Novità e
limiti nell'arte del Goldoni
Per il De
Sanctis, nel settecento, si costituisce in Italia, dopo la
decadenza dei due secoli precedenti, una "nuova letteratura"
guidata da un sicuro impegno morale e da un senso nuovo
dell'uomo e delle cose. All'inizio di questo rinnovamento è
il Goldoni: grande e schietto autore comico, egli ha una
concezione concreta e positiva della realtà, che osserva e
rappresenta con vivezza, ponendo al centro delle sue opere i
vari caratteri colti con forza e con naturalezza nel loro
agire entro la società e la vita. La sua è una comicità di
situazione, cioè è legata alle circostanze, alle vicende
abilmente e vivacemente rappresentate e intrecciate, non
nasce dalla battuta o dalla riflessione; e, secondo il
critico, non manca di una certa grossolanità, che si rivela
anche nella troppo scarsa elaborazione formale. La
concezione romantica della poesia come profondità di
sentimento detta cosí al De Sanctis la celebre sentenza
sul'arte del Goldoni, che non giungerebbe alla poesia
proprio per eccessiva superficialità comica e per mancanza
di autentica commozione.
L'idea fissa di Goldoni era che la commedia potea per se
sola interessare il pubblico, e che non le era necessario a
ciò lo spettacoloso, il gigantesco, il maraviglioso in
maschera e senza maschera. La sua riforma era in fondo la
restaurazione della parola, la restituzione della
letteratura nel suo posto e nella sua importanza, la nuova
letteratura. E vide chiaramente che a ristaurare la parola
bisognava non lavorare intorno alla parola, ma intorno al
suo contenuto, rifare il mondo organico o interiore
dell'espressione. Questo vide nella commedia, e mirò a
instaurarvi non gli elementi formali e meccanici, ma
l'intero organismo, sopra questo concetto: che la vita non è
il gioco del caso o di un potere occulto, ma è quale ce la
facciamo noi, l'opera della nostra mente e della nostra
volontà. Concetto del Machiavelli, dal quale usciva la
Mandragola. Perciò il protagonista è l'uomo, con le sue
virtù e le sue debollezze, che crea o regola gli avvenimenti
o cede in balía di quelli. Manca a Goldoni non la chiarezza,
ma l'audacia della riforma, obbligato spesso a concessioni e
a mezzi termini per contentare il pubblico, la compagnia e
gli avversari. E, come era il suo carattere, vinse talora
più con la pazienza o la destrezza che con la risoluta
tenacità dei propositi. Di queste concessioni trovi i
vestigi nelle sue migliori commedie, dove non rifiuta certi
mezzi volgari e grossolani per ottenere gli applausi della
platea. E mi spiego come insino all'ultimo continuò nel
romanzesco, nel sentimentale e nell'arlecchinesco: le
necessità del mestiere contrastavano alle aspirazioni
dell'artista. D'altra parte, intento all'interno organismo
della commedia, neglesse troppo l'espressione e, per volerla
naturale, la fece volgare, si che le sue concessioni si
staccano vigorose da una forma più simile a pietra grezza
che a marmo. Ciò che in lui rimane è in quel mondo interno
della commedia, tolto dal vero e perfettamente sviluppato
nelle situazioni e nel dialogo. Il centro del suo mondo
comico è il carattere. E questo non è concepito da lui come
un aggregato di qualità astratte, ma è colto nella pienezza
della vita reale, con tutti gli accessori. Base è la società
veneziana nella sua mezzanità, più vicina al popolo che alle
classi elevate: ciò che dà più presa al comico per quei moti
improvvisi, ineducati, indisciplinati, che son propri della
classe popolana, alla quale si accostava molto la borghesia
veneta, non giunta ancora a quel raffinamento e delicatezza
di forme, che sono come l'aria della civiltà. I caratteri,
come il maldicente, il bugiardo, l'avaro, l'adulatore, il
cavalier servente, inviluppati in quest'atmosfera, escono
fuori vivi, coloriti, originali, nuovi: vi contraggono la
forma della loro esistenza. Ci è nel loro impasto del
grossolano e dell'improvviso; anzi qui è la fonte del
comico. Cadendo in nature di uomini non disciplinate
dall'educazione, paion fuori in modo subitaneo e senza freno
o ritegno o riguardo, in tutta la loro forza primigenia, e
producono con quella loro improvvisa grossolanità la più
schietta allegria, tipo il Burbero benefico. Non essendo
concezioni subbiettive e astratte, ma studiate dal vero e
colte nel movimento della vita, il comico non si sviluppa
per via di motti, riflessioni e descrizioni (ciò che dicesi
propriamente "spirito" e appartiene a una società più colta
e raffinata), ma erompe nella brusca vivacità delle
situazioni e dei contrasti. Il Goldoni è felicissimo a
trovare situazioni tali che il carattere vi possa sviluppare
tutte le sue forze. La situazione è per lo più unica,
semplice, naturalissima, sobriamente variata, messa in
rilievo da qualche contrasto, di rado complicata o
inviluppata, graduata con un crescendo di movimenti
drammatici, e ti porta rapidamente alla fine tra la più viva
allegria. Indi viene la superiorità del suo dialogo, che è
azione parlata, di rado interrotta o raffreddata per
soverchio uso di riflessioni e di sentenze. La situazione
non è mai perduta di vista: non digressioni, non deviazioni,
rari intermezzi o episodi, nessuna parte troppo accarezzata
o rilevata; onde è che l'interesse è nell'insieme, e di rado
se ne stacca un personaggio, una scena, un motto. Tutto è
collegato saldamente con tutto: la situazione è il carattere
stesso in posizione, nelle sue determinazioni: l'azione è la
stessa situazione nel suo sviluppo; il dialogo è la stessa
azione ne' suoi movimenti. Questo mondo poetico ha il
difetto delle sue qualità: nella sua grossolanità è
superficiale, e nella sua naturalezza è volgare. In quel suo
correre diritto e rapido, il poeta non medita, non si
raccoglie, non approfondisce; sta tutto al di fuori, gioioso
e spensierato, indifferente al suo contenuto, e intento a
caricarlo quasi per suo passatempo e con l'aria più ingenua,
senza ombra di malizia e di mordacità: onde la forma del suo
comico è caricatura allegra e smaliziata, che di rado giunge
all'ironia. Nel suo s'è ingentilito, è la più grande delle
anime ilari del Goldoni. Ci tiene in un continuo solletico
di riso. Sa essere arguto anche nella miseria: rallegra
tutto. È pronto, perspicace, ha spesso il tono di chi piglia
in giro garbatamente, solo per divertirsi, per naturale
lepidezza. Nessuno ha un'acuzie cosi spontanea e che si
esprima con tanta agilità, e con tanta grazia e con tanta
impalpabilità di forme, nessuno sa usar così finemente
l'eufemismo e l'attenuazione, tenersi così bene nel confine
tra l'arguzia e la buffoneria, celar come lui la buffoneria
della intenzione coll'arguzia della forma. Qualche volta
esce in una buffonata: eppure non c'è nessuna stonatura
nella mescolanza di queste due specie di riso. Dinanzi a
questa come ad altre maschere sentiamo che la loro regola di
vita è diversa dalla nostra: sono dominate da un bisogno di
riso volubile, da un bisogno di abbandonarsi incoerentemente
ora a questo ora a quel motivo di giocondità. La norma del
loro mondo non è la psicologia, ma lo scherzo: è la norma
stessa della fantasia del Goldoni in qualcuna delle sue ore
migliori: la legge di quella fantasia di poeta si trasforma
nella legge della loro vita. Vivono fuori del nostro mondo,
nella piena libertà dell'anima da ogni costrizione esterna o
interna, in un'allegra anarchia spirituale: sono la più
perfetta incarnazione dell'ilarità del Goldoni. Fra tanti
vantaggi che il riformatore del nostro teatro ha ricavato
dalla commedia dell'arte, è forse il più grande questo, che
è così opposto al suo indirizzo innovatore: l'avere avuto
dalle umili maschere l'ispirazione per creare un tipo che
nella sua giocondità inesauribile si mantenesse sciolto dai
legami della realtà e, eternamente vivo nei regni della
fantasia, si ridesse della psicologia, come già se ne rideva
l'Arlecchino che improvvisava. Il Goldoni lasciò a questo, e
talora ad altri servi, l'incoerenza psichica tradizionale,
ma gli diede una consistenza fantastica, una volubilità e
una finezza di riso nuove.
Nel teatro del Goldoni le maschere, più che rappresentare
un'anima, diffondono un tono, un colorito: la festività.
Questo è per lo più il loro ufficio. Nella vita ci sono
soltanto anime singole, ogni anima è un tutto in sé finito;
nell'arte può essere diversamente: di molti personaggi si
può fare un'anima sola, e quell'anima unica, divisa in molti
corpi, dà una vivacità ed una studio del naturale e del
vero, trascura troppo il rilievo, e, se ha il brio del
linguaggio parlato, ne ha pure la negligenza: per fuggire la
retorica, casca nel volgare. Gli manca quèlla divina
malinconia, che è l'idealità del poeta comico e lo tiene al
di sopra del suo mondo, come fosse la sua creatura, che
accarezza con- lo sguardo e non la lascia che non le abbia
data l'ultima finítezza. |