La lieta
fantasia del Goldoni
La nota
tipica del teatro goldoniano è data, secondo il Momigliano,
dal tono di gioconda e spensierata festevolezza che lo
pervade. Non ci sono, nelle commedie del Goldoni, né
intenzioni morali, né ricerche psicologiche o preoccupazioni
realistiche: vi domina una fantasia lieta e leggiera, che
inesauribilmente inventa occasioni di divertimento, di riso,
di scherzo lieve, spiritoso, con una finezza d'arte che si
rivela, ad esempio, nella presenza delle maschere, ereditate
dalla commedia dell'arte, ma utilizzate come spunti per più
vivaci e ilari invenzioni di battute e di situazioni.
Una delle caratteristiche del riso goldoniano, è che spesso
non scaturisce da nessun giudizio; è semplicemente
giocondità. Tutta la sua folla è per lo più molto allegra, e
se anche ha qualche malanno, se ne ride. Per questo riguardo
sono notevoli soprattutto le maschere, e prima di ogni altra
Arlecchino, l'eterno affamato, il servo dalla comicità
sottile e dagli atteggiamenti buffoneschi vivacemente
immaginosi, il critico efficacissimo del padrone parassita,
grandioso e spiantato. Nelle commedie dove s'è ingentilito,
è la più grande delle anime ilari del Goldoni. Ci tiene in
un continuo solletico di riso. Sa essere arguto anche nella
miseria: rallegra tutto. È pronto, perspicace, ha spesso il
tono di chi piglia in giro garbatamente, solo per
divertirsi, per naturale lepidezza. Nessuno ha un'acuzie
così spontanea e che si esprima con tanta agilità, e con
tanta grazia e con tanta impalpabilità di forme, nessuno sa
usar così finemente l'eufemismo e l'attenuazione, tenersi
così bene nel confine tra l'arguzia e la buffoneria, celar
come lui la buffoneria della intenzione coll'arguzia della
forma. Qualche volta esce in una buffonata: eppure non c'è
nessuna stonatura nella mescolanza di queste due specie di
riso. Dinanzi a questa come ad altre maschere sentiamo che
la loro regola di vita è diversa dalla nostra: sono dominate
da un bisogno di riso volubile, da un bisogno di
abbandonarsi incoerentemente ora a questo ora a quel motivo
di giocondità. La norma del loro mondo non è la psicologia,
ma lo scherzo: è la norma stessa della fantasia del Goldoni
in qualcuna delle sue ore migliori: la legge di quella
fantasia di poeta si trasforma nella legge della loro vita.
Vivono fuori del nostro mondo, nella piena libertà
dell'anima da ogni costrizione esterna o interna, in
un'allegra anarchia spirituale: sono la più perfetta
incarnazione dell'ilarità del Goldoni. Fra tanti vantaggi
che il riformatore del nostro teatro ha ricavato dalla
commedia dell'arte, è forse il più grande questo, che è così
opposto al suo indirizzo innovatore: l'avere avuto dalle
umili maschere l'ispirazione per creare un tipo che nella
sua giocondità inesauribile si mantenesse sciolto dai legami
della realtà e, eternamente vivo nei regni della fantasia,
si ridesse della psicologia, come già se ne rideva
l'Arlecchino che improvvisava. Il Goldoni lasciò a questo, e
talora ad altri servi, l'incoerenza psichica tradizionale,
ma gli diede una consistenza fantastica, una volubilità e
una finezza di riso nuove.
Nel teatro del Goldoni le maschere, più che rappresentare
un'anima, diffondono un tono, un colorito: la festività.
Questo è per lo più il loro ufficio. Nella vita ci sono
soltanto anime singole, ogni anima è un tutto in sé finito;
nell'arte può essere diversamente: di molti personaggi si
può fare un'anima sola, e quell'anima unica, divisa in molti
corpi, dà una vivacità ed una agilità alla commedia che
altrimenti non avrebbe. Il mondo allegro e vario della
servitù il Goldoni lo può rappresentar molto meglio
colorendo in un servo un particolare, in un altro un altro:
ciascuno di quei personaggi, preso a sé, può non esser vivo,
ma l'insieme ci dà l'immagine compiuta di quella classe, con
in più, in forza di quello spezzettamento in cui una
particella ne integra un'altra, il senso efficacissimo del
movimento piccino e molteplice di quel mondo.
Questa festività goldoniana si vede anche in altri
personaggi. Molti vanno in rovina e scherzano
tranquillamente, non hanno danari e fanno dei festini. Il
Pantalone de La bancarotta è un giocondo tipo di vecchio
sbarazzino, che rappresenta bene questa moltitudine gaudente
e scoppiettante. Danza sulla sua miseria e ignora il futuro.
Dice che fallisce per causa della moglie, e questa dirà
altrettanto di lui; ma subito dopo, in un momento di
sincerità, riflette che ha consumato anche la dote: e si
consola pensando che scroccherà al figlio: «Fenio la roba,
fenio i pensieri»; Pantalone è tutto qui, in questa
spensieratezza imperturbabile. Ha goduto i suoi danari, e li
ha fatti godere agli amici: questo basta a confortarlo. «I
mi beni xe tutti sequestrai, la meggio roba xe in pegno, i
mobili xe bolai, la bottega xe voda, onde mi no gh'ho più
niente da far». Bellissimo quell'onde. In molto di quello
che dice, ma specialmente in questo meraviglioso monologo
(I, 10) tutto ravvivato da quelle rapide scosserelle briose
così caratteristiche del veneziano, c'è la comicità più
singolare del Goldoni, quella che si diffonde su tutto il
suo allegro mondo e consiste nel far ridere non di un
difetto ma di uno spettacolo giocondo, nel suscitar quel
riso che non è critica ma letizia, nell'irradiar le scene di
quell'ilarità che scaturisce da una contemplazione senza
preoccupazioni, dalla vita considerata come una festa più
che come un miscuglio di beni e di mali.
Di qui l'indifferenza morale della parte artisticamente più
elevata di quel riso, di qui il fatto che quella del Goldoni
spesso è ilarità più che comicità. Ci passano dinanzi, nella
scena varia e gioconda, uomini amanti della burla o dello
scherzo; inesauribili spacciatori di frottole, spiantati che
la scialano e fanno debiti, oziosi che vivono di maldicenza,
cicisbei, parassiti, giocatori, avventurieri che sbarcano il
lunario con cento piccoli ripieghi ignominiosi, birbe che un
nulla divide dai delinquenti, una moltitudine mirabilmente
adatta alla musa d'un poeta sferzante: eppure quando ci
abbandoniamo all'onda effervescente del dialogo goldoniano,
non pensiamo quasi mai all'inconsistenza morale di quella
folla. La caratteristica più personale del Goldoni è
veramente quest'ilarità che si sostituisce alla
contemplazione comica propria di quasi tutti i poeti di
commedie, questa gaiezza che gli si desta così spontanea di
fronte allo spettacolo della vita. Nessun poeta comico ha
mai posseduto questa qualità come il Goldoni; per essa a lui
spetta un posto separato nella storia della commedia: essa è
il vero titolo della sua grandezza.
Il meglio delle sue commedie è questa giocondità leggera,
mobile come il pulviscolo di luce che dà un'anima ilare a
tutte le cose e fa balzar nella vita anche la pagliuzza;
un'allegria che fa formicolare il sangue in ogni vena de'
suoi personaggi e ne fa brillare il volto in una luminosità
diffusa, uguale e serena come se dall'interno vi
s'irradiasse un piccolo sole nascosto. |