Il "Paradiso" come epica della Grazia
Contrapponendosi alle rappresentazioni restrittive della
poesia del Paradiso, il Getto avanza l'ipotesi
interpretativa della cantica come pervasa dal sentimento
della Grazia, che viene celebrata sia nella creatura sia
nella fonte divina che la irradia. L'intuizione critica
rivela la sua validità nell'analisi della tradizione mistica
e teologica che Dante dovette avere presente e i cui vivi
segni si avvertono nel Paradiso.
Se si volesse racchiudere in una formula provvisoria,
didascalicamente orientativa, il contenuto poetico del
Paradiso, si dovrebbe parlare di epos della vita interiore,
di poesia della vita della grazia, di poesia dell'esperienza
mistica, di lirica dell'adorazione. Un enunciato
suscettibile di controllo e di ulteriore approfondimento, ma
che subito si può formulare con la precisa convinzione di
non dire nulla di astratto e di remoto dal sentimento umano,
o, comunque, di vago e di generico. Si tratta certo di un
incontro molto complesso, come è tutta complessa la poesia
di Dante, che si nutre di un'immensa cultura e di una
potenzialità di vita sentimentale davvero senza limiti. Ma
non per questo riuscirà impossibile tracciare alcune linee
di orientamento critico, tali da permettere di storicizzare
quel tema teologico che crediamo costituisca la nucleare
ispirazione dell'intera cantica. Un soccorso di estrema
importanza, per il nostro caso, ci viene intanto offerto
senza dubbio dalla notizia facilmente deducibile che sullo
spirito del poeta opera il fascino di un'imponente
tradizione teologica, che va dalla Scrittura e dai Padri
alla scolastica e alla mistica. Ad essa il poeta sembra
attingere gli elementi più diversi, ma tutti riferire ad un
tema centrale e tutti introdurre in funzione di un motivo
dominante che soprattutto inebria il suo spirito, il tema
della grazia, il motivo del « filios Dei fieri» di cui parla
il prologo del vangelo di San Giovanni, risposta esultante
del nuovo Adamo alla suggestione originaria dell'antico
Adamo, «Eritis sicut dei», radicata quale eterna nostalgia
nel cuore di ogni uomo. Come ogni teologo, pur aderendo alla
teologia dogmaticamente definita e pur accettando nel suo
insieme tutto il complesso di articoli di fede che la Chiesa
propone, si presenta sempre con una personale teologia, nel
senso che egli sarà tratto spontaneamente ad insistere nella
sua meditazione su un dogma piuttosto che su di un altro e
ad istituire fra di essi nuovi rapporti e a dedurre da essi
conseguenze prima lasciate in ombra, cosi, a maggior
ragione, per il più libero e incontrollato intervento di una
partecipazione sentimentale, ogni anima religiosa è
destinata a fondare la sua prassi, nell'ampia zona del credo
ufficialmente proposto e globalmente accettato, su questo o
quel motivo teologico che finisce perciò col raggiungere
necessariamente un essenziale rilievo e un esponenziale
valore riassuntivo nel suo interiore paesaggio. Allo stesso
modo un identico tema dogmatico dovrà pur sempre essere
suscettibile di intuizioni diverse a seconda del clima di
personalità in cui si inserisce. Dante, a sua volta, sembra
sostanzialmente accentuare il concetto teologico della
grazia come «vitae aeternae quaedam inchoatio», come «semen
gloriae», richiamando e coordinando a questa strutturale
linea di interesse ogni altro motivo e suggerimento. Questo
concetto che san Tommaso enuncia nel calmo ritmo del suo
pensiero, lasciandone implicito l'animato sfondo poetico,
trova proprio in Dante il suo appassionato celebratore.
Tutta la teologia presente nel Paradiso si riporta, come
suggestione definitiva e come necessario punto d'incontro, a
questa intuizione della vita dell'anima come un ascensionale
movimento che ha per suo- termine Dio infinito, come un
dinamico sviluppo che si conclude nella trasfigurazione
della gloria.
Ora, procedendo nella nostra ricognizione, riesce assai
fertile il rilievo che codesta teologia della grazia, oltre
ad una possibilità di individuazione su un piano di
tradizione culturale e di personale elezione di temi e
motivi, ne contiene anche un'altra per la sua intrinseca
capacità di irradiarsi in un'esperienza psicologica. Poiché
si tratta di una teologia che in certo modo si storicizza e
che è in facoltà dell'uomo di intuire in forma quasi
sperimentale. Se altri motivi teologici, invero, rimangono
in una zona di assoluta trascendenza rispetto all'uomo, come
gli enunciati relativi alla natura divina, questa realtà
teologica, al contrario, impegna come suo soggetto l'uomo e
lo coinvolge nel suo essere ed operare. Così, mentre il
dogma trinitario è destinato evidentemente a rimanere,
rispetto all'esperienza umana, un complesso di proposizioni
teologiche, un contenuto puramente intellettuale, la teoria
della grazia potrà invece riflettersi in un insieme di
reazioni psicologiche e sentimentali. La letteratura
mistica, che è stata certo presente all'intelligenza di
Dante, documenta precisamente l'aspetto umano, il mondo
affettivo che si genera intorno ad un avvenimento
sovrannaturale. Potremmo dunque perfino dire che esiste un
sentimento della grazia, un ordine di affetti che si
determinano quando l'anima avanza nelle regioni sacre della
preghiera, e ne percorre il mistico viaggio. |