I LIMITI DELLA
SECCHIA RAPITA
Secondo il Momigliano, il poema del
Tassoni gode di una fama eccessiva: alla felice invenzione
del genere eroicomico e alle suggestive promesse dell'inizio
segue uno svolgimento di maniera, ricavato dai modelli
dell'Ariosto e del Tasso ridotti a dimensioni anguste da una
tendenza al bozzetto e alla macchietta. Soltanto le
Filippiche rivelano nel Tassoni uno scrittore e un uomo di
autentico vigore e impegno.
Alessandro Tassoni ebbe una fortuna ambigua. Cantò
l'eroicomica lotta per una secchia con l'intenzione, dicono,
di deridere le rivalità campanilistiche, e risvegliò, sul
principio del nostro secolo, un culto per la sua memoria, in
cui non si può negare una leggera esagerazione
campanilistica. Fu giudicato dal De Sanctis e da tutti
quelli che non si disperdono in curiosità particolari un
uomo di scarsa vita interiore, e continua a occupare nelle
storie letterarie e nelle indagini critiche un posto
sproporzionato. Molta letteratura del suo secolo ci sembra
oziosa: eppure nei nostri manuali riserbiamo ancora una
pagina per i suoi Pensieri diversi e per le sue
Considerazioni sopra le rime del Petrarca, dove le futilità
hanno certo un peso assai maggiore che i cenni di sana
ribellione contro gli idoli della cultura e della poesia.
Come si spiega che il Tassoni, uomo di rispettabile statura
soltanto in un'opera che gli fu contestata - Le Filippiche
-, ingegno balzano e leggero, poeta di poco superiore ai
burleschi del Sei e del Settecento, attiri su di sé tanta
attenzione?
Le ragioni sono estranee alla storia dell'arte. Il Tassoni
si vantò fondatore d'una «nuova sorte di poesia mista
d'eroico e comico, di faceto e grave»; e molti,
riconoscendogli questo vanto di creatore d'un genere
letterario, in certo modo si lasciarono imporre dalle sue
stesse parole il criterio con cui giudicarlo, e gli
attribuirono a gloria l'aver cominciato una pagina
solennemente per finirla con una buffonata, l'aver mescolato
a capriccio i due toni, e l'aver messo insieme fatti del Due
e del Trecento. Non c'è un'ottava del poema dove,
comicamente o seriamente, risuoni un accento di passione
paragonabile alla descrizione sprezzante della Spagna arida
e degli spagnoli pitocchi che, «avvezzi a pascersi di pane
cotto al sole e di cipolle e radici e a dormire al sereno,
con le scarpe di corda e la montiera parda da pecoraro,
vengono a fare il duca nelle nostre città». Se lo scrittore
delle Filippiche si è avvicinato al tono dei grandi patrioti
della nostra storia letteraria, quello della Secchia è
rimasto al tono misero che è comune a tutta la letteratura
eroicomica del Seicento. L'orizzonte spirituale del poema è
angusto: vi ritroviamo quel fondo tra satirico, burlesco,
libellistico e bizzarro che ha cacciato nell'oblio una gran
parte della poesia e della prosa del tempo; e in quel gusto,
in quella mania di allusioni a costumi e a uomini
contemporanei, sentiamo - assai più spesso che lo stimolo
morale - qualcosa di pettegolo e di ozioso in cui, ancora,
si riflette un po' della fisionomia del secolo.
Proprio da quest'angustia sono nate le poche ottave belle
del poema; e perché sono nate da un angusto atteggiamento
dello spirito, conservano un valore assai modesto. La
Secchia si risolve tutta in una serie di macchiette, in cui
si tradisce l'attitudine a cogliere, per semplice spasso,
gli aspetti triviali della vita e degli uomini. Quello che
non è macchietta - ed è moltissimo -, è facilità narrativa
imparata dall'Aríosto, fasto imparato dal Tasso, impoveriti,
come succede quando l'arte diventa mestiere.
Il Tassoni aveva avuto una mossa felice nella proposizione
dell'argomento: «Vorrei cantar quel
memorando sdegno...»; perfetta dosatura di
canzonatura e di scemenza. L'Ariosto incomincia, risoluto e
impetuoso: «Le donne, i cavallier,
Tarme, gli amori, / le cortesie, l'audaci imprese io canto»;
il Tasso, risoluto e grave: «Canto
l'armi pietose e 'l capitano...»; il Tassoni si
affaccia dal tendone del palcoscenico con una pittoresca
esitazione di giullare che vuol fare il poeta e teme una
scarica di mele marce. Ottima promessa: ma il Tassoni aveva
la vena necessaria per mantenerla. |