IL
RISORGIMENTO
E che è
questo risorgimento di Leopardi? Forse è divenuto felice?
No. Anzi è più vivace la coscienza della sua infelicità:
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Mancano, il sento, all'anima
Alta, gentile e pura,
La sorte, la natura,
Il mondo e la bontà. |
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Forse gli
volse un riso la speranza? No. Anzi la sua trafittura è
d'averla perduta per sempre:
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Ahi
della speme il viso
lo non vedrò mai più. |
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Sono mutate
le sue idee sul mondo? L'immagine, l'errore sono non più
errore, ma cosa salda; sono la verità? No.
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Dalle mie vaghe immagini
So ben ch'ella discorda:
So che natura è sorda,
Che miserar non sa;
Che non del ben sollecita
Fu, ma dell'esser solo... |
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La morte
della speranza, l'impura vista della infausta verità, il
sentimento della sua infelicità non è qui affievolito, anzi
vi è ribadito e illuminato. Perché, dunque, si sente
risorto? Cosa è risorto in lui? La facoltà di sentire, di
cui parlava a Jacopssen, o, come ora dice, il cuore. E
perché la vita non è a suo avviso altro che facoltà di
sentire, d'immaginare, d'amare, è in lui risorta la vita; si
sentiva morto, ora torna a vivere. E canta la risurrezione
della sua immaginazione, del suo sentire.
Risorgono i dolci affanni, i teneri moti della prima età;
rivede la bella natura, così come la vedeva allora,
inesperto delle cose; e ora, malgrado l'esperienza della
vita e la vista della verità, sente con meraviglia in sé
«rivivere gl'inganni aperti e noti» . Questa
rappresentazione del suo nuovo stato acquista rilievo da
quello stato di sopore, ove le stesse cose gli comparivano
innanzi morte. Ed hai una rappresentazione, in antitesi,
della natura, così come compariva a lui in quel doppio
stato, morta e viva.
Queste cose non le dice già con quel disordine, con quella
veemenza, con quell'improvviso che è la parola
dell'entusiasmo giovanile. Ha riacquistato i moti e i sensi
della gioventù, ma non l'ingenuità di quella; ora sa troppo,
e parla con ironia della sorda Natura che pure allora
benediceva:
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Purché ci serbi al duolo,
Or d'altro a lei non cal. |
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Il suo
piacere non è puro e non è intero. Qui non c'è l'inno e non
c'è l'ode. Il piacere è contenuto dal sapere, dalla presenza
del vero, che vi appaie come fosca nuvola in cielo sereno;
con questo, che la nuvola qui è l'immutabile verità e il
cielo è la mutabile apparenza. Che importa? Se l'apparenza
dura, non chiamerà spietato l'autore della vita. Non è una
riconciliazione, è una concessione. Consente solo di non
chiamarlo spietato, e «sub conditione», «se».
La situazione poetica non è nel primo momento
dell'entusiasmo, quando egli si sente rivivere, ma in un
momento posteriore o di riflessione, interrogando sé stesso,
riandando la sua vita, e descrivendo e spiegando il nuovo
uomo che s'è formato in lui.
Perciò la poesia prende una forma storica e riflessiva. Non
si dipinge egli nel punto che piange e ammira e il cuore gli
batte. Ha pianto, ha mirato, ha palpitato. Ora ci riflette
sopra. La mente rimane sovrana, e distribuisce con ordine e
con chiarezza tutte le parti, con orditura semplice, con
moto diritto e soave, senza indugio e senza fretta. Non c'è
immagine e non impressione così viva che lo svii e gli rompa
il filo del pensiero.
Le rimembranze non s'affollano, e non s'incalzano, ma si
svolgono l'una dall'altra, come onde del mare. Diresti che
riviva la sua vita nella sua naturale successione. I dolci
affanni della prima età, e quando mancarono, il dolore della
mancanza, e quando mancò il dolore, una tristezza ch'era
ancora dolore, e infine il sopore, abbandonata ogni
resistenza.
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Quasi perduto e morto
Il cor s'abbandonò; |
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questi vari
stati della vita gli tornarono innanzi l'uno appresso
all'altro, l'uno uscito dall'altro. Si può credere che ci
sia un po' di sottigliezza in quel dolore che manca, e nel
pianto del dolore mancato, che è una tristezza, la quale è
ancora dolore. Ma chi ha studiato bene tutte le diverse
stazioni del suo martirio, vedrà che Leopardi è qui non meno
acuto che vero esploratore del suo passato. La finezza e la
profondità dell'osservazione ti costringe a pensare per
coglier bene così delicate gradazioni tra dolore, tristezza
e sopore e, pensando, gusti il piacere intellettuale di
scoprirle vere. Tu senti, e acquisti insieme un abito
riflessivo che ti dispone a spiegare quello che senti. E
tale appunto è il carattere di questa poesia.
Ora che gli sta tutto il passato innanzi, l'uomo nuovo
ricorda quale gli appariva il mondo allora; e lo rifà con i
più brillanti colori di una fantasia ridesta. Quella natura,
che non valse a trarlo dal duro sopore, era pure così bella:
il canto della rondine, la squilla vespertina, il fuggitivo
sole, una candida ignuda mano; e ora la rivede con
sentimento nuovo, e l'accompagna con i più cari vezzi
dell'immaginazione. Questa rappresentazione vivace dà
rilievo a questo stato d'insensibilità ch'egli caratterizza
in pochi indimenticabili tratti, con una chiarezza uguale
alla finezza. Certi contrasti e certi epiteti, come l'età
decrepita e l'aprile degli anni, i giorni fugaci e brevi,
imprimono in questa rappresentazione il moto del sentimento.
Con quel grido di meraviglia e di tenera commozione che il
cieco senza speranza rivede improvviso il sole, con quel
sentimento prorompe qui il grido del redivivo. Non c'è
gradazione, non c'è a poco a poco; il passaggio è brusco,
violento, come innanzi a un miracolo. Non è una evoluzione,
come si dice oggi; è una rivoluzione:
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Chi
dalla grave, immemore
Quiete or mi ridesta
Che virtù nova è questa,
Questa ch'io sento in me? |
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Quasi non
crede agli occhi suoi; non crede quasi ai propri moti.
Dunque, è vero? dunque il core è risorto? Oh sì. E raccoglie
accumula le nuove bellezze e le nuove impressioni con così
precipitevole impeto ritmico, che pare voglia tutto in sorso
assaporare il suo godimento.
Qui è il tuono più alto del sentimento, che va lentamente
digradando. Compare il crudo fato, il tristo secolo,
l'ignuda gloria, la bellezza vuota. In lui non ci è altro di
risorto che il cuore, se pure... E in questo «se» vanisce il
canto, quasi in un sospiro malinconico di una mezza
soddisfazione. Qui tutto è vero, tutto è a posto. Forse c'è
di troppo l'insistenza sulla vacuità della donna, dove
sospetti qualche ricordo personale, che intorbida le
proporzioni dell'armonia, chi sa! un momento di cattivo
umore contro le fiorentine, al quale dà sfogo in una
lettera, o il disprezzo di quella strega bolognese, di cui
scrive a Papadopoli. È un «reliquato», come dicono i medici,
nella vita nuova. E ci trovi insieme un presentimento
dell'Aspasia.
In questo Risorgimento non solo l'asprezza, il latinismo, la
solennità è liquefatta, ma anche il metro e il ritmo. Hai
settenari metastasiani, dei quali il primo versetto
sdrucciola nel secondo, richiamato dalla rima nel terzo, che
va a declinare subitamente nel quarto, formando periodetti
liquidi, veloci, e talora con ripigliate, di una movenza
melodiosa. Le immagini sono vaghe, e le diresti note
musicali, se nella loro generalità non fossero precise. E
son tutte attirate in un movimento ritmico, che,
accompagnato dal gioco vario degli accenti, esprime le
gradazioni del sentimento. Chi ha studiato bene il
meccanismo dei nostri versi, e soprattutto del nostro
potentissimo settenario, in cui la posizione dell'accento
quasi senza limite ti dà le più varie intonazioni, ammirerà
gli effetti musicali che ha saputo cavarne il poeta, come
nato della intensità e della velocità delle impressioni.
Perciò questa si può chiamare la poesia del sentimento o del
cuore.
Essa è il preludio musicale alle nuove poesie, alla sua
terza maniera. |