Il
principio di imitazione nel pensiero del Bembo
L'atteggiamento mentale di fronte ai modelli e il
giudizio che di essi si fa, è nel Bembo palesemente
intellettuale: come a dire, di sapore manieristico (e si
veda come l'affermazione di Virgilio «seconda Natura»,
anzi una Natura migliore perché purificata, torni poi
nel sistema dello Scaligero). Del resto, sovrapposta ai
modelli stessi la regola imitativa, il significato
artistico di costoro dipende dal fatto che essi furono
capaci di riassorbire le conquiste dell'istituto
linguistico e stilistico antecedente, astrattamente
considerato. Insomma, anche gli ottimi non sono che un
insieme di valori che li trascendono. E se è vero che il
Bembo dell'epistola non ci dà una qualsiasi ragione o
descrizione del rapporto che s'instaura tra sentimento e
gusto personale dell'artista intento ad affinare il suo
lavoro, né i paradigmi ideali a cui dovrebbe ispirarsi;
possiamo affermare, anche in base alle correzioni fatte
alle costruzioni e forme boccaccesche e petrarchesche
delle Prose della volgar lingua, che la superiore
categoria mentale a cui, secondo il Bembo, l'artista
avrebbe dovuto rifarsi, consisteva non altro che in una
esasperazione del decoro espressivo, in base a un
virtuosissimo formalismo che è diverso dal primo impulso
edonistico del veneziano: sì che la soluzione finale è
sicuramente di timbro manieristico.
Intorno al rapporto tra modelli e possibilità di
superarli mediante la «emulazione» insita nell'
«imitazione», può bene informarci anche il modo di
concepire un'evoluzione della lingua, nel dire che è «da
scriver ben più che si può, per ciò che le buone
scritture, prima a' dotti e al popolo del loro secolo
piacendo, piacciono altresì e a' dotti e al popolo degli
altri secoli parimente»; e in tal modo è previsto l'uso,
sia di una lingua modernamente rinfrescata - «Sono in
questa città molti... i quali, orando come si fa dinanzi
alle corone de' giudici, o altramente agli orecchi della
moltitudine consigliando come che sia, truovano e usano
molte voci nuove e per adietro dal popolo non udite, o
ne dicono molte usate, ma tuttavia le pongono con nuovo
sentimento, o ancora da altre lingue ne pigliano, per
fare il loro parlare più riguardevole e più vago, le
quali sono tuttavia dal popolo intese...» - sia della
lingua del passato - «Ma quante volte avviene che la
maniera della lingua delle passate stagioni è migliore
che quella della presente non è, tante volte si dee per
noi con lo stile delle passate stagioni scrivere,
Giuliano, e non con quello del nostro tempo» -; e in
sostanza, anche se la posizione del Bembo non è
esclusiva come quella dei puristi ottocenteschi, prevede
una sottospecie di purismo determinato da un'ideologia
estetica (e non, come gli ottocentisti, da un motivo del
gusto).
Lingua vecchia o rinnovata poco importa, purché sia la
lingua migliore (e difatti, scopo degli scrittori è di
badare a non «piacere alle genti solamente, che sono in
vita quando essi scrivono... ma a quelle ancora, e per
avventura molto più, che sono a vivere dopo loro») ; e
così, modelli del passato o nuove opere animate
dall'emulazione poco interessa, purché anche in
quest'ultime si attuino dei valori capaci di costituirsi
a loro volta a modelli. È una tesi di esemplarità
ideologica che domina il sistema bembiano; e se essa non
si cristallizza in una enumerazione chiusa di archetipi,
si ferma in un'astrazione indeclinabile: l'imitazione
dell'optimum......
L'estetica bembiana (a dirla così) nasce dimezzata in
retorica; e il concetto moderno che concentra nella
forma i valori dell'opera d'arte sorge qui da un terreno
sdrammatizzato, dove la forma non è affatto la sintesi
di un processo di ricerca, ma semplicemente l'unico
terreno d'azione dell'arte. Nel Bembo, la forma è un
mezzo suasorio (così, la poesia è Retorica); anzi, è il
mezzo tipico di quella suasione poetica «che fa la
verità della scrittura» (Sansone). Ed ha al suo
servizio, perfettamente aderenti alla sua linea, lingua
e stile.
Il concetto di lingua opera, come si sa, al centro
dell'opera maggiore e più significativa del Bembo.
La prima constatazione che dobbiamo fare a vantaggio di
esso è che la mentalità dello scrittore si rivela
alquanto più concreta che in altri (e si pensi al
concetto della lingua dello stesso G. F. Pico), tanto
più che la lingua è vista in una prospettiva di
esperienze imitative che ha quasi un effetto di sequenza
«storica» (si pensi alle giuste considerazioni sulla
successione del volgare al latino).
Ma come di fronte al libro non possiamo non avvertire il
limite di un intellettualismo finemente rarefatto, di
una volontà di comunicativa rispondente a un principio
alquanto tenue di cultura e, in fondo, il tono e
l'accento di un agiato gusto edonistico che ci fa
pensare, più che a libere ambientazioni, a certi
«interni» della pittura aulica del tempo (e si pensi
all'ordinato succedersi dei «tempi» del «racconto»
linguistico, e al troppo logico elevarsi dei «gesti» dei
personaggi a concetti, il che non toglie il
riconoscimento della sveltezza e del nitore del
discorso): così, nel giudizio sull'evoluzione della
lingua s'avverte l'attenzione alla serie dei modelli.
Sentimento della storia, come sentimento dell'ambiente
sono al di là delle mète previste dal Bembo, anche se
qualcosa ne circola nelle sue pagine.
Nel parlare del presunto trapasso dal greco al latino,
il letterato mostra di apprezzarlo per quanto la nuova
lingua fu capace di aggiungere in « dignità e grandezza
»; ed anche in altre successioni e derivazioni - come il
depurarsi dell'italiano dei peggiori modi popolareschi
per attendere a quelli letterari, e magari per tornare
alla « maniera della lingua » di « passate stagioni » -
l'elemento motore è sempre il senso di grandezza,
bellezza e decoro del linguaggio: sì che il tratto
storico non fa che risolversi in quello estetico e
formale.
È vero che il Bembo evita un volgare illustre e biasima
chi vi ha ricorso, come il Calmeta; ma quel che
evidentemente gli preme non è di fondare una bella
lingua, bensì di vedere come possa attuarsi un ideale di
bellezza nei confini della lingua esistente. La sua
astrattezza non inerisce al problema ipotetico
dell'invenzione di una lingua (come il mediocre ed
espressamente antistorico Calmeta), ma al modo con cui
la bellezza viene a realizzarsi in una lingua esistente
e viva. Non ha torto il Sansone di notare che la
dottrina bembiana è ben diversa da ogni formula di
chiuso trecentismo e fiorentinismo, e ch'egli mira a una
concezione del bello avverantesi di volta in volta negli
scrittori; pure, ciò, se dà un aspetto di concretezza al
sistema, non elide l'astrattezza per quel che concerne
il modo di verificarsi dell'ideale del bello. In tal
senso la concezione è puntualmente rigida, chiusa contro
i suoi limiti: si tratta di osservare come, soprattutto
i non toscani, « da' buoni libri la lingua apprendendo,
l'apprendono vaga e gentile »; di relegare a termini di
sciatteria e sguaiataggine il parlare popolaresco, di
contra al «vago e gentile stato» derivante dai libri: di
introdurre un concetto di lingua «d'uso» dotta in
confronto alla lingua letteraria per salvare l'attualità
del linguaggio; di scegliere (come si è visto) la
«maniera» del passato quando è migliore dell'attuale, e
finalmente, di illustrare la « proprietà » del comporre
con la famosa scelta delle «voci». E qui l'iniziale
difesa di una lingua letteraria in confronto alla lingua
d'uso si fa subito espressamente difesa della lingua di
un'ideologia letteraria, retta da un principio di
retorica; pur essendo vero che in questa retorica si
dispiega una sensibilità estetica e una capacità di dar
voce a certe lievi inflessioni d'accento dilatate
all'infinito che anche oggi non cessano di colpire il
lettore.
Non è, dunque, che la mentalità del Bembo sia
improduttiva o negativa. Si deve dire piuttosto che è
una forma mentis tipicamente limitata. Entro il suo
sistema, egli si muove con un'intelligenza e una
penetrazione eccezionali. La sua è una caratteristica
attitudine analitica, l'attitudine del critico che opera
su un quid datum, e ne svolge le possibilità recondite.
Ma dire ciò è ben diverso dal riconoscere in lui quella
libera immaginativa, quel senso di libertà morale e
spirituale, quella ardita facoltà di giudizio, e infine
quella capacità di trarre a luce spunti e principi
innovatori - come il senso storico, che indubbiamente
ebbe luogo in seno al tardo umanesimo, o una più libera
nozione estetica che altri più libero e vigoroso, come
il Poliziano, era capace di presentire. Nel Bembo si ha
continuo il senso di un intervento di schemi, che opera
direttamente sul nucleo concettuale; e che mentre gli
inibisce l'intelligenza poetica di Dante, con l'assurdo
rifiuto della stupenda similitudine degli scabbiosi, gli
fa porre, poi, anche l'intelligenza del Petrarca sul
piano di un'abile convenienza retorica della scelta
delle voci e locuzioni: che sarà la causa prima del
fatale spostarsi dell'asse del giudizio petrarchesco al
grado di una analisi formale. |