ILLUMINISMO
ITALIANO E ILLUMINISMO EUROPEO
Il
Settecento italiano si inserisce sin dalle origini in quella
«crisi della coscienza europea» che chiuse il Seicento e
apri l'età dei lumi. Nei primi decenni del secolo Pietro
Giannone e Alberto Radicati rappresentano le figure di
maggior rilievo che contribuiscono al grande dibattito
ideologico, mentre col Muratori la storia d'Italia viene
esplorata nel più vasto quadro della storia degli altri
popoli d'Europa. La seconda metà del secolo presenta
personalità che si distinguono non tanto sul piano
ideologico generale, ma su quello concreto delle riforme,
accogliendo dalle culture soprattutto di Francia e
d'Inghilterra idee, proposte e fermenti per inserirli
nell'ambito non rivoluzionario, bensì aperto al rinnovamento
del dispotismo illuminato.
Di rado il pregiudizio nazionalistico è stato tanto nocivo
alla comprensione di un'epoca storica quanto il giorno in
cui esso venne applicato al nostro Settecento. Eppure,
proprio alle soglie del nostro secolo di lumi, Vico ci aveva
messo in guardia contro i mali effetti della «boria delle
nazioni». Più tardi gli uomini del nostro illuminismo ci
avevano detto quanto naturalmente essi si sentivano vivere e
respiravano nel cosmopolitismo della loro epoca. Bastava
ascoltarli per non poter più parlare d'un nostro, autoctono,
chiuso e tradizionale illuminismo.
Al contrario, il valore del Settecento italiano consistette
precisamente nell'aver saputo inserirsi fruttuosamente
nell'Europa dei lumi.
Ciò fin dalle origini, fin dagli anni di quella « crisi
nella coscienza europea » che, al passaggio tra il Seicento
e il Settecento, chiuse l'epoca della Controriforma e aprí
quella della Ragione e della Natura.
In questa crisi gli italiani ebbero una funzione non
indifferente.
Non ci fu da noi naturalmente quel tormento che portò in
Inghilterra e tra i fuorusciti ugonotti francesi a pensare
al problema della tolleranza religiosa come alla questione
centrale del secolo che stava per nascere. Non sentiamo da
noi risuonare quelle note profonde che Pierre Bayle t seppe
toccare parlando dei rapporti tra moralità individuale e
religiosità sociale. Ma, trasferiti su un piano diverso, i
nostri problemi son pur sempre quelli della tolleranza
(finalmente ottenuta allora dai Valdesi) e soprattutto
quelli dei rapporti tra Chiesa e Stato.
In quest'ultimo campo dimostrammo di essere in grado di dire
una parola nostra, originale e inserita insieme nelle
generali discussioni dei primi decenni del secolo nuovo.
Giannone a Napoli e Radicati in Piemonte seppero portare a
conclusioni profonde quei conflitti con la Curia romana che
costituiscono, negli Stati italiani come in Francia, in
Austria e in Spagna, la prima, solida base d'una autentica
revisione delle idee politiche e religiose. Giannone col suo
peregrinare da Napoli a Vienna e a Ginevra, dopo aver invano
cercato rifugio nelle città italiane, è il simbolo di questa
ricerca d'un nuovo contatto col mondo d'oltr'Alpe. Il
Triregno, una delle più alte opere del nostro Settecento,
testimonia d'una ricerca intellettuale che va allargandosi e
approfondendosi. Dalla rinnovata tradizione ghibellina
Giannone risale ai problemi filosofici e storici di tutta la
sua epoca. La sua tragica prigionia nelle carceri del re di
Sardegna sta a dirci quali siano gli ostacoli che questa
volontà di rinnovato contatto col mondo trova sul suo
cammino.
Alberto Radicati sembra nascere come una pianta anche più
solitaria. Eppure anche per lui il punto di partenza sta nel
conflitto politico tra Vittorio Amedeo II e la Corte papale,
e il punto d'arrivo sta nell'esilio in Inghilterra e in
Olanda, nella misera morte solitaria e nella conquista d'un
pensiero che non è volteriano soltanto per ardire e
vivacità, ma anche per ampiezza cosmopolita di respiro.
È Radicati a sottolineare con intensa energia l'origine
politica dei mali che affliggono l'Italia e a sostenere che
nulla può scusare la mancanza di volontà a porci rimedio.
Diceva:
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Non bisogna
attribuire il bene o il male al clima del paese o al
temperamento degli uomini... L'esperienza ci fa vedere
sempre che gli uomini sono buoni o cattivi a seconda
delle buone o cattive leggi che osservano. Sappiamo che
delle nazioni che erano in altri tempi modelli di virtú
sono ora esempio di vizio... Se gli inglesi sono buoni e
virtuosi ciò dipende dalle buone leggi... È glorioso
presso di loro difendere la libertà e i diritti della
nazione, perché essi vivono sotto un governo giusto e
libero, basato sul consenso generale dei popoli... Se si
trasportassero in Italia, in Spagna e in Portogallo le
buone leggi e la costituzione dell'Inghilterra, mentre
si stabilissero là le cattive norme di questi ultimi
paesi, in meno di cinquant'anni si vedrebbero gli
inglesi diventar vili, traditori, assassini,
superstiziosi e crudeli, come sono oggi italiani,
spagnoli e portoghesi. |
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Nel
pensiero solitario di Radicati nasceva così la volontà d'una
integrale riforma, politica e religiosa, che prende in lui
anche la forma d'una volontà unitaria per la Penisola.
Finirà per dedicare i suoi Discorsi morali, storici e
politici, da cui sono tratti i passi ora riportati, a quel
principe, don Carlos di Borbone, che egli stimava o sperava
capace di ridurre l'Italia in un'unica nazione.
Se Giannone e Radicati furono i frutti più originali e nuovi
del regalismo nascente, esso alimentò anche uomini e
mentalità ben diversi, dando loro un primo impulso a
riconsiderare le grandi questioni dell'incipiente XVIII
secolo. Muratori è un preciso difensore dei diritti del suo
piccolo stato di fronte a Roma, e vive in un'atmosfera in
cui non sono assenti il rigore insieme filologico e
religioso dei padri maurini francesi ed i sogni di
riconciliazione tra le chiese cristiane del grande Leibniz.
L'esplorazione immensa che Muratori operò nel nostro
Medioevo è illuminata da un amore profondò per tutto il
passato delle nostre città, dei nostri castelli, dei nostri
villaggi. Eppure, dalla sua grandiosa ricerca sorge di
fronte ai nostri occhi, quasi naturalmente, una visione che
si inserisce senza sforzo nel passato degli altri paesi
d'Europa. Il padre della storia italiana è membro d'una
società cosmopolita di dotti, di quella repubblica di
studiosi che rinasce e si trasforma nel Settecento, ed è
insieme il calmo, sereno assertore d'una concezione della
nostra storia che è parte naturale d'Europa.
Se il primo Settecento ci ha dato grandi figure isolate,
nella seconda metà del secolo constatiamo già la presenza
d'una piccola ma attiva classe dirigente capace di operare
riforme e di portare ormai nelle cose il pensiero
illuminista.
Il confronto con gli altri paesi si fa più vivace. L'Europa
dei lumi si differenzia e si articola e gli italiani
cercano, di volta in volta, un incitamento o uno specchio in
cui guardarsi a Parigi, a Londra, a Madrid, a Berlino o a
Vienna.
Se vogliamo semplificare potremmo dire che il fermento delle
idee viene soprattutto dalla Francia e dall'Inghilterra,
mentre i metodi di governo, le strutture burocratiche, le
riforme concrete vengon spesso dall'Europa centrale e,
talvolta, dalla Spagna.
Nessuno infatti dei centri della cultura e delle riforme
italiane aveva la possibilità di mettersi al ritmo non
diciamo della libera Inghilterra del Settecento (così
conservatrice e così innovatrice insieme, e sempre
profondamente amante della libertà), ma neppure della
Francia, dove ormai tutta la società sembra essersi messa in
movimento, dove i fisiocratici diventano una forza politica,
gli enciclopedisti un partito, i parlamentari il centro
d'una resistenza insieme privilegiata e pre-liberale. Dove
cioè il dispotismo illuminato rimane soltanto un tentativo
saltuario e dove la realtà consiste invece in una sempre più
libera lotta fra i vari corpi, gruppi, classi e uomini
dell'antico regime. Da Londra e da Parigi vengono perciò
idee più che suggerimenti politici immediati. Le idee stesse
prendono un significato diverso mettendo radici a Milano, a
Firenze, a Napoli o a Torino.
L'esempio più caratteristico ci è dato da Milano,
all'Accademia dei Pugni e dal Caffè. Le idee di questo
gruppo sono ispirate da Locke, Condillac, da Helvétius.
Rappresentano la rottura del sensismo e dell'utilitarismo di
fronte alla tradizione umanistica e giurisdizionalista.
Sono, in Italia, un caso particolarmente importante della
nascita di quel radicalismo filosofico che Élie Halévy ha
tanto profondamente studiato, parlandoci soprattutto della
Francia e dell'Inghilterra.
Ma Pietro Verri, Cesare Beccaria, Gianrinaldo Carli sono
degli alti funzionari dell'impero di Maria Teresa e poi di
Giuseppe II. Il brillante, intelligente rapporto che essi
seppero trovare tra l'Inghilterra e soprattutto tra Parigi,
il focolare dei lumi, e le esigenze reali del paese in cui
operarono, costituirono il nerbo e il vigore della loro
formula intellettuale.
La loro opera non può toccare direttamente i problemi
politici, nel senso tradizionale di quest'ultima parola. Non
la trasformazione dell'equilibrio delle potenze in Italia,
non lo spostamento dei confini o il cambiamento di sovrani
rientra nei loro obiettivi. Essi si concentrano perciò sul
mondo sociale ed economico. Studiano gli ingaggi della
società civile. Si pongono problemi sociali e morali. Sono
ormai ben lontani dal timoroso senso di distacco, di
dileggio e magari d'orrore che ha dominato in passato
l'animo di tanti italiani di fronte alla politica. Non la
paventano perché hanno scoperto un loro mondo politico,
quello in cui essi possono fare qualcosa di vero e di serio.
Con i loro scritti, con le loro carriere burocratiche, i
loro carteggi, le loro gazzette ed Accademie, sono ormai in
grado di far nascere il pensiero di questa o quella riforma,
di seguirla, appoggiarla, difenderla e portarla a buon fine.
Accettano cioè la situazione politica quale essa sta loro
intorno perché intendono applicare le loro energie soltanto
là dove le ritengono maggiormente feconde. Sono dei
riformatori, insomma, non dei rivoluzionari giacobini della
generazione posteriore, né, tanto meno, dei patrioti
ottocenteschi. |