L'AZIONE
CULTURALE DEL GALILEI
In Galileo
è presente una sincera ortodossia cattolica, nell'ambito
della quale egli intende svolgere la sua azione per
affermare e diffondere la nuova scienza, servendosi appunto
delle istituzioni e dei poteri più saldi che il mondo
contemporaneo gli offre. È questo l'aspetto pratico della
passione per la scienza che anima Galileo e che lo conduce a
cercare una soluzione al problema tra scienza e fede.
In genere gli studiosi di Galileo e dei suoi processi si
soffermano ad esaminare le ragioni politiche, teologiche,
filosofiche che possono spiegarci il comportamento
dell'autorità vaticana nei confronti del valoroso
scienziato; sogliono invece passare in second'ordine le
ragioni che spinsero Galileo ad agire come agì, limitandosi
a segnalarne l'imprudenza o perfino la leggerezza. Qualcuno,
per verità, si è anche preoccupato di cercare una
giustificazione al comportamento di Galileo ed ha creduto di
trovarla nell'ipotetico anticlericalismo, che avrebbe
orientato tutte le sue azioni; ma è una giustificazione
inaccettabile, sia perché puramente verbale (occorrerebbe
infatti spiegare le ragioni di tale anticlericalismo) sia
perché non corrispondente alla realtà storica.
Diversamente da Bruno, Galileo non si pose mai il problema
di un rinnovamento del patrimonio filosofico-teologico della
Chiesa. Essendo nato in un paese cattolico, egli era
cattolico praticante; ma il problema religioso non
costituiva per lui il benché minimo assillo: egli non
provava cioè alcun interesse né per le prove dell'esistenza
di Dio né per le controversie tra una confessione cristiana
e l'altra. Ciò che, invece, lo interessava al massimo grado,
suscitando la sua più viva e sincera ammirazione, era la
potenza organizzativa della Chiesa cattolica; - non bisogna
infatti dimenticare che da alcuni anni il Cattolicesimo si
stava rapidamente rinvigorendo e aveva già riguadagnato
parecchio terreno nei confronti delle Chiese riformate.
Abbiamo già accennato, parlando dei «pianeti medicei», che
Galileo si propose - imponendo loro questo nome - di legare
in qualche modo la sorte del loro riconoscimento alle
fortune della potente famiglia dei granduchi di Toscana;
possiamo ora aggiungere che tale suo atto si inseriva in un
piano generale: quello di ottenere alla nuova scienza il
favore e l'appoggio di tutti i potenti della terra, dai
principi alla Chiesa. Gli è che Galileo considerava la
scienza, non come un'attività privata di singoli studiosi,
ma come un fatto di interesse pubblico, destinato a permeare
di sé l'intera società; proprio perciò essa avrebbe avuto
bisogno, per attuare il suo pieno sviluppo, di venire
sostenuta e aiutata da tutti i principali detentori delle
leve di comando della società.
Di qui il particolarissimo interesse del Nostro per la
Chiesa cattolica; interesse tanto più vivo e sincero quanto
più evidente era la potenza organizzativa di tale grandioso
istituto, quanto più diffusa era la sua influenza
soprattutto nella sfera della cultura. Di qui la convinzione
radicatasi nel suo animo; che occorreva tentare ogni mezzo
per convertire la Chiesa alla causa della scienza, per
impedire che sorgesse fra esse una frattura che avrebbe
pericolosamente ritardato lo sviluppo della ricerca
scientifica.
Ecco perché il problema dei rapporti fra copernicanesimo e
dogma cattolico assunse agli occhi di Galileo un'importanza
di primissimo piano, il copernicanesimo era per lui il punto
cruciale della svolta tra la vecchia e la nuova scienza; il
dogma costituiva, d'altronde, il perno centrale di tutta
l'organizzazione culturale cattolica. Non rimaneva dunque
altra scelta possibile: o trovare un accordo tra teoria
copernicana e dogma cattolico, o rinunciare all'appoggio
della Chiesa alla nuova scienza con enorme danno del
progresso scientifico.
Stando cosí le cose, ecco sorgere la domanda: chi dovrà
assumersi il compito di perorare e ottenere un accordo tanto
difficile e tanto importante? Galileo non ha dubbi in
proposito: ritiene di essere la persona più qualificata a
questo scopo, sia per la fama mondiale recentemente
raggiunta con il Sidereus nuncius, sia per la protezione
assicuratagli dalla potente e cattolicissima famiglia
medicea, sia per le molte amicizie personali da lui stesso
annoverate tra le massime gerarchie della Chiesa. Si accinge
quindi al compito cui si sente destinato, con tutto
l'entusiasmo del quale è capace; si appassiona in modo tale
all'ardito progetto che, per dedicargli ogni propria
energia, finisce col sacrificare ad esso ogni altra attività
(la stessa ricerca in stretto senso scientifica). Dal 1611
in poi, per circa due decenni, la scienza pura non
costituirà più per lui il primo e principale interesse;
questo convergerà invece su di un ambizioso progetto che
potremmo chiamare (in termini moderni) di «politica della
cultura»: il progetto di conquistare alla nuova scienza,
cioè al copernícanesimo, l'appoggio della Chiesa cattolica.
Non si tratta - sia detto ben chiaramente - di trovare un
compromesso fra copernicanesimo e dogma (vedremo che Galileo
guarderà col più vivo disdegno ogni tentativo del genere, e
proprio per questo si sentirà in dovere di combattere con
intransigente asprezza il sistema di Tycho Brahe, intermedio
tra il vecchio e il nuovo); né tanto meno si tratta di
tentare una correzione del dogma, il che porterebbe la nuova
scienza fuori dell'ortodossia e perciò le farebbe perdere
automaticamente l'appoggio della Chiesa cattolica. Neanche
si tratta di ammettere l'artificiosa teoria averroistica
della doppia verità, poiché essa o costituisce una pura e
semplice maschera per negare la verità del dogma o
costituisce una palese violazione dei principi fondamentali
della logica.
La via d'uscita da tutte queste difficoltà viene indicata,
dal Nostro, nel riconoscimento dell'esistenza di due
linguaggi tra loro radicalmente diversi: quello ordinario,
con tutte le sue imprecisioni e incoerenze, e quello
scientifico, rigoroso ed esattissimo. L'infinita sapienza di
Dio, pur conoscendoli perfettamente entrambi, sapeva molto
bene - quando dettò le Sacre Scritture - che, per farsi
comprendere dall'uditorio cui si- rivolgeva, avrebbe dovuto
usare il linguaggio ordinario che è l'unico inteso dall'uomo
comune. Perciò essa suggerì di scrivere che il Sole gira
intorno alla Terra. Nella scienza, invece, noi abbiamo il
dovere di far uso del secondo tipo di linguaggio - quello
rigoroso ed esattissimo - che è caratteristico del discorso
scientifico; e quindi non possiamo più accogliere come
valida l'anzidetta affermazione, malgrado che sia contenuta
nella Bibbia.
In conclusione: la verità è una, ma i linguaggi per
esprimerla sono due. Rinunciare, nell'ambito dell'indagine
scientifica, al linguaggio usato da Dio nella Bibbia, non
significa rinunciare alla Bibbia, o volerla correggere o
porre comunque in dubbio la sua autorità. Significa
semplicemente passare da un tipo di discorso all'altro, esso
pure, del resto - e l'osservazione è importantissima - usato
da Dio, non quando voleva rivolgersi agli uomini, ma quando
scriveva il libro della natura.
Qui però si fa avanti una grandissima difficoltà, di cui
Galileo non sembra essersi reso perfettamente conto: chi può
escludere che, se non i sensi, per lo meno il discorso e
l'intelletto di cui siamo indubbiamente dotati, risultino
prima o poi in grado di farci trattare con rigore
scientifico anche le verità concernenti le discipline
morali? È vero che il Nostro affermò ripetute volte e con
estrema chiarezza, di esigere la totale autonomia del sapere
scientifico rispetto alla Bibbia solo nell'ambito delle «
dispute di problemi naturali»; ma qual garanzia poteva egli
offrire alla Chiesa che altri - seguendo la via da lui
stesso aperta - non avrebbe richiesto un'analoga libertà
anche per le dispute di problemi morali o religiosi? Qual
garanzia poteva, insomma, offrire che il metodo
dell'indagine scientifica, una volta rivelatosi vittorioso
nelle discipline del secondo tipo, non avrebbe cercato di
estendersi anche alle discipline del primo? Non si può
negare che i teologi avessero perfettamente ragione, dal
loro punto di vista, di prevedere (e temere) il verificarsi
- non importa se più o meno prossimo - di una situazione
siffatta, per loro tanto pericolosa.
La realtà è che Galileo, come ben s'accorsero i suoi
avversari, mentre da uri lato sembrava riconoscere pari
diritto ai due predetti linguaggi - quello comune, usato
dagli uomini nella vita quotidiana e dallo Spirito Santo
nella Bibbia, e quello scientifico usato nelle ricerche
rigorose - dall'altro lato non nutriva però dubbio alcuno
sulla incontestabile superiorità del secondo linguaggio
rispetto al primo. Il sottofondo del suo pensiero era, in
altri termini, questo: allorché una questione sia stata
sviscerata a fondo, mediante un discorso scientifico, perde
ogni senso voler confutare i risultati cosí raggiunti
invocando le proposizioni del linguaggio comune (sia quelle
pronunciate dagli uomini nella vita quotidiana sia quelle
dettate dallo Spirito Santo nella Bibbia); di fronte alle
verità dimostrate dalla scienza, il linguaggio comune non ha
più assolutamente nulla da opporre. Basti un esempio: si
elevarono, in passato alcune obiezioni contro i pianeti
medicei sulla base della Sacra Scrittura, «ora che i pianeti
si fanno vedere da tutto il mondo, sentirei volentieri con
quali nuove interpretazioni vien da quei medesimi oppositori
esposta la Scrittura».
Il discorso scientifico possiede dunque - secondo la
concezione di Galileo - un valore di per sé incontestabile,
e non ha quindi bisogno di appoggiarsi su alcuna autorità ad
esso estranea; il discorso comune, invece, ha un valore
limitato e quando - su un qualsiasi problema - le sue
proposizioni risultino discordanti da quelle scientifiche,
non rimane che una via d'uscita: basarsi su queste ultime
per interpretare le prime. Ciò vale per i pianeti medicei; e
vale allo stesso modo anche per il copernicanesimo. I
teologi di mentalità troppo ristretta, i quali vogliono
fondarsi sul discorso biblico per porre dei limiti alla
scienza, non fanno che gettare il discredito sulla Bibbia
stessa. |