Carattere
in Dante
Nei tempi civili impariamo a studiare i gesti e le parole, a
conservar sempre nell'aspetto un'aria di benevolenza; sì che
l'uomo, che chiamavasi educato, ti fa men difficilmente
un'azione ignobile che una scortesia. Dante è più presso
alla natura e si manifesta schiettamente.
È un personaggio essenzialmente poetico. Il suo tratto
dominante è la forza che prorompe liberamente e con impeto.
La sventura, non che invilirlo, lo fortifica e lo alza ancor
più su. Costretto a mangiar il pane altrui, ad accattar
protezioni, a soggiacere ai motteggi del servidorame,
nessuno si è più di lui sentito superiore a' suoi
contemporanei, nessuno si è da sé posto si alto al di sopra
di loro. La famosa lettera, nella quale ricusa di ritornare
in patria a scapito del suo onore, non solo rivela un animo
non inchino mai a viltà, ma in ogni riga quasi ci trovi
l'impronta di questo nobile orgoglio.
Non è questa la via del mio ritorno in patria; ... ma se
un'altra se ne trovi, che non sia contro la fama, contro
l'onore di Dante, quella ben volentieri accetterò. Che se
per nessuna via di tal fatta si entra in Firenze, in Firenze
non entrerò io mai.
Non solo ci è qui il linguaggio della magnanimità, ma
dell'orgoglio; ci è la coscienza della propria grandezza; ci
è: - Io, Dante Alighieri -.
Dall'alto del suo piedistallo gira con disdegno lo sguardo
su tutto ciò che è plebe e plebeo; perdona più facilmente un
delitto che una viltà. Le nature serie e ideali si conoscono
assai meglio per i loro contrarci; il contrario di Dante è
il plebeo. Diresti quasi che si sentiva di una razza
superiore, per nobiltà non pure di sangue e d'ingegno, ma
ancora d'animo. Né rimane già in quest'attitudine di dignità
passiva; non è una natura freddamente stoica; il foco
interiore divampa vivamente al di fuori. Ha la virtù
dell'indignazione, ha l'eloquenza dell'ira. Tutte le potenze
dell'anima erompono con l'impeto della passione. E quando
nel suo stato di miseria lo vediamo rilevarsi di tutta la
persona su' potenti che lo calcano e far loro ferite
immortali, è sì bello di collera, che comprendiamo
l'entusiasmo di Virgilio. Non ch'egli non abbia i suoi
momenti di sconforto e di abbandono; ma al sentimento
squisito del dolore succede subito l'energia della
resistenza. Fu così sventurato, eppure non ci è una sua
pagina, nella quale domini quel sentimento di prostrazione
morale, quel non so che fosco e fiacco, così frequente ne'
moderni. Diresti che il dolore non ha tempo di uscir fuori
senza trasformarsi in collera: tanto subita è la reazione
della sua forte natura. Or, questo supremo disprezzo per
tutto ciò che è ignobile, questo farsi egli stesso il suo
piedistallo e incoronarsi con le proprie mani, questo
interno dolore superbamente contenuto, sì che, mentre il
cuore sanguina, il volto minaccia, Imprime sulla sua figura
severa una grandezza morale, qualche cosa di colossale, che
ci ricorda il suo Farinata. |