Anche il massimo e miglior
Carducci, quello delle Odi
Barbare, e precisamente delle
prime; dove egli ha raggiunta la
suprema vetta della sua arte,
proprio perché, spogliandosi
della preoccupazione di parlare
alla terza Italia un linguaggio
d'attualità col quale il suo
ideale d'arte nobile era
riuscito ad acconciarsi fino a
un certo punto, interpreta
finalmente se stesso qual'è: un
poeta che gli orrori o le
miserie del presente non sente
fino al punto da arrivare ai
divini furori degli Chatiments,
mentre riesce a obliarsi e
bearsi completamente nella
visione del passato; contento di
giustificare codesto suo oblio e
codesta sua beatitudine coll'illusione
- imposta agli altri i quali...
la cercavano - ch'egli sia
l'erede di quel mondo scomparso
e rimpianto!
Che differenza tra l'Avanti!
Avanti! che sta quasi a seconda
vedetta dei Giambi ed Epodi e le
Fonti del Clitumno, la più
solennemente ispirata e la più
ampiamente disegnata delle Odi
Barbare!
Là un polimetro: qui la saffica,
un breve metro, cioè, di tre
endecasillabi, chiuso, volta per
volta, quasi con un vibrato giro
di chiave, dal conciso adonio.
Là, come spunto, un «Avanti!
Avanti!» che ha la furia d'una
carica incontro all'avvenire, e
si ripete nell'identica
posizione dopo l'intermezzo
elegiaco, ch'è, naturalmente, il
meglio:
|
Ahi, dai prim'anni, o
gloria,... |
|
Qui un «Ancor» iniziale, che
appar d'un tratto colla
solennità d'un sacerdote in
testa alla processione delle
memorie, che dal presente si
stende giù giù fino al remoto
orizzonte dei tempi preistorici;
e a riassumer l'antitesi tra il
presente e l'antico, due volte,
a una certa distanza, occorre,
intonato a discrezione e spoglio
d'ogni aggressività, un «tutto
ora tace».
Là, singolari figurazioni ed
azioni: il «sauro destrier»,
ch'è anche « indomito destrier»
e il «sacro destrier degl'inni»,
l'«alivolo corridore», il
«nobile corsiero», e perfino -
banalità che oscilla tra la
colonna della Regia Parnassi e
lo stemma da locanda di una
piccola città di provincia -
l'«apollinea fiera dall'alato
dorso», il cui brio un po'
troppo nominale è anche voluto
rilevare dall'antitesi colla
romantica «alfana»,
strascinantesi lungo l'orlo
della via e sgraziatamente
infronzolata di gualdrappe e
cingoli... Un po' Pegaso un po'
Ippogrifo, un po' anche cavallo
postale, rompe i venti, e
percote selci che dan lampi, e
salta torrenti, e corre ai
torridi soli, ai cieli stellati,
a note plaghe e incognite, ma
anche leva gran polvere, che non
può essere se non della strada
maestra. Alla ripresa - esaurito
cioè l'intermezzo elegiaco, pur
qua e là turbato di note
giambiche - che altro fargli
fare? Afferrarlo pel freno e
sforzarlo alla rievocazione
delle antiche memorie:
|
Ricordi tu le vedove
piagge del mar
toscano...? |
|
Qui, invece, nell'ode alle Fonti
del Clitumno, noi siamo illico
et immediate davanti a una
visione semplice, concreta e
precisa: il poeta, senza alcun
alivolo corsiero a .fianco o tra
le gambe, contempla un fanciullo
che immerge nell'onda una pecora
riluttante, la madre che siede,
a guardarlo, col poppante in
seno, davanti al casolare; il
padre, vestito di caprine pelli,
alle prese coi robusti giovenchi
aggiogati al carro dipinto.
Qui siamo in pieno idillio, in
piena pastorale. Ma c'è
buccolica e buccolica; poeta e
poeta; poeta antico e poeta
moderno; poeta classico e poeta
romantico. Ogni storia ha una
preistoria; ogni presente ha un
passato; ogni luogo ha le sue
memorie. Male frescure di Tivoli
beavano e acquetavano a pieno
Orazio, e gli consigliavano quel
rispetto del presente nel quale
non era solo epicureismo, ma
anche rispetto per gli Dei, soli
arbitri del futuro...
Ma il Carducci delle prime odi
barbare diffida della foga
dell'ispirazione; e il romantico
trapasso dal senso pieno e
giocondo della bellezza presente
alla rievocazione dei grandi
eventi trascorsi è legittimato
col salice che d'un tratto
colpisce l'occhio del poeta:
|
Chi l'ombre indusse del
piangente salcio
Su' rivi sacri |
|
del salice, pianta moderna,
sentimentale, cristiana? Elci e
cipressi voglion essere, come ai
tempi antichi, nei quali ecc.
ecc...
Ed esaurita la parte delle
rievocazioni storiche, ecco un «
tutto ora tace », che non può
non ricordare il
|
Far other scene is
Trasimene now |
|
del Byron, in mezzo allo stesso
paesaggio e nell'identica
situazione di spirito; e ch'è
come un colpo secco di suggello,
dopo il quale s'inizia, con
evidente ossequenza alla
disciplina dell'arte classica,
l'evocazione delle leggiadre
figure mitiche: ninfe, najadi, e
oreadi danzanti a sera sotto
l'imminente luna, evocazione che
si chiude anch'essa con un «
tutto ora tace », in posizione
di perfetto pendant rispetto
all'altro:
|
Tutto ora tace, o vedovo
Clitumno.
Tutto... |
|
E forse sarebbe stato bene che
qui l'ode fosse finita.
Quel che segue, l'ascensione del
rosso Galileo in Campidoglio, la
caccia degl'iconoclasti e dei
flagellanti alle ninfe - che si
ritiran tra i monti (dove, tra
parentesi, avrebbero incontrato
gli eremiti!) e in fondo ai
fiumi; le imprecazioni atroci
dei primi cristiani all'amore e
a tutte le gioie della vita, e
alla vita stessa; tutto codesto,
vero o no che sia storicamente,
sa di ritorno al genere
imprecativo dei Giambi ed Epodi,
di ritorno voluto per far della
poesia di tendenza; sa, dunque,
di rettorica o di letteratura
che dir si voglia.
Un poeta del secolo decimonono
declinante non riesce a parlare
di codeste cose, con quello
stupore e odio ugualmente
sinceri, coi quali Rutilio
Namaziano, veleggiando in vista
della Capraja e della Gorgona,
parlava dei monaci colà
appartatisi. E io sento qui il
freddo che sento nelle poesie di
Leconte de Lisle, così
sistematicamente infastidito di
quanto sappia di cristiano.
Chi abbia fugato le ninfe e le
altre gentili deità del mondo
pagano non lo dice così
precisamente il Leopardi nella
sua romanticissima canzone Alla
Primavera o Delle Favole
Antiche. Ivi è semplicemente
detto che
|
...la sciagura e l'atra
Face del ver consunse
Innanzi tempo... |
|
la bella età, la quale,
s'intende, anche Leopardi
descrive, e come! nelle sue
gioconde fantasie mitiche.
|
Visser le ninfe,
vissero... |
|
esse che
|
...danze sotto
l'imminente luna
guidavan... |
|
ecco, nella poesia carducciana,
spunti e reminiscenze
leopardiane. Ma un paragone a
colpo d'occhio tra le due poesie
basta a precisar la differenza
tra un poeta grande - il
Carducci - e uno divino - il
Leopardi. Tutta la seconda
stanza della canzone leopardiana
|
Vivi, tu, vivi, o santa
natura? vivi, e il
dissueto orecchio
della materna voce il
suono accoglie
Già di candide Ninfe i
rivi albergo... |
|
tutta questa seconda stanza è
una miracolosa selezione di
motivi del mondo
mitico-pastorale riveduto con
quella concretezza con cui li
riproduceva il Bócklin. Non una
parola di più, non una di meno.
È una di quelle stanze che non
pajon fatte, ma ritrovate, come
un diamante, sotto terra,
dall'artista.
Mentre, d'altra parte, non credo
che il Leopardi avrebbe scritto
la stanza
|
Egli (Giano) dal cielo,
autoctona virago
ella (Camesena) : fu
letto l'Appennin
fumante:
velaro i nembi il grande
amplesso e nacque
l'itala gente, |
|
nella quale, per quanto ci sia
il precedente degli amplessi di
Giove e Giunone sul monte Ida,
di visto e di visibile non c'è
nulla.
In ogni modo, l'ode Alle fonti
del Clitumno è, come le canzoni
leopardiane, di fattura
eminentemente classica.
L'ispirazione vi fa i suoi conti
coll'ordine logico,
l'espressione vi è sempre
perspicua e pur generale e
sempre uniformemente intonata.
Gli amori di Giano e Camesena
che dettero occasione a quella
stanza or ora riportata, ecco,
al più, qualcosa che sa di
peregrinità scolastica.
Tanto diversa, in tutto e per
tutto codesto dall'Avanti !
Avanti!, così fiero del suo
disordine romantico, del suo
polimetrismo; così turgido di
onomastica peregrina, di lessico
tecnico; così irto di
disuguaglianze che son vere
sporgenze, così privo d'ogni
principio di disegno e
nell'insieme e in qualche sua
stanza (E tu pascevi ecc.)!
E tutte queste prime Odi barbare
- le rimanenti, anzi, della
serie, anche per la tenuità
della mole - rispondono al tipo
esatto di quella che si dice
arte classica.
La lingua poetica, schifiltosa,
distinta, schiva d'ogni valore
realistico, v'è come livellata a
fil della sinopia.