Natura e
ragione nella poetica goldoniana
Il rapporto
del Goldoni con le idee del suo tempo si configura come
un'adesione istintiva che conduce ad una moderata
accettazione dei principi del naturalismo e del razionalismo
del secolo. Il carattere immediato e spontaneo delle idee
del Goldoni fa si che in esse gran parte abbia la voce del
sentimento, che determina il particolare modo con cui nel
teatro goldoniano i concetti dell'Illuminismo, la realtà
della vita, in altri contemporanei drammaticamente
rappresentati, appaiano invece circonfusi di serenità e di
sorridente ottimismo.
Se noi pensiamo ad uno schema ideale di ciò che siam soliti
indicare come illuminismo; se questo richiamiamo per la sua
tematica di fondo, pei motivi ricorrenti come formule
applicabili alla vivente coscienza sociale, vediamo che
proprio quei temi e quei motivi, addolciti di quanto hanno
di aggressivo e smussati di quanto hanno di equivoco e di
eterodosso in ordine a una tradizione morale, sono
largamente orchestrati in tutta l'opera del Goldoni, la
percorrono e la pervadono naturalmente e senza sforzo, quasi
un codice di possibile vita civile e morale; come coscienza,
per così dire, del suo mondo, ad esso interna come un dato
di natura; ma insieme anche come organismo, come norma e
come limite di una poetica che fa la sua arte armoniosa e
coerente, e la scioglie, nei confronti della vita e della
realtà, da ogni soggezione.
Naturalismo, ottimismo, razionalismo: parole, ma anche
dottrine ed echi di dottrine, atteggiamenti mentali,
psicologici, corollari politici e morali. Non si direbbe che
il Goldoni si preoccupi di tutto ciò, che si tormenti
attorno alle parole, che faccia caso alle dottrine, o che
misuri il rapporto logico che corre tra i fatti e
l'enunciazione dei principi. Prende ciò che fa al caso suo,
se lo appropria in ragione d'arte e di vita, piuttosto che
di esperienza culturale: e ne fa materia d'arte e di vita,
tempera della sua indole, voce interiore della sua poesia
sicché la coerenza del suo mondo artistico e morale pare
nata da lui e con lui, sembra autenticare la sua
spontaneità, la sua ingenuità. Non c'è studioso, si può
dire, che considerando il Goldoni alla luce del pensiero e
della società del Settecento, non usi le espressioni candido
illuminismo, candido liberalismo, candido naturalismo; e
sono espressioni che dicon molto, ma non dicono tutto. Ché
la trasparenza della sua vita, mai incrinata intimamente da
ombre o da contrasti, o il limpido fluire della sua arte
senza intoppi, oltre che di natura e d'istinto, son frutto
di saggezza e di sapienza. Gli stessi aforismi si direbbero,
anzi, talvolta ugualmente applicabili all'arte e alla vita.
Quando dice, ad esempio, che la commedia non altro deve
essere che imitazione della natura, e che tutto il suo
studio in comporre commedie è stato di non guastar la
natura, allude evidentemente alla fedele rappresentazione
della realtà; ma enuncia insieme anche un canone di vita
morale, richiamando implicitamente alla semplicità e alla
schiettezza del vivere.
È vero che a questo punto le sue idee sembran farsi un poco
confuse; «la natura è sempre bella» egli afferma difatti, e
sempre buona, vorrebbe forse aggiungere. Ma la sua poca
filosofia è sufficiente a richiamarlo a qualche cautela, sì
che ripiegherà sul concetto alquanto sibillino che «la
natura è sempre bella, specialmente quando porge modelli
virtuosi e sentimenti di sana morale». Con questo
accomodamento, che mette conto di rilevare perché indica un
limite che agisce coerentemente per entro il suo
illuminismo,, il Goldoni può ordinare sul concetto di natura
una specie di metafisica, generica e vaga, in cui
simboleggiare le sue idee sulla società: la natura intesa
come impulso spontaneo e primitivo del sentimento; la natura
madre comune di tutti gli uomini, che in tutti si manifesta
fondamentalmente identica, nei .primitivi come nella vita
civile, in cui può venire artificiosamente travestita, ma
non sostanzialmente mutata; la natura che ha fatto tutti
uguali (tutti d'una pasta) in contrasto colla disuguaglianza
reale sancita dal diritto e dalle consuetudini, e via
dicendo. Motivi variamente orchestrati nel suo teatro, ma
sempre su situazioni reali, senza sconfinamenti astratti e
soprattutto senza deviazioni pericolose. Naturalismo si, ma
non fino al punto di, accettare le idee del Rousseau
sull'educazione!
Un suo razionalismo ottimistico è stato interpretato
soprattutto per entro la prospettiva dei Mémoires, assai
suggestiva come immagine compiuta dell'uomo, ma forse troppo
esemplare. E tuttavia, anche sfrondato di quella saggezza
che gli viene da un'accettazione serena, da un sorridente
distacco, da un'ímpassibilità imperturbabile, ma non fino al
punto che la sua vita non gli si ricomponga nella memoria
come spettacolo che può ancora commuovere e meritare
l'applauso, è vivo anche per entro quella prospettiva un
senso di positiva fiducia nei valori umani, ferma la
convinzione ch'essi si impongano, oltre che per una loro
intrinseca forza di persuasione, per una loro virtú
operativa. Fede nella ragione quindi, e, nella possibilità
della ragione di guidare al bene. Razionalismo tanto più
convincente quanto più trema in esso la nota del cuore;
tanto più accessibile in quanto fa leva, più che
sull'astratta ragione, sul naturale buon senso; tanto più
efficace in quanto esemplificato in quei persuasivi
monologhi che riecheggiano alla lontana la concreta
esperienza della sua professione d'avvocato. E insieme
fiducia nella serietà della vita, della vita che a ciascuno
dà il suo, e che il suo da ciascuno reclama: coscienza
quindi d'una legge che opera nella realtà come esigenza
morale sentita.
E qui il discorso potrebbe farsi davvero serio. Potremmo
domandarci, ad esempio, se questa problematica che la sua
opera adombra innegabilmente sia da porre in termini
storico-filosofici o etico-religiosi. E allora il problema
dell'educazione, e il problema della donna nella società del
suo tempo, e il problema della borghesia, mercantile o non,
e il problema delle caste sociali, e altri problemi
innumerevoli variamente agitati in un incrocio mirabile di
situazioni reali o fantastiche, in riflessi sempre mutevoli
di parvenze o amabili o gaie o grottesche, finirebbero col
diventar grossi. Converrà dunque accennarli e lasciarli a
mezz'aria, se vogliamo che il Goldoni, e la sua opera e i
suoi personaggi ne reggano il peso. Perché se è vero che
totus mundus agit histrionem, quel mondo dopo tutto, sia
quello che frequentava i teatri, sia quello a cui il teatro
si rivolgeva come a più vasta platea, non era disposto, quei
problemi, a farseli troppo pesare. Più che tra due diverse
concezioni della vita legate a ragioni ideali e pratiche, o
concretamente articolate come forze politiche in contrasto,
l'elementare e istintivo storicismo del Goldoni si pone sul
piano d'una realtà concorde che diversi motivi, sentimentali
o affettivi, ombreggiano diversamente. In modo generico e
approssimativo potremmo dire che si pone tra il vecchio e il
nuovo, da intendersi come categorie che assumono e figurano
una somma di concetti, di esperienze e di fatti
risolvendoli, fuor d'ogni significato e d'ogni proposito
polemico, sul piano d'una generica disposizione psicologica
e umana. Ad entrare in questo modo d'intelligenza dell'opera
goldoniana aiuta egli stesso, il Goldoni: coll'immagine che
ci ha lasciato di sé cosí vera e così viva, così familiare e
così singolare; quello strano impasto di veneziano e di
cosmopolita, di pigro e di avventuroso, che ne fa un
personaggio inimitabile. Personaggio che somma la tendenza a
una vita anche spiritualmente sedentaria (ereditata,
potremmo pensare, dalla madre) a una mania e a una passione
ambulatoria (ereditata, potremmo sempre pensare, dal padre)
ch'è attrazione e apertura, non priva di ardimento e di
coraggio, verso tutto ciò che è insolito, nuovo ed
eccitante: quasi che per le vie del sangue rifluissero e si
conciliassero in lui gli umori tra i quali oscillava
blandamente in superficie, e con maggiore asprezza in
profondo era contesa, l'anima del suo secolo. |