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CRITICA: IL NEOCLASSICISMO
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LA POETICA NEOCLASSICA IN ITALIA
Nella poesia delle Grazie il
lungo e complesso movimento
neoclassico italiano trova la
realizzazione più alta e il
superamento delle sue
aspirazioni; allo stesso modo,
nella poesia di Hólderlin e di
Keats la tormentosa tensione
romantica verso una bellezza
imperitura trova la sua
superiore soddisfazione in linee
candide e appassionate. Certo la
poesia neoclassica, che in
Italia sorge sullo stimolo di un
movimento culturale
internazionale dovuto alla nuova
vitalità romantica, acquista la
sua forza maggiore quando si
alimenta di sensibilità
schiettamente nuova pur
facendosi a un certo punto,
sulla rottura di linee ben
definite, momento distinto e
contrastante con alcune precise
tendenze romantiche. Mosso da
una sostanziale fede romantica
in un assoluto di bellezza senza
tramonto, in una perfezione che
sorge sulla coscienza di una
caducità dolente e viene
ritrovata nelle forme e nei
gesti perfetti ed ideali di una
rinascita dell'arte antica, il
neoclassicismo vive nella sua
punta più alta quando la
passione romantica soffonde di
calore la impeccabile linearità,
e una segreta furia freme nel
candore di forme pacate e
consolatrici.
Ma per giungere a questa
altissima sintesi letteraria che
in Italia è rappresentata dal
Foscolo e soprattutto dalle
Grazie, precise
cristallizzazioni di ideali
estetici e di precetti tecnici,
precisi indirizzi di linguaggio
su giustificazioni anche diverse
(cartesianismo, arcadia,
illuminismo sensitivo)
prepararono in un largo
movimento di gusto, specie nel
secondo Settecento, una linea
distinta dal più integrale
preromanticismo, teso, sia pur
rozzamente e con numerosi
equivoci, alla esaltazione
poetica di una sentimentalità
scoperta e valida per la sua
intensità, come preludio alle
forme romantiche del concreto,
della suggestione mistica,
dell'ineffabile musicale.
Indubbiamente molto spesso nella
storia complessa del secondo
Settecento, di quegli anni
felici di ricca vita (quando in
Italia si intrecciano un
illuminismo ritardato e
raccorciato con gli spunti di
una nuova sensibilità e di un
preciso gusto neoclassico),
sintesi personali si operano su
elementi preromantici e
neoclassici (e magari su residui
arcadici e illuministici) - si
pensi al Pindemonte e al Bertola
- ed è difficile distinguere la
grazia di un arcade dell'ultima
maniera dalla grazia tenera e
sentimentale degli imitatori di
Gessner e da quella di cui
parlano il Mengs o più tardi la
Teotochi-Albrizzi.
Ma pur nella identità dei
termini e nella chiara
mescolanza dei motivi, basta
pensare in concreto al «sublime»
per indicare le direzioni
divergenti delle due poetiche
nelle loro punte più pure: per i
preromantici l'idea del sublime
è quella delle immagini
ossianesche (notti tempestose,
immani catastrofi della natura,
scene di orrore macabro: la
natura in tormentata tensione,
la sensibilità eccitata e
valorizzata da orrore e dolore),
per i neoclassici il sublime è
il passo sicuro ed uguale di
Apollo che scende tremendo e
sereno. «Mettean le frecce
orrendo Su gli omeri all'irato
un tintinnio Al mutar de' gran
passi; ed ei simile A fosca
notte, giù venia»: è un gesto
statuario in cui la tensione e
il movimento sono sublimati in
calma superiore, contenuti sotto
un fremito superficiale. Tale è
l'immagine del mare che se pure
agitato in superficie è nel suo
fondo perennemente tranquillo, e
tale è quella contraria e simile
del dio irato e minaccioso, ma
impassibile nel gesto superbo e
divino, che ricorrono, non per
caso, in vari teorici e poeti
neoclassici.
Edle Einfalt und stille Grósse,
contrappone idealmente
Winckelmann alla definizione
della poesia di Diderot (valida
anche per le punte ideali del
più moderato preromanticismo
italiano) come di una qualità
che ha in sé «quelque chose
d'enorme et de barbare».
Il gesto pieno di significato
spirituale, di intima e sublime
calma, corrisponde, nella sua
volontà di traduzione immortale,
alla suprema saggezza colorata
stoicamente in David o
edonisticamente in Mengs,
ispiratrice dell'alta dolcezza
delle Grazie foscoliane che il
variare di dolori e illusioni
traducono in un gemito o in un
sorriso ugualmente dolce:
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... poi che sonanti
rimembran come il ciel
l'uomo concesse
alle gioie e agli
affanni, onde gli sia
librato e vario di sua
vita il volo,
e come alla virtù guidi
il dolore,
e il sorriso e il
sospiro errin sul labbro
delle Grazie, e a chi
son fauste e presenti,
dolce in core ei
s'allegri e dolce gema. |
Mentre si deve dunque affermare
per il neoclassicismo, nelle sue
posizioni più profonde, la
qualità di corrente nata nel
grande alveo romantico, si deve
però ben distinguere la sua
particolare precisione di ideali
estetici o, meglio, poetici,
perché se il suo contributo alla
storia dell'estetica è scarso
(chiuso nel forte limite
edonistico-moralistico, ben
altra importanza ha avuto nella
creazione di un gusto e di una
poetica operante in tecniche
diverse, ma con principi
omogenei ritrovabili in quelli
che furono i teorici del
neoclassicismo figurativo e che
rappresentano, fra il '60 e l'80
circa, la chiarificazione e la
unità dei vari tentativi
eclettici e classicistici
attuati anche precedentemente
durante il secolo nel campo
figurativo e nel campo della
poesia. Con essi la poesia
neoclassica assume la sua vera
validità, appoggiata e ispirata
come è dalle arti figurative,
dalle arti del disegno, come
essi dicevano quasi rilevando
per noi il predominio della
linea sul colore, della figura
sul pittoresco sfumato del
rococò. Come il preromanticismo
attraverso il suo impeto
sentimentale e contenutistico
aveva cercato cadenze musicali
(e il romanticismo tenderà tutto
alla condizione della musica,
massima espressione
dell'ineffabile, dell'unitario,
così il neoclassicismo si
arricchisce di immagini
pittoriche e scultoree, adegua
la sua poesia alla linearità, al
disegno, a quell'incontro ideale
e stereotipo
Raffaello-Correggio-Tiziano in
cui Raffaello vinceva per la sua
purezza espressiva, per la sua
vicinanza (imperfetta rispetto
ai Greci) alla scelta della
bella natura, alla perfezione
del bello ideale. E sono questi
i massimi canoni di un gusto che
reagiva inorridito (ne possono
essere prova molte risposte del
concorso di Mantova del 1784
sulla decadenza del gusto nelle
lettere) a quell'esaltazione
preromantica dell'istintivo, del
caratteristico, dell'espressione
libera, violenta ed efficace,
che doveva sembrare ad essi una
specie di poetica del brutto,
una poetica profanatrice
dell'unità di umano e divino
nelle forme di una bellezza
composta secondo la figura
umana, e idealizzate, scelte in
contrapposizione con i caratteri
vivi e realistici di una
drammatica e brutale vitalità.
Il mito del bello ideale,
l'ideale antropolatrico della
bellezza della figura umana
idealizzata e portata a perfetta
proporzione (si pensi al massimo
modello per i neoclassici
dell'Apollo del Belvedere e alla
descrizione, alla appassionata
poesia che gli dedica
Winckelmann) sono proprio al
polo opposto della poetica
preromantica che aspira alla
creazione di caratteri intensi,
magari al carattere semiferino
di Calibano (e proprio dello
shakespeariano Calibano il
Baretti fa una preromantica
esaltazione contro il
classicista Voltaire nel suo
importantissimo Discours sur
Shakespeare et Monsieur de
Voltaire), per avvicinare
l'umano all'espressione più
violenta ed istintiva di una
selvaggia natura. Natura bella
scelta ed idizzata contro la
natura selvaggia: validità della
poesia nel suo adeguars a ritmo
della natura (il grido del
giovane Goethe di fronte ai
personaggi di Shakespeare: «Ich
rufe : Natur ! Natur ! nichts so
Natur als Shakespeares Menschen!»),
proprio nel suo dispiegarsi più
sfrenato e sentimentale per i
preromantici, e per i
neoclassici validità della
poesia nella sua espressione di
una umanità ideale viva
nell'ordine e nella perfezione.
E non importa ai fini della
poetica e della poesia se poi
dai presupposti preromantici si
svolse la grande civiltà
romantica e se i principi
neoclassici si isterilirono (ma
dopo altissime sintesi) in gessi
di accademia, perché anche essi
dettero offerte concrete, furono
funzione di concreta poesia: e
non solo rispetto al piccolo
classicismo di origine rococò e
illuministica, ma anche nei
riguardi dei nuovi miti di
Chénier o Foscolo o Goethe.
Nella nostra poesia
settecentesca non eran mancati
tentativi diversi di classicismo
dopo il trionfo e l'esaurimento
del secentismo, e così per
prima, sorretta da una
razionalistica esigenza di
immagine chiara e distinta e da
una notevole ripresa di pensiero
rinascimentale nel Gravina
(l'esaltatore di Omero, di
Ariosto, ma anche del «casto e
frugale» linguaggio del Trissino;
in pari modo, insieme a
Raffaello, i neoclassici
evocheranno per il loro sogno di
purezza Poussin), la striminzita
poetica dell'Arcadia aveva
insistito nella ricerca di forme
precise e compendiose in cui
stringere lo sfumato e il non so
che rococò; in cui ridurre
l'enfasi immaginistica di
eredità barocca. E benché mossa
da una giustificazione ben
diversa da quella del vero
movimento neoclassico nella sua
novità unitaria, la poetica
arcadica aveva iniziato
quell'uso di forme
classicistiche per una lingua
lucida e chiara, che attraverso
tutto il secolo accomuna
esperienze di nuovo classicismo
su piani e toni diversi.
Più tardi la poesia del periodo
illuministico dagli Amori del
Savioli alle prime Odi e al
Giorno del Parini realizza su
suoi indirizzi essenziali
(edonismo e complesso impegno
estetico-moralistico) un suo
particolare classicismo, a cui
collaborano più validamente le
prime suggestioni delle Tavole
di Ercolano (ma queste potevano
ancora arricchire
decorativamente un rococò
prezioso e stringato a cui non
ripugnava contemporaneamente la
stilizzazione delle lacche
cinesi) e quel gusto di pietra
incisa alla cui misura preziosa
ed edonistica si riduceva spesso
anche l'influsso della pittura
di Ercolano nell'accettazione
della sensibilità rococò.
Elegante edonismo quello del
Savioli, ad esempio, ben lontano
dalla giustificazione ideale del
neoclassicismo trionfante, ma
importantissimo come scuola di
poetica nella sua ricerca di
aggettivazione squisita, di
disegno incisivo e rilevato che
di fronte alla genericità
arcadica prepara modi di
discorso poetico vivo nella sua
eleganza fin nelle Odi del
Foscolo. Ma più precisamente nel
Parini il comune motivo
sensistico utilizza a scopi di
rappresentazione efficace un
classicismo sempre più cosciente
di un'unica tradizione poetica
italiana (in contrasto con
l'ingresso dell'aborrito
preromanticismo nordico), e
sicuro del proprio valore di
lingua perfetta, capace di
sottrarre alla rovina del tempo
le immagini sensoriali di una
realtà solo così rappresentabile
poeticamente in un'opera
aristocratica e civile.
Il Parini venne poi
allontanandosi sempre più da una
semplice sommarietà
miniaturistica coll'impegnarsi
in un disegno più largo e
completo, in un senso decorativo
altissimo e di composizione
perfetta, anche se sorridente e
piacevole (è citabile la scena
finale dell'Educazione a cui si
può avvicinare un «Achille e
Chirone» ercolaniani in
un'interpretazione ancora però
lontana dal gusto severo di un
neoclassicismo più tardo: «Tal
cantava il Centauro. Baci il
giovin gli offriva Con ghirlande
di lauro. E Tetide che udiva A
la fera divina Plaudia da la
marina») .
E sempre più egli tese il suo
classicismo
sensistico-illuministico
(perfezione classica per captare
e rendere perspicua la realtà
sensoriale e renderla efficace)
verso un più gratuito amore di
perfezione, verso un tono di
saggezza che partendo dal suo
ideale civile di equilibrio («né
s'abbassa per duolo né s'alza
per orgoglio») viene a
coincidere con un primato della
poesia e della bellezza nella
sua forma di classico decoro e
di compattezza interiore e
raggiunge la purezza e il
candore neoclassico superando il
più brutale utilitarismo
illuministico, a cui il
classicismo aveva pur fornito un
aiuto indispensabile di
precisione e di chiarezza. Il
nuovo ideale di misura e di
calma, di semplicità nobile e di
tranquilla grandezza vive ormai
concretamente anche se raggiunto
attraverso un maggiore impegno
civile, nella figura della Musa
o nei lineamenti aggraziati e
perfetti di Silvia «umana e
pudica».
Nei contemporanei e negli
scolari del Parini e del Savioli
(quelli che il Carducci chiamò
la scuola classica del secolo
XVIII) il neoclassicismo si
afferma e si precisa a mano a
mano che l'influenza di
Winckelmann e dei suoi apostoli
si fa sentire, aiutata dalle
sollecitazioni visive e
figurative, sempre più numerose,
e della diffusione del nuovo
gusto in una moda compatta (da
«Luigi XVI» a stile impero) che
permea ogni aspetto della vita
dell'ultimo Settecento
complicandosi con l'amore
rivoluzionario per la virtù
romana e per il plutarchismo,
che costituiscono sin
nell'Alfieri una delle vie di
ingresso del suo speciale
classicismo.
Anche entro forme di esuberante
eclettismo (per mancanza di
forza personale, e viceversa
anche per avida curiosità che
conforta la ricchezza
eccezionale di quegli anni in
cui combattono ed entrano in
sintesi residui arcadici,
illuministici, con affermazioni
neoclassiche e stravolte o
sincere simpatie preromantiche),
cresce e s'individua più
chiaramente, respingendo i modi
convulsi di un estremismo
preromantico, l'amore per una
costruzione lineare, a
composizione nitida e spaziosa
di isolate e armoniche figure,
in cui si concreta un motivo
poetico su sfondi sobrii e poco
coloriti: il disegno prevale sul
colore, la figura sulla
descrizione, l'aggettivazione
elegante di stampo classico si
impone spesso anche senza
specifica funzione, per gusto di
rilievo preciso e nitido.
E queste forme semplici e pure
ben diverse da quelle sommarie
di una miniatura rococò, vengono
cercate per tradurre condizioni
intime di ricchezza spirituale
in gesti essenziali e pacati,
simboli appunto di forza stoica,
di meditativa saggezza superiore
ad ogni tempesta sentimentale.
Assai spesso si tratta di pose
meno interessanti artisticamente
della vivacità briosa di certo
manierismo rococò, di certe
soluzioni di canto arcadico, e
del rozzo lirismo preromantico,
come assai spesso la «nobile
semplicità e la calma grandezza»
di Winckelmann si traduce in
accademica vuotezza o in
scenografia. C'è Canova, c'è
David, ma c'è Thorwaldsen, e
così ci sono Cerretti, Paradisi
o Lamberti accanto a Foscolo o a
Monti.
Scenografico e coreografico
(come lo disse Attilio
Momigliano) il Monti proveniva
al neoclassicismo da un
manierismo eclettico e al suo
amore di un sublime cercato in
un'Arcadia grandiosa e
baroccheggiante o in provvisori
incontri Dante-Klopstock-Varano,
i winckelmanniani romani, ancora
in tempi di scavi e di
ricostruzioni, offrivano
validissimi stimoli ed esempi
per una posizione più
coerentemente grandiosa.
Passata l'epoca della pittura
pompeiana, la mitologia assumeva
un 'aria più severa, più antica
(il «sapit antiquum» viene
dispensato in maniera più
guardinga) e mentre il Monti
operava le sue prime sintesi
neoclassiche, David con il
giuramento degli Orazi del 1784,
apriva l'epoca del
neoclassicismo austero ed
eroico.
Dalle forme sorridenti,
edonistiche e graziosamente
stilizzate della mitologia
savioliana si passava a velleità
eroiche nell'esaltazione del
gesto statuario («Vide il pianto
del tuo ciglio E il suo fulmine
impugnò»), rinforzato in maniera
equivoca, ma efficace, sia dal
suo intimo appello barocco
(«Rapisti al ciel le folgori,
Che debellate innante, Con
tronche ali ti caddero E ti
lambir le piante!»), sia dal suo
eclettico amore per decorazioni
ferme, storiche, all'Appiani, e
per una specie di prospettiva
aerea e di colori movimentati
che lo riavvicinano al
manierismo romano e ad
un'Arcadia guidiana e pindarica.
Ma sia pure con mezzi spesso
eterogenei e con vocazione
retorica che lo distingue dal
mondo più intimo e dal gusto più
profondo di un Foscolo e di uno
Chénier (D'Annunzio e il
simbolismo!), proprio il Monti,
con la sua poesia
progressivamanete sempre più
neoclassica, conduce il misurato
classicismo settecentesco
italiano alle forme grandiose di
apoteosi e affresco che segnano
il vertice di diffusione del
movimento internazionale. E
d'altra parte mentre le teorie
del Winckelmann sulla allegoria
mitologica sembrano formulate
apposta per l'opera montiana e
l'offerta di quell'alto sogno
archeologico e mitologico veniva
accolta proprio in sede poetica
come offerta di lingua di
bellezza ideale, nella
traduzione dell'Iliade e nella
Feroniade, il sublime
neoclassico, la nobile
semplicità e la calma superiore
scendono dagli affreschi più
accesi d'altre opere montiane in
una perfetta funzione
neoclassica. Proprio nella
Feroniade del Monti il
neoclassicismo si è interamente
fuso in un placido ritmo, senza
fragore, in un gesto pacato ed
essenziale, e in quella poesia
poco intensa, leggermente stanca
e monotona, le suggestioni del
nuovo gusto hanno trovato
un'ispirazione capace di
renderle vive in una coerente
espressione: «In quel silenzio
universale anch'essa Adagiossi
la dea vinta dal sonno, Che dopo
il lagrimar sempre sugli occhi
Dolcissimo discende, e la sua
verga Le pupille celesti anco
sommette».
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Walter
Binni | |
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