IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

Critica letteraria

CINQUECENTO

 

 

 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 CRITICA DELLA LETTERATURA: IL CINQUECENTO

Carattere del Guicciardini

Uomo tutto cose, tutto azione, nel Guicciardini il gusto di agire, di fare, fu eccezionalmente alacre, ma sereno. Quando non poté dominare gli avvenimenti, non se ne lasciò sopraffare. Se più non poteva agire con ordine, veder chiaro era il suo modo di vincere. I moderni hanno creato una parola brutta come la cosa, l'attivismo: un compiacimento nervoso e in taluno spasmodico, dell'azione per l'azione: non più l'uomo che ritrova sé stesso, si migliora, si perfeziona adoprandosi fra gli altri uomini; ma quasi l'uomo dinamo, propulsore d'una energia che sfugge al suo controllo, e si moltiplica e trasforma lontano da lui. Nel Guicciardini il gusto dell'agire è contenuto tutto nel vigore, nel carattere; è energia ma insieme controllo di sé, volontà. Del tempo egli ha un gusto reale, spaziale, come di cosa sua e che gli spetti; e come tutti i grandi attivi, egli ama e direi predilige quel tempo che «avanza».

«Abbiate per certo, che benché la vita degli uomini sia breve, pure a chi sa fare capitale del tempo e non lo consumare vanamente, avanza tempo assai, perché la natura dell'uomo è capace e chi è sollecito e risoluto gli comparisce mirabilmente il fare». Quel «fare» che fu la sua passione. Ma una domanda, un dubbio, qui si riaffaccia: perché questo scettico agisce? Qual'è la molla che lo spinge? Ve lo dice chiaro da sé; oltre l'utile, l'ambizione. «La ambizione non è dannabile... E chi manca di questo desiderio è spirito freddo e inclinato più allo ozio che alle faccende». «A chi stima l'onore assai, succede ogni cosa... Io l'ho provato in me medesimo, perciò lo posso dire e scrivere; sono morte e vane le azioni degli uomini che non hanno questo stimolo ardente». E chi ha una volta amato il fare, non si rassegnerà alla quiete: «Non crediate a questi che predicano di aver lasciate le faccende per amore della quiete... (Fate che si riapra loro) qualche spiraglio di grandezza... vi si gettano con quello impeto che fa el fuoco a una cosa secca o unta». E tuttavia dire, qui, ambizione non è dir tutto. Ci sono due modi di ambizione: l'ambizione volgare che si rovescia e si appaga tutta fuori, negli altri, e cui, in mancanza dell'essere, spesso basta il parere; e l'ambizione di chi vuol crescere sé a sé stesso, non parere, ma esser da più: «... lo appetito che ognuno ha di essere superiore agli altri uomini, atteso massime che in nessun'altra cosa ci possiamo assimigliare a Dio...». Chi agisce per questa superiore ambizione porta nel suo fare una sorta di superiore disinteresse. I più, i vulgari (come il Guicciardini diceva) male possono intender ciò. Il fare, l'agire, per i più restano sempre soggetti al fine da raggiungere. Non sempre per il Guicciardini : nell'agire da «savio», nel calcolar cioè la probabilità e il giuoco delle forze, egli può trovare un compenso che lo appaga anche se talvolta il fine non sia raggiunto. Questa è eleganza tutta del Guicciardini; egli porta allora nella vita pratica il disinteresse dell'artista; adopra gli uomini e le cose col gusto staccato con che un filosofo muove sillogismi. «Chi è ben savio ha da contentarsi più di essersi mosso con buon consiglio, ancora che lo efetto sia stato malo, che se in un consiglio cattivo avesse avuto lo effetto buono». Massima da aver presente chi voglia intendere il più riposto Guicciardini. E ancora: «Io sono stato di natura molto resoluto e fermo nelle azioni mie, e nondimeno, come ho fatto una resoluzione importante, mi accade spesso una certa penitenzia del partito che ho preso; il che procede, non perché io creda che se io avessi di nuovo a deliberare, io deliberassi altrimenti, ma perché, innanzi alla deliberazione, avevo più presente agli occhi le difficoltà dell'una e dell'altra parte, dove, preso el partito, né temendo più quelle che col deliberare ho fuggite, mi si apresentono solamente quelle con chi mi resta a combattere. Le quali, considerate per sé stesse, paiono maggiore che non parevano quando erano paragonate con l'altre. Donde seguita che, a liberarsi di questo tormento, bisogna con diligenzia rimettersi innanzi agli occhi anche le altre difficoltà che avevi posto da canto». Qui vedi la discrezione del Guicciardini prendere a oggetto sé, osservarsi nel suo processo, limarsi e definirsi: come nella pagina d'un introspettivo o psicologo.

L'esperienza stessa insegnò poi al Guicciardini che anche all'utile proprio, anche al proprio particulare, meglio che un'utilitaria furbizia, può talvolta giovare la saviezza per se stessa e disinteressatamente esercitata. «Sono stato undici anni continui ne' governi della Chiesa e con tanto favore appresso a' superiori e a' populi che ero per durarvi lungamente..., né trovai cosa alcuna che mi vi conficcassi drento più che el procedere come se non mi curassi di starvi; perché con questo fondamento facevo sanza rispetto e summissione quello che conveniva al carico che io tenevo...». E quelli tra i ricordi che più degli altri son sembrati o crudi o cinici, - ricordi che toccano del governo dei preti, maledetto e servito: «Tre cose desidero vedere innanzi alla mia morte, ma dubito, ancora che io vivessi molto, non ne vedere alcuna; uno vivere di republica bene ordinato nella città nostra, Italia liberata da tutti e Barbari, e liberato il mondo dalla tirannide di questi scellerati preti»; - tali ricordi hanno, non dico altro senso, ma almeno altro tono, se si pensa quale talvolta poté essere l'intima molla di questo utilitario senza utile.

Pietro Pancrazi

© 2009 - Luigi De Bellis