Il
Machiavelli artista eroe della tecnica politica
La struttura del Principe ha una chiarezza
architettonica, che non è sempre così perspicua nelle
altre opere. Il capitolo primo è una premessa
introduttiva, un po' magra in verità, ma dove gli
enunciati e le distinzioni dei vari tipi di principato
si disnodano, in forma libere e adulta, senza faticosi
richiami a qualche idea d'ordine generale, come avveniva
nei vecchi trattati di scienza medievale. Uno scrittore
a tipo scolastico procede per dimostrazioni, che sono
forme dissimulate del sillogismo, in cui, attraverso le
idee medie, tutte le proposizioni sono richiamate e
congiunte a una premessa universale...
Il Machiavelli, la trascendenza delle ragioni, in
accordo con tutto il pensiero del rinascimento, è
impetuosamente negata e naturalizzata, così che anche le
premesse d'ordine universale sono come riassorbite e
incorporate nel testo stesso delle singole enunciazioni;
da ciò, la rapidità dilemmatica del suo periodare:
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Tutti gli stati... sono o repubbliche o
principati. E i principati sono: o ereditarii...
o sono nuovi. E nuovi, o e' nuovi sono tutti...
o e' sono membri aggiunti... Sono questi domini
così acquistati, o consueti a vivere sotto uno
principe, o usi ad essere liberi; e acquistonsi
o con le armi d'altri o con le proprie, o per
fortuna o per virtù. |
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È la sintassi adulta della scienza moderna, ovvia e
familiare per noi, nuova e originale per il Machiavelli
e gli altri scrittori, che iniziarono sul finire del
Quattrocento e nei primi del Cinquecento questo tipo
nuovo e liberale di prosa. Non più «clausule ampie», non
più «parole ampullose e magnifiche , o «qualunque altro
lenocinio o ornamento estrinseco, con li quali molti
sogliono le loro cose descrivere e onorare», ma l'arte
che nasce rapida dalle cose.
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Perchè io ho voluto, o che veruna cosa la onori,
o che solamente la varietà della materia e la
gravità del subietto la facci grata. |
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La sintassi machiavellica è già consapevole della sua
libertà e individualità, e, a differenza della sintassi
medievale, gerarchica e cattolica per eccellenza, va
spedita per la sua via, alla maniera liberale,
concatenando le enunciazioni per serie interna: sparisce
il ragionamento a piramide degli scolastici, e si
inaugura il ragionamento a catena, che sarà poi quello
di Galileo e di tutta la prosa scientifica moderna.
Iddio è disceso dai cieli, e anche l'arte ha scorciato
le sue vie...
Ogni concetto astratto si veste in Machiavelli, di una
forma sensibile, c la corpulenza di certe sue metafore e
di certi suoi paragoni si accorda col carattere
intimamente naturalistico del suo pensiero. In un
pensatore idealista, le immagini, anche corpose, sono,
più che sia possibile, spiritualizzate, perché non
urtino bruscamente il tessuto metafisico del proprio
pensiero; ma, in un mondo di pensiero quale quello
dell'età del rinascimento, tutto maturato dalla vita
esterna e sensibile, la idealizzazione delle immagini la
si ottiene con un processo di più risoluta e popolare
assimilazione alle stesse cose della natura. Così lo
stato, che è concetto per eccellenza astratto è visto
nella logica della sua formazione naturale, e
istintivamente si lascerà tradurre nelle immagini della
vegetante natura («li stati che vengono subito, come
tutte le altre cose della natura che nascono e crescono
presto, non possono avere le barbe e corrispondenzie
loro; in modo che el primo tempo avverso le spegne»; e
le troppo frequenti innovazioni costituzionali saranno
deprecate, « perché sempre una mutazione lascia
l'addentellato per la edificazione dell'altra », con il
materiale richiamo ai risalti che si lasciano nei muri
esterni delle fabbriche, per potervi collegare altre
fabbriche) .
E la fortuna, che era una figura allegorica orinai
convenzionale, riesce nella prosa del Machiavelli a
nuova vita: essa è sempre natura animata, in ogni
momento, e il suo dar favori si traduce in un «mettere
in grembo», ed essa ora sarà assomigliata «a uno di
questi fiumi rovinosi che, quando s'adirano, allagano e
piani, ruinano gli alberi e gli edifizii, lievano da
questa parte terreno, pongono da quell'altra»; e ora
apparirà donna, e, come donna, più amica dei giovani,
«perché sono meno rispettivi, più feroci, e con più
audacia la comandano». «Ed è necessario, volendola
tenere sotto, batterla e urtarla», chiosa lo scrittore,
con quello stesso senso ghiotto, spregiudicato e
scherzosamente antiuxorio che gli aveva ispirato la
novella di Belfagor, e che riassumeva la comune
persuasione, radicata fin dalla novellistica del
Boccaccio e del Sacchetti, che la donna andava tenuta
sotto e castigata, e più la batti e ti mostri uomo, e
più ti vuol bene. Anche l'immagine del Centauro doveva,
assai efficacemente, simboleggiare il concetto del
rinascimento, che il mondo per una parte è dominio
dell'uomo e per l'altra è dominio della natura,
cosicché, anche nel più limitato campo della politica,
conviene usare l'una e l'altra natura, la bestia e
l'uomo, ché l'una senza l'altra non è durabile. E poiché
l'immagine è di quelle che nascono in viva immediatezza
di pensiero, ecco che il Machiavelli non vi insiste
dentro, subito l'abbandona, e da essa gemina l'altra
famosa metafora della golpe e del lione, del lione che
non si difende dai lacci, e della golpe che non si
difende da' lupi, e «bisogna adunque essere golpe a
conoscere e lacci, e lione a sbigottire e lupi»...
Bisogna proprio parlare di un tono e di una energia
popolare, nella prosa del Machiavelli, la quale riesce
ad essere, in ogni momento, un meraviglioso impasto di
lingua e sintassi colta e di lingua e sintassi popolana.
L'uomo che sa vestire la veste quotidiana, piena di
fango e di loto, e sa poi rivestirsi condecentemente di
panni reali e curiali, è simbolo dello scrittore, che è
classico e popolare, dotto e istintivo, complesso e
immediato al tempo stesso. Parlerà dell'invasione degli
stranieri in Italia, di queste «illuvione esterne», con
frase di stampo latino, e in cui si avverte una leggera
reminiscenza del petrarchesco «oh diluvio, raccolto di
che deserti strani», e, subito dopo, con plebea vigoria,
uscirà a dire «a ognuno puzza questo barbaro dominio»;
parlerà di uomini liberali e di uomini miseri, liberali
e larghi donatori, miseri e gretti, liberali nel
significato aulico, miseri nel significato paesano, e lo
scrittore troverà il tempo di indugiarsi nella delizia
di una distinzione linguistica: «usando uno termine
toscano, perché avaro in nostra lingua è ancora colui
che per rapina desidera di avere, misero chiamiamo noi
quello che si astiene troppo di usare il suo». Ma, a
ogni momento, la commistione tra elementi aulici ed
elementi popolareschi è così piena e perfetta, nella
prosa machiavellica, che riesce perfino difficile
separare gli uni dagli altri, tanta è l'unità del
sentimento che li produce; e talora è una determinazione
verbale popolaresca, un torgnene, un ammazzorno, e tal'altra
una inflessione sintattica della lingua parlata, che dà
un suo tono, una sua particolare sfumatura, a un periodo
tutto dotto e latino, e lo trasfigura. Se mai,
potrebbero essere citati alcuni pochi esempi negativi,
là dove il Machiavelli, discorrendo di Agatocle, di
Nàbide o degli imperatori del basso Impero parafrasa
scrittori antichi, Giustino o Erodiano o altri, e allora
la sua fantasia non è molto commossa e la sua prosa
viene latineggiando più del solito, perdendo quella
particolare tempera popolana, che è la sua forza.
Per questo piglio popolaresco e parlato, si spiega anche
quel tono di disputa animata che, spesso, qua e là, ha
il Principe: cotesta non è una elucubrazione di uno
studioso solitario, ma di un uomo che sente di fronte a
sé allocutori ed obbiettanti, e tutti vuole persuadere e
controribattere, come se il Machiavelli, pur indossando
panni reali e curiali, non sapesse dimenticare del tutto
la sua osteria e il suo tricchetrach, «dove nascono
mille contese e infiniti dispetti di parole iniuriose».
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E se alcuno dicesse: el re Luigi cedé ad
Alessandro di Romagna ecc..., respondo, con le
ragioni dette di sopra; ecc. ecc... E se alcuni
altri allegassino la fede che il re aveva
obligata al papa ecc. ecc... respondo con quello
che per me di sotto si dirà circa la fede de'
principi e come la si debba osservare.
... A Carlo re di Francia fu licito pigliare la
Italia col gesso. E chi diceva come e' n'erano
cagione e peccati nostri, diceva il vero; ma non
erano già quelli che credeva ma questi che io ho
narrati... |
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Da questo contenuto fervore polemico provengono le
spezzature e irregolarità sintattiche, che sono la
disperazione dei grammatici. Si potrebbe dire che il
Machiavelli abbia una predilezione particolare per il
soggetto d'affezione, anche se taciuto, più che per il
soggetto grammaticale; nel suo libello-capolavoro, poi,
il principe è sempre il protagonista della sua
immaginazione, sicché mentalmente ci si riferisce a lui,
anche quando manca l'evidenza e la regolarità
dell'espressione grammaticale, ed esso governa non solo
popoli, ma anche periodi complicatissimi, in cui,
istintivamente, tutto ciò che riguarda la sua attività
di soggetto affettivo, è ricacciato in proposizioni
accidentali e parentetiche; cosicché il periodo, pur
nella sua laboriosa complessità, ha un movimento
rettilineo, dominato dall'alto con reticente imperiosità
e concluso e serrato da un qualche rapido ed animoso
verbo finale. E talvolta avvengono delle acrobazie
pericolose, come in quel luogo, dove si discorre del
buon Giovanni Fogliani e del perfido suo nipote,
Oliverotto da Fermo, quando tutto a un tratto lo
scrittore si dimentica del galantuomo per correre dietro
alla canaglia, che è soggetto più espedito e più
avvincente.
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Non mancò, pertanto, Giovanni di alcuno offizio
débito verso el nipote; e, fattolo ricevere da'
Firmiani onoratamente, si alloggiò nelle case
sue. |
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Dove il soggetto di quell'alloggiò non è più l'officioso
Giovanni, ma il «diabolico» Oliverotto :
«sintatticamente questo è un grave errore», commenta
inorridito un interprete, ma la fantasia dello scrittore
ha una sua grammatica particolare e leggi proprie, in
cui gli uomini dabbene non hanno troppo posto e voce in
capitolo e sono troppo deboli soggetti.
Insieme a questa epopea sintattica dell'individuo
«virtuoso», un'altra epopea scorre nella prosa
machiavellica: quella delle «cagioni» delle cose. Non
più il dantesco «state contenti, umana gente, al quia»,
ma un impetuoso ed affollato desiderio di rendersi conto
di tutto, e di spiegar tutto con ragioni di questa
terra. «La cagione è in pronto», rincalza il
Machiavelli, quando si lascia andare a qualche aforisma
un po' scandaloso: egli non ama i paradossi; le sue
verità vogliono essere verità piane ed obbiettive, a cui
tutti debbono accedere, e, a ogni passo, c'è la chiosa
con la sua ragione. E le «cagioni», verbalmente
manifeste o sottintese, riempiono le pagine del nostro
scrittore:
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Noi abbiamo in Italia, in exemplis, il duca di
Ferrara: il quale non ha retto alli assalti de'
Viniziani nello '84, né a quelli di papa lulio
nel 'io, per altre cagioni che per essere
antiquato in quello dominio. Perché el principe
naturale ha minori cagioni e minore necessità di
offendere: donde conviene che sia più amato; e,
se estraordinarii vizii non lo fanno odiare, è
ragionevole che naturalmente sia ben voluto da'
sua. E nella antiquità e continuazione del
dominio sono spente le memorie e le cagioni
delle innovazioni. |
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Un periodo, tra i mille, a caso, in cui, in breve giro,
le cagioni si accampano a ogni passo: questo è il mondo
della natura, il mondo delle cose, che hanno la cagione
in altre cose, e però uomini ed avvenimenti e pensieri e
sentimenti sono in rapporto perpetuo di cause. Noi
moderni veniamo abbandonando questo rapporto di
causalità, e le cause, nel loro valore naturale esterno
e deterministico, spariscono per cedere alla logica
interna che nasce e si sviluppa nell'intimo delle cose
stesse e degli avvenimenti; ma, per il Machiavelli,
felix qui potest rerum cognoscere causas! Egli esce e si
oppone al mondo medievale, dove tutto ha una sola
ragione, e trascendente e lontana nei cieli, che è Dio;
ora c'è da conquistare tutto un Inondo terrestre,
scoprire nuove terre e nuove acque. Da ciò la ressa,
quasi allegra, delle «cagioni», nel suo periodare.
Come poi da uno scrittore, così impetuoso e istintivo di
temperamento, nasca il fermo ed epigrammatico incisore
di regole e massime, è il miracolo senza miracolo,
dell'uomo di genio, che, dalla polemica più soggettiva,
sa riuscire alla scienza più obbiettiva, per disciplina
vigorosa dei suoi sentimenti. Ma è chiaro che in tanto
la disciplina è vigorosa, in quanto i sentimenti essi
stessi sono vigorosi, e disciplina e sentimento sono una
cosa sola, ché là dove il sentimento è profondo ivi è
disciplina, e solo le passioni della superficie
rifuggono dall'ordine e dalla legge. |