CESAROTTI E L'OSSIAN
In tutta
l'opera cesarottiana si può notare un'intelligenza
equilibrata, un compromesso di Arcadia, illuminismo,
preromanticismo, e senza l'Ossian non avremmo da accertare,
a parte le alte intuizioni linguistiche, se non una certa
delicatezza e freschezza sentimentale non troppo esigente,
saziata in una Arcadia più precisa e pensosa. Ma l'Ossian
portò ciò che allargava, senza pericolo, quelle possibilità
fino alla guida di una nuova impostazione di linguaggio che
sarebbe rimasta altrimenti inattuata. «Un cuore
profondamente sensibile e penetrato da quella sua melanconia
sublime che sembra il distintivo del genio, un'anima che
trabocca e riversasi sopra tutto ciò che la circonda»: ecco
i caratteri che egli ritrova nell'Ossian. Parole che, se
partono più da una fortunata intelligenza che da una
aderenza profonda, suonano singolarmente nuove, decisive per
la nuova letteratura e per il frutto più notevole
dell'attività cesarottiana. Si noti che il Cesarotti, che
non ruppe mai con l'Arcadia, alla quale dedicò il Saggio
sulla filosofia del gusto, avrebbe potuto senza la sua larga
e accogliente apertura e il suo audace gusto linguistico,
arcadizzare o stilizzare parinianamente quel testo in una
misura simile a quella di molti traduttori anche posteriori
a lui...
L'Arcadia parinizzata non riusciva a rompere la ricerca di
una caduta gradevole, congiunta ad una preziosità
elegantemente raccorciata come colmo della musica della
poesia (e pendon curve, attonite - di grata lira al suon),
mentre il Cesarotti distende il suo discorso poetico, lo
rende rapace di accogliere movimenti più lunghi e meno
stilizzati, apre una nuova declamazione sentimentale pur
mantenendola nei termini di una struttura tradizionale.
Così, mentre i traduttori più arcadici non riescono che ad
arricchire la poesia illuministica di qualche motivo nuovo
sulla via della languidezza, e i traduttori più alla lettera
non incidono sulla lingua poetica, il Cesarotti nella sua
versione condiziona l'inizio di una poetica che vivrà nel
nostro grande romanticismo neoclassico.
Nell'Ossian, il Cesarotti consolidò la sua spregiudicata
simpatia per una letteratura che, senza urtare il suo ideale
civile, accrescesse le risorse della fantasia e della lingua
e secondasse quel vago bisogno sentimentale e
spiritualistico che egli d'altronde non sentiva in contrasto
con lo spirito idei lumi.
Questo spiritualismo tra sensistico e cristiano (ma senza
approfondimento) non trovava nella salda concezione pagana
di Omero ciò che trovava nell'Ossian, gocciolante di una
vaga e triste religiosità, anteriore al culto, ad ogni
confessione e religione precisa: e però tanto più attraente
e poetica.
«Le verità del cristianesimo avrebbero aperto ad Ossian le
fonti di un sublime e d'un mirabile propriamente divino ed
in questa religione avrebbe ravvisato il modello di quella
perfezione morale ch'egli sapeva spirare senza riconoscerne
l'autore.
Ma se Ossian non potè dare alla sua poesia questa
soprannaturale sublimità, egli almeno non l'infettò con le
stravaganze degli altri poeti del gentilesimo e ce la diede
così pura e così perfetta, quanto ella potea prodursi coi
semplici lumi della natura». E poiché in un'altra
disquisizione sulle relazioni tra religione e poesia il
Cesarotti arriva all'equivalenza cristiano-naturale, noi non
troviamo qui solo il preannunzio della polemica romantica
contro la mitologia pagana («senza Apollini, senza Muse,
senza salire in groppa del Pegaseo, senza trasformarsi in
cigno il poeta sa rapir l'anima con un felicissimo, e
naturale entusiasmo»), ma soprattutto una posizione
letteraria che pure basandosi sulla vecchia formula della
poesia cristiana, afferma un tipo di suggestione
sentimentale e lo spiega in nome della natura che diventa
così una fonte di poesia pittoresca e sensibile, ma non più
solamente figurativa e sensuale. Si pensi alla religione
tassesca della natura che comincia con l'Aminta e che aveva
nutrito la letteratura italiana fino all'illuminismo e si
troverà estremamente interessante questo accenno ad una
natura, fonte di poesia religiosa: anche qui non proprio una
rivoluzione (ché gli accenti tasseschi avevan mantenuto alla
sensualità naturalistica una intima languidezza
melanconica), ma trasformazione della sensualità in
sentimentalità, della distensione in tensione, in
presentimento di un di piú insoddisfatto ed essenziale: una
mediazione verso l'anima preromantica che cela in sé, nella
sua fragilità autunnale le radici del potente inverno
romantico. La natura cambia la sua animazione, perde la sua
aurea perfezione primaverile, non è più il vertice della
gioia e della pace, il paradiso degli animi poetici, non
colpisce più per la sua armonia, per la sua organicità;
assume un volto fremente e se pure da materna bontà
istintiva passerà poi a matrigna crudele, nel corso del
romanticismo, fui d'ora ogni suo atteggiamento serba un
fondo di assorta melanconia, di severa tristezza che per
lungo tempo non rivela le sue origini, le mantiene come in
incubazione: permane come una divinità senza letizia e senza
panismo, come la riserva spirituale di un'umanità che
sospira e trova in essa la fonte ed il conforto dei suoi
sospiri. Sia che si bagni di languida pensosità come nella
Elegia di Gray o che si esalti in orrido come nell'Ossian,
la natura preromantica è una voce di melanconia che sembra
superare la volontà chiara degli scrittori, come supera
l'equilibratissima libertà cesarottiana. Questa nuova natura
(e si badi bene che l'interesse a questa osservazione cresce
proprio quando alla parola «natura» si dia il romantico
significato di paesaggio dell'anima) non ha più che scarsi
legami con l'orrido barocco che tendeva alla meraviglia
mentre il nuovo orrore tende alla commozione ....
Con il Parini abbiamo già assistito ad uno sforzo per
suggellare ogni nuovo atteggiamento nella perfetta forma
incisiva e classicheggiante, ma ora comparivano non più
sensazioni di cose, ma sentimenti fondamentali che non si
prestavano alla precisa freddezza dei cammei occorreva
tentare un nuovo equilibrio e mentre il neoclassicismo sulle
orme del Parini non riusciva a svilupparsi oltre certi
limiti preziosi, fu (arricchimento preromantico che preparò
il grande romanticismo neoclassico italiano. Il Cesarotti
appunto rappresenta questa apertura della letteratura
italiana ai nuovi motivi e insieme la sua tendenza istintiva
ad assimilarli nelle sue linee più tradizionali. Se noi
abbiamo voluto studiare come il Cesarotti operò per
presentare, per mediare il testo ossianesco osservando anche
le stonature inevitabili derivate dalla coscienza imperfetta
del fondamento del nuovo gusto, dobbiamo ora considerare
questa versione come un testo a sé stante, come il testo
preromantico più importante, come il testo cui guardarono
Alfieri, Foscolo, Leopardi, su cui essi formarono la loro
nuova abitudine ad un canto che fosse misura e sentimento:
sentimento ordinato in una misura che non era più quella
semplicemente tradizionale, di conclusione, di vittoria
formale, rinforzata poi dal loro sostanziale neoclassicismo. |