il quale, bello e mirabile anche ne' suoi difetti, non riesce mai noioso, se non per avventura nelle lunghe intramesse che fa ad onore di quella trista famiglia, e in ispecie d'Ippolito mecenate. Tanto è vero che l'adulazione medesima vendica la verità, sua nemica, pregiudicando ai più grandi ingegni nell'atto stesso che l'offendono! Ma se si discorre di un vero scopo istorico, l'Orlando, lo ripeto, non ne ha alcuno; e questa mancanza di teleologia, non che nuocere esteticamente al poema, contrassegna il suo pregio speciale, e merita un attenta considerazione, chi voglia penetrare appieno i meriti dell'Ariosto, e l'indole della nuova poesia, creata dal suo ingegno, e inspiratrice dell'opera più stupenda che si trovi nello stesso genere dopo il Furioso.

Vincenzo Gioberti

© 2009 - Luigi De Bellis