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CRITICA: IL NEOCLASSICISMO
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IL NEOCLASSICISMO DEL MONTI E
DEL FOSCOLO
Il Monti risentì l'influenza del
Savioli e di qualche savioliano:
chi legga «L'aura armonica» del
Mazza e la sua imitazione dal
Mason «La melodia », coglie
accenti e atteggiamenti teatrali
che si ritroveranno nella
«Prosopopea di Pericle» e
nell'ode al Montgolfier; e chi
lega «La parola di Dio» del
Paradisi, vi trova non solo
motivi de «La bellezza
dell'universo», ma anche
atteggiamenti teatrali che sono
già di gusto montiano. Il Monti,
appunto, trasformò in barocco il
rococò del Savioli. Nelle due
odi citate egli tendeva già
verso la scenografia, che
occuperà la parte centrale e più
caratteristica di tutta la sua
opera. Verso la fine del secolo
il gusto della poesia passava
dalla delicatezza fragile del
Savioli e dalla correttezza
incisiva del Parini al vistoso e
al monumentale. La letteratura
delle visioni, la poesia
sepolcrale e ossianica, gli
avvenimenti e le scene della
rivoluzione francese e il
costume romano in cui essa amava
pompeggiarsi, e, in seguito, le
ambizioni classiche di Napoleone
contribuirono alla formazione
dell'ibrido neoclassicismo del
Monti, intessuto di reminiscenze
classiche e di fastose e talora
truculente prosopopee e
coreografie.
L'età del Monti è anche quella
dei grandi balli di soggetto
mitologico o storico-classico.
Certe scene dei poemetti
montiani ci riportano vagamente
al gusto del tempo, coreografico
non meno delle visioni della
letteratura epica ed
epico-lirica che nel costume. La
letteratura del periodo
napoleonico, impersonata dal
Monti, ma precorsa e continuata
da molti minori, è
essenzialmente esteriore,
decorativa, spettacolare. Grandi
spettacoli sono, nel Bardo della
Selva Nera, il gigantesco
fantasma che preannunzia le
stragi della campagna d'Egitto;
nella Basvilliana, la triste
processione allegorica delle
porte di Parigi, la bilancia di
Dio che pesa «il fato della rea»
città, i sanguigni fantasmi dei
Druidi macabramente tripudianti
alla decapitazione di Luigi XVI,
le ombre dei regicidi che la
eseguiscono, i cherubini che
vegliano il corpo del re ucciso,
la Fede e la Carità che ne
raccolgono il sangue in coppe
istoriate; nella Mascheroniana,
Dio che, circondato dalla corte
celeste, pesa i dolori e i
delitti degli uomini e, sentite
la Giustizia e la Pietà,
«devolve» a Napoleone «il
castigo d'Europa e la salvezza»:
due cherubini, in mezzo a un
cielo di qua sereno di là
procelloso, consegnano al
condottiero l'ulivo e la spada.
La fantasia che ha immaginato
queste scene non è molto diversa
da quella che immaginerà le
coreografie del Mistico omaggio,
del Ritorno d'Astrea e
dell'Invito a Pallade.
Queste rappresentazioni sono
fatte con gran lusso di
figurazioni allegoriche: motivo
vecchio della nostra letteratura
classica. Ma le personificazioni
del Monti non hanno né l'esile
sobrietà del Poliziano, né
l'evidenza dell'Ariosto; sono
invece, quando non dànno nel
truce, figurazioni accademiche,
da accostare, per la loro
freddezza, alle allegorie che
furono l'arsenale della scultura
ufficiale e funeraria di un
secolo e più. Di questi
monumenti atteggiati ad una
superficiale compostezza
classica o ad un'appariscente
grandiosità romaneggiante sono
disseminate le opere del Monti.
Il neoclassicismo del Monti è,
assai più che precisione di
stile, opulenza stilistica e
mitologica e convenzionalità
figurativa e decorativa. Il
Pianto, le Cure, la Follia, il
Bisogno, l'Inerzia, la Fame, la
Guerra, le Erinni, ecc. che
stanno alle porte di Parigi, e
le consimili persone che
infestano il palazzo governativo
della Cisalpina, sono
rneccaniche reminiscenze di
classici; altre, di altre
letture. Il Monti attinge ai
suoi autori come i pittori e gli
scultori attingono alle
iconologie gli elementi per la
figurazione di entità astratte.
Chi volesse studiare le
manifestazioni deteriori della
pittura e della scultura del
tempo, vi troverebbe la stessa
frigidità allegorica della
poesia del Monti.
Quello che le conferisce il
carattere di classicismo
deteriore, è il modellarsi sopra
uno stampo, e, sopra tutto, il
fittizio amore per l'evidenza.
Le virtù intorno al letto di
morte del Mascheroni: Le Virtù,
che diverse e pellegrine La
vestir mentre visse, il mesto
letto Cingean bagnate i rai,
scomposte il crine »; l'anima
del Parini, nella costellazione
della Lira, afflitta per le
sventure d'Italia: «Sovra un
lucido raggio assisa in calma,
L'un sull'altro il ginocchio, e
su i ginocchi L'una nell'altra
delle man la palma»; l'ombra
dell'Ariosto, sdegnato per i
vizi d'Italia: «Sovresso un
marmo sepolcral seduta Stava
l'afflitta, e della manca il
dosso Era letto alla guancia
irta e sparuta». Atteggiamenti
convenzionali di cui potete
trovare cento esempi in piazze e
cimiteri.
Non migliore è la figurazione
eroica. Rileggete il canto sesto
del Bardo e il passo del
Prometeo dove è ritratto il
Bonaparte che, precorso da
Bellona, scende dalle Alpi, "e
su le porte cozie L'italo genio
spaventato affacciasi". Lo
stesso amore per la
monumentalità allegorica e
coreografica trapela dai cenni,
sia pure rapidissimi, della
canzonetta «Per la battaglia di
Marengo»: dalla descrizione del
Bonaparte che, vedendo il pianto
sul ciglio dell'Italia, impugna
il suo fulmine e vola in suo
soccorso; dalla trasfigurazione
classica del grande condottiero
in Marte con l'asta in pugno;
dalla rappresentazione del Tempo
che abbassa reverente le ali
sulla tomba di Desaix; dal
colloquio sulla «cozia orrenda
valle» fra l'ombra di Desaix e
quella di Annibale. La
canzonetta è concitata e
fiammeggiante d'immagini: rima
cela nelle sue pieghe i riflessi
del gusto classiccheggiante e
scenografico del tempo, di quel
gusto che il Monti stesso aveva
iniziato con «La prosopopea di
Pericle» e che egli continuò fin
verso la fine della vita.
Del suo gusto monumentale
abbiamo osservato i segni più
visibili: ma il suo stile ne è
un indizio quasi continuo. Non
vi troviamo epiteti oraziani, ma
similitudini a largo sviluppo,
un fare ampio e una pompa
regale. Non potremmo disgiungere
dal periodo napoleonico la sua
traduzione dell'Iliade: dell'ira
di Achille vi è detto in
principio: «Molte anzi tempo
all'Orco Generose travolse alme
d'eroi»: anche in questa frase
c'è un po' della pompa del
tempo: ci sento il ritmo d'una
fastosa cavalcata funebre.
Ma già in questo periodo il
Monti cominciava a mescolare al
suo solito stile un altro più
sobriamente dignitoso e più
fine. L'ode per il parto della
vice regina d'Italia ricorda il
Parini, e non solo per il metro:
la monumentalità di qualche
verso che vi celebra Napoleone è
senza fragore e più veramente
classica di un tempo, le
personificazioni sono più
sobrie, tutto l'andamento è più
composto. Infine, qualche
figurazione è di una finezza che
ha fatto pensare a Foscolo e a
Canova. Non solo l'Angelini ha
parlato di un'affinità con il
Foscolo a proposito del Monti
degli ultimi decenni.
Qualche cosa di neoclassico c'è
già in pochi passi dell'Ortis.
Non parlo del tema della
bellezza serenatrice, che
ritorna non di rado
nell'esaltazione di Teresa, ma
del costume e delle figurazioni
esteriori: dell'immagine di
Teresa che suona l'arpa, quasi
anticipando un quadro delle
Grazie («i suoi divini occhi
nuotanti nel piacere, il suo
viso sparso di un soave
languore, il suo braccio di
rose, il suo piede, le sue dita
arpeggianti mollemente, tutto
era armonia»), e di quella
visita mattutina ad una patrizia
di Padova, rappresentata come
una rugiadosa dea che si leva
dal talamo, e vagheggiata nelle
sue forme con finezza d'un
pittore e d'uno scultore
neoclassico. Ma più che questo
neoclassicismo del costume ci
interessa quello dell'arte.
Il Foscolo delle Grazie
riconduce il neoclassicismo
verso i principi del Winckelmann,
e mira come a suo ideale al
Canova : del quale egli scrive:
«E tu che ardisci in terra
Vestir d'eterna giovinezza il
marmo». Tutti frammenti, si può
dire, riflettono quel lume di
giovinezza. Ma sotto quei
profili così puri di divinità,
di poeti e di paesaggi palpita
ancora un po' della passione dei
Sepolcri: soltanto la tristezza
è temperata in malinconia, e
tutti i sentimenti sono
allontanati dalla vita e dal
cuore, vagheggiati come ricordi
più che sentiti come stimoli di
vita, e divenuti anch'essi
motivi di quell' «aurea beltade
ond'ebbero Ristoro unico a' mali
Le nate a vaneggiar menti
mortali». Le Grazie ci
ricollegano alle odi, dove tutto
è veduto sotto la luce d'Olimpo:
ma ne approfondiscono i motivi e
le immagini. Il Praz ha potuto
illustrare le odi con richiami a
temi figurativi pompeiani e del
Primo Impero; ma tali richiami
per le Grazie sarebbero
insufficienti. Fra queste e le
odi corrono parecchi anni di
studi e di vita: nelle Grazie il
senso della grecità si è fatto
più sottile e l'aspirazione
all'armonia interiore si è fatta
più profonda, Direi quasi: si è
fatta prepotente: ne sono un
indizio la rappresentazione
della poesia del Petrarca; molto
diversa da quello che ne dirà il
Foscolo critico sopra tutto
quella del Decameron, immersa in
un'elisia serenità di piagge, di
Ninfe e di Fauni.
Queste figurazioni sono regolate
dalla legge che domina nel
poemetto, dove tutti i mezzi
espressivi sono alleggeriti con
una sovrana finezza. E perciò
quello che nelle Grazie
assomiglia alla scultura non è
statua ma bassorilievo: e le
pitture sono un'armonia di
colori limpidi e morbidi, e
sembrano immagini riflesse in un
lago immobile in un primo
mattino di sole, e i motivi
musicali suonano stupefatti in
un'aria tranquilla.
La tendenza al bassorilievo era
già visibile qua e là nei
Sepolcri: le Ore future che
danzano, vaghe di lusinghe; la
Speme che fugge i sepolcri; il
mortale fermato dall'illusione
sul limite di Dite; le Muse che
«Siedon custodi dei sepolcri e
quando il Tempo con sue fredde
ali vi spazza Fin le rovine»,
«fan liete Di lor canto i
deserti». Si può cogliere forse
anche con più evidenza nelle
Grazie, dove la tendenza a
profilar figure e a formar
gruppi o quadri è, per la natura
stessa del poema, più manifesta:
e specialmente nel frammento del
«Velo», dove le Ore , le Parche,
la Giovinezza che «canta fra il
coro delle sue speranze», mentre
il Tempo «percote a spessi
tocchi» il suo plettro e le
Grazie destano fiori a' suoi
piedi e il convito dove il Genio
va in volta coronando le tazze e
in disparte siede «Il Silenzio
arguto in viso e accenna Che non
fuggano i motti oltre le
soglie», sono, si voglia parlar
di bassorilievi o di pitture,
profilati appena, con un
abbandono assoluto della
monumentalità, perché il lettore
senta che in essi le forme non
sono che l'adombramento dello
spirito. Il Foscolo, infatti,
primo e solo fra tutti i
neoclassici, è riuscito a
infondere un'anima nelle forme
classiche suscitate dal Savioli
per vaghezza d'eleganza e dal
Monti per vaghezza di
grandiosità. Nelle Grazie vi
sono atteggiamenti squisiti di
danzatrici, consoni al gusto del
tempo, e sonatrici d'arpa e
cigni, cari anch'essi alle arti
figurative di quegli anni, ma
c'è sopra tutto una spiritualità
raffinata da un senso della
natura purificatrice e
incantatrice dell'arte, quale
non ebbero nemmeno Winckelmann e
Canova. Espressione di questa
spiritualità sono i colori
freschi e silenziosi stesi sopra
le cose, la linea delle figure
leggera come un ritmo di canto,
e quella musica che si libra sui
passi ispirati e dissolve la
faticosa vita nella serenità
della visione e del ricordo.
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Attilio
Momigliano | |
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