Inquietudine e risolutezza del Manzoni
Si deve ammettere che il
Manzoni fu un osservatore singolarmente acuto e preciso
della paura, e che se questo non ha riscontri molto
certi con la sua vita pratica, ne ha però alcuni
evidenti con la sua vita ideale. Ci sono affinità fra la
paura e l'esitazione da una parte, il dubbio e la
cautela del pensiero dall'altra. Un giorno il Manzoni
disse alla contessa Maffei che il dubbio lo uccideva.
Infatti leggendo le sue riflessioni, i suoi
ragionamenti, abbiamo spessissimo l'impressione che egli
abbia paura delle conseguenze delle sue affermazioni: in
lui coesistono, senza contraddirsi, la timidezza e l'intrepidità
del sentimento, l'incertezza e la risolutezza del
pensiero. Ci ritorneremo sopra, perché questa è una
delle caratteristiche capitali della sua mente.
Tali incertezze speculative che, come vedremo, hanno il
loro primo fondamento nella larghezza dello spirito del
Manzoni, si mescolano con talune forme tormentate di
pensare, le quali possono avere una segreta
corrispondenza nel tormento dei nervi, ma derivano per
lo più da una singolare e un po' anche bizzarra acutezza
di mente. Che egli amasse il paradosso, fu osservato da
più d'uno: ma bisogna aggiungere che molti dei suoi
paradossi consistevano più nell'apparenza che nella
sostanza, e spesso la singolarità dell'espressione era
cercata solo per dar maggior rilievo ad una verità
indiscutibile. Cioè, tra i suoi paradossi ve ne sono,
oltre quelli esclusivamente formali - che sono
propriamente arguzie, o anche solo bisticci, - altri
materiali - che sono veri modi insoliti di pensare e di
giudicare -, e altri dove la bizzarria della parola
serve soltanto a dare un rilievo nuovo ad un'idea
vecchia.
Contro il comune buon senso una mente in fondo così
equilibrata come quella del Manzoni non poteva andare:
quindi il vero paradosso in lui è raro. Sono però
frequenti le complicazioni che mostrano, sopra uno
sfondo di sicuro buon senso comune, la trepidazione
della mente avvezza ad una troppo minuta anatomia: il
pensiero; in fondo certo di quel che deve asserire,
oscilla però qualche istante fra due affermazioni
contrarie. È, come vedremo, il riflesso formale della
condizione essenziale della coscienza del Manzoni, certa
nelle conclusioni ultime, dubbiosa nei casi singoli e
nelle piccole deduzioni.
In lui era sovrapposto all'uomo comune, dalla fede e
dalla morale salde e semplici, l'uomo riflessivo: perciò
si scorge sempre, accanto alle sue convinzioni religiose
e morali incrollabili, un certo scetticismo scientifico;
quel dubbio filosofico che può sembrare uno strano
contrasto alla fede del Manzoni, ma che ha una
naturalissima spiegazione nella sua indole indagatrice e
forse nella sua cultura filosofica francese. Fatta
astrazione dai dogmi, egli si mette dinanzi ad un
oggetto come se tutto quello che lo riguarda e che si
ritiene come certo, dovesse nuovamente esser vagliato. E
talora appunto da quest'ansia inquisitrice viene fuori,
come espressione di quest'ansia stessa, di questo
desiderio di vedere con occhi propri le verità
conosciute, quella forma ora antitetica, ora
epigrammatica, ora epigrafica, che dà alla verità un
rilievo bizzarro o singolare. Il Manzoni era una mente
insonne, che trovava il dubbio e la novità anche negli
oggetti più certi e più vecchi, e si compiaceva di
rilevar l'insolito dove i più non lo vedono: perciò, per
esempio, alcune situazioni del suo romanzo poterono
sembrar paradossali al Bellezza, mentre il loro aspetto
è dovuto qualche volta soltanto al modo particolare di
metterle in rilievo.
Anche i frequenti contrasti di parole sono prova, più
che di bizzarria, della facilità con cui il Manzoni
notava gli aspetti singolari delle cose e vedeva le due
facce opposte d'un medesimo fatto, oltre che del senso
che egli aveva della relatività delle verità logiche ed
umane in confronto colle verità eterne, le quali sono
oggetto del sentimento prima che del pensiero.
Da quest'insieme di atteggiamenti ci viene l'impressione
d'un ingegno che sotto una sicurezza fondamentale
nasconde un agitarsi di dubbi, un'inclinazione a coglier
delle cose più l'incerto che l'indiscutibile. un
irrequieto amor di discussioni, di cautele, di pensieri
a molte facce. Questo stato d'animo e di mente è
benissimo riflesso in questo periodo dell'epistolario,
che devo citare un'altra volta: «Ardito finché si tratta
di chiacchierare fra amici, nel mettere in campo
proposizioni che paiono, e saranno, paradossi e tenace
non meno nel difenderle; tutto mi si fa dubbioso,
oscuro, complicato, quando le parole possono condurre a
una deliberazione». Teme la conclusione. E questo dubbio
del pensiero, che accumula le considerazioni e non sa a
quale dar la prevalenza, si riflette poi nello stile
minuzioso, nelle frequenti restrizioni, nei frequenti
incisi, nelle parentesi, nelle volute ripetizioni di
parole, in una sottigliezza che può parere un po' vuota
ed è invece il riflesso di un pensiero che si tortura
nello scrupolo dell'esattezza. |