Carattere
del Guicciardini
Uomo tutto cose, tutto azione, nel Guicciardini il gusto
di agire, di fare, fu eccezionalmente alacre, ma sereno.
Quando non poté dominare gli avvenimenti, non se ne
lasciò sopraffare. Se più non poteva agire con ordine,
veder chiaro era il suo modo di vincere. I moderni hanno
creato una parola brutta come la cosa, l'attivismo: un
compiacimento nervoso e in taluno spasmodico,
dell'azione per l'azione: non più l'uomo che ritrova sé
stesso, si migliora, si perfeziona adoprandosi fra gli
altri uomini; ma quasi l'uomo dinamo, propulsore d'una
energia che sfugge al suo controllo, e si moltiplica e
trasforma lontano da lui. Nel Guicciardini il gusto
dell'agire è contenuto tutto nel vigore, nel carattere;
è energia ma insieme controllo di sé, volontà. Del tempo
egli ha un gusto reale, spaziale, come di cosa sua e che
gli spetti; e come tutti i grandi attivi, egli ama e
direi predilige quel tempo che «avanza».
«Abbiate per certo, che benché la vita degli uomini sia
breve, pure a chi sa fare capitale del tempo e non lo
consumare vanamente, avanza tempo assai, perché la
natura dell'uomo è capace e chi è sollecito e risoluto
gli comparisce mirabilmente il fare». Quel «fare» che fu
la sua passione. Ma una domanda, un dubbio, qui si
riaffaccia: perché questo scettico agisce? Qual'è la
molla che lo spinge? Ve lo dice chiaro da sé; oltre
l'utile, l'ambizione. «La ambizione non è dannabile... E
chi manca di questo desiderio è spirito freddo e
inclinato più allo ozio che alle faccende». «A chi stima
l'onore assai, succede ogni cosa... Io l'ho provato in
me medesimo, perciò lo posso dire e scrivere; sono morte
e vane le azioni degli uomini che non hanno questo
stimolo ardente». E chi ha una volta amato il fare, non
si rassegnerà alla quiete: «Non crediate a questi che
predicano di aver lasciate le faccende per amore della
quiete... (Fate che si riapra loro) qualche spiraglio di
grandezza... vi si gettano con quello impeto che fa el
fuoco a una cosa secca o unta». E tuttavia dire, qui,
ambizione non è dir tutto. Ci sono due modi di
ambizione: l'ambizione volgare che si rovescia e si
appaga tutta fuori, negli altri, e cui, in mancanza
dell'essere, spesso basta il parere; e l'ambizione di
chi vuol crescere sé a sé stesso, non parere, ma esser
da più: «... lo appetito che ognuno ha di essere
superiore agli altri uomini, atteso massime che in
nessun'altra cosa ci possiamo assimigliare a Dio...».
Chi agisce per questa superiore ambizione porta nel suo
fare una sorta di superiore disinteresse. I più, i
vulgari (come il Guicciardini diceva) male possono
intender ciò. Il fare, l'agire, per i più restano sempre
soggetti al fine da raggiungere. Non sempre per il
Guicciardini : nell'agire da «savio», nel calcolar cioè
la probabilità e il giuoco delle forze, egli può trovare
un compenso che lo appaga anche se talvolta il fine non
sia raggiunto. Questa è eleganza tutta del Guicciardini;
egli porta allora nella vita pratica il disinteresse
dell'artista; adopra gli uomini e le cose col gusto
staccato con che un filosofo muove sillogismi. «Chi è
ben savio ha da contentarsi più di essersi mosso con
buon consiglio, ancora che lo efetto sia stato malo, che
se in un consiglio cattivo avesse avuto lo effetto
buono». Massima da aver presente chi voglia intendere il
più riposto Guicciardini. E ancora: «Io sono stato di
natura molto resoluto e fermo nelle azioni mie, e
nondimeno, come ho fatto una resoluzione importante, mi
accade spesso una certa penitenzia del partito che ho
preso; il che procede, non perché io creda che se io
avessi di nuovo a deliberare, io deliberassi altrimenti,
ma perché, innanzi alla deliberazione, avevo più
presente agli occhi le difficoltà dell'una e dell'altra
parte, dove, preso el partito, né temendo più quelle che
col deliberare ho fuggite, mi si apresentono solamente
quelle con chi mi resta a combattere. Le quali,
considerate per sé stesse, paiono maggiore che non
parevano quando erano paragonate con l'altre. Donde
seguita che, a liberarsi di questo tormento, bisogna con
diligenzia rimettersi innanzi agli occhi anche le altre
difficoltà che avevi posto da canto». Qui vedi la
discrezione del Guicciardini prendere a oggetto sé,
osservarsi nel suo processo, limarsi e definirsi: come
nella pagina d'un introspettivo o psicologo.
L'esperienza stessa insegnò poi al Guicciardini che
anche all'utile proprio, anche al proprio particulare,
meglio che un'utilitaria furbizia, può talvolta giovare
la saviezza per se stessa e disinteressatamente
esercitata. «Sono stato undici anni continui ne' governi
della Chiesa e con tanto favore appresso a' superiori e
a' populi che ero per durarvi lungamente..., né trovai
cosa alcuna che mi vi conficcassi drento più che el
procedere come se non mi curassi di starvi; perché con
questo fondamento facevo sanza rispetto e summissione
quello che conveniva al carico che io tenevo...». E
quelli tra i ricordi che più degli altri son sembrati o
crudi o cinici, - ricordi che toccano del governo dei
preti, maledetto e servito: «Tre cose desidero vedere
innanzi alla mia morte, ma dubito, ancora che io vivessi
molto, non ne vedere alcuna; uno vivere di republica
bene ordinato nella città nostra, Italia liberata da
tutti e Barbari, e liberato il mondo dalla tirannide di
questi scellerati preti»; - tali ricordi hanno, non dico
altro senso, ma almeno altro tono, se si pensa quale
talvolta poté essere l'intima molla di questo utilitario
senza utile. |