IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

Critica letteraria

SETTECENTO

 

 

 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 CRITICA DELLA LETTERATURA: IL SETTECENTO

IMMAGINAZIONE E GUSTO DEL PARINI

Il Parini impiegò tutto il suo ingegno nel mettere in pratica il precetto «che la poesia deve dipingere»; e per dir vero, ad eccezione di Dante, pochi poeti italiani ebbero il vanto di rappresentare le cose nei loro versi, in modo che un pittore leggendoli possa formarsene una giusta idea, e ritrarle. La folla poi degli altri versificatori non ha fatto né fa altro che descrivere; ma il poeta milanese, con la forza e perseveranza della sua efficiente meditazione, giunse a porre in pratica quel che l'Alighieri creò col solo impulso del meraviglioso suo genio. Sarebbe difficile pertanto indicare dieci soli versi consecutivi nel poema del Giorno, dove un pittore non trovasse da ritrarre un completo quadro, con tutte le richieste varietà dell'espressivo atteggiamento.
Oltre la satira sui nobili, il nominato poeta pubblicò nel corso della sua vita venti odi: quattro fra queste vengono dai critici italiani considerate come inimitabili, sei o sette altre da tollerarsi, e le rimanenti poi assolutamente cattive. D'altronde ciascuna di esse ha qualche grado di affinità con quelle di Pindaro, e di Orazio, ma non vi si riconosce neppur l'ombra di rassomiglianza coi versi lirici del Petrarca, del Chiabrera e del Guidi; e non solo nello stile, ma nei modi del linguaggio medesimo sembrano del tutto diverse.
È stata invariabile massima del Parini, di evitare nelle sue poesie qualunque ornamento descrittivo, ma di gettare sotto gli occhi del lettore le immagini quasi diremo di slancio, con un solo colpo di pennello.

Anche nei componimenti lirici, questo poeta non dimenticò il suo scopo principale, cioè di correggere possibilmente i costumi del suo secolo. L'ode diretta ad una nobile fanciulla che aveva seguito la moda parigina in un abito così detto Robe à la guillottine, ci servirà di esempio. Lo stile di quest'ode è più dell'usato intelligibile anche per i non Italiani: la bellezza ed il candore dell'innocenza (stimabili prerogative in quella giovinetta) sono presentate con un certo colorito, il quale produce un contrapposto ammirabile, con la gravità dei costumi, e lo stravolgimento di pensare, che il moralista poeta prevede dovere essere l'effetto immediato della imitazione di un così fatto esecrabile modello. Ecco i suoi versi:
 
  O nato dalle dure
Selci chiunque togliere
Da scellerata scure
Osò quel nome, infamia
Del secolo spietato,
E dié funesti augurii
Al femminile ornato;
E con le truci Eumenidi
Le care Grazie avvinse,
E di crudeli immagini
Le tue bellezze tinse!
 

Quindi con una breve digressione sull'istoria dell'antica Roma, fa conoscere che la corruzione de' costumi, anche nei più gloriosi tempi di quella repubblica, induceva le romane matrone ad andare in folla le prime a mirare i crudeli combattimenti dei gladiatori. E continua:
 
  Poté all'alte patrizie,
Come alla plebe oscura,
Giocoso dar solletico
La soffrente natura.
Che più? Baccanti e cupide
D'abbominando aspetto,
Sol dall'uman pericolo
Acuto ebber diletto,
E dai gradi e dai circoli,
Co' moti e con le voci
Di già maschili, applausero
Ai duellanti atroci:
Creando a sé delizia
E delle membra sparte,
E degli estremi aneliti,
E del morir con arte.
 

Il poeta procura in questo componimento di far succedere le proprie idee con la stessa graduazione con cui l'abbandono della morale, effetto immediato dell'intemperante desiderio d'imitare le nuove prave costumanze, insensibilmente a poco a poco ridusse il sesso femminile alle peggiori pratiche della incontinenza.

Il biografo del Parini... viene con ragione accusato di avere, a detrimento della reputazione del suo autore, dato alla stampa tutti i suoi manoscritti indistintamente, formandone fino sei volumi; nel mentre che quelli creduti dal poeta degni di veder la luce, non potevano eccedere la mole di un libercoletto di duecento pagine. Certo è che, fra tutti i componimenti lasciati inediti, lui vivente, i soli due ultimi canti del poema del Giorno meritavano d'esser tolti da quella oscurità a cui il severissimo autore li aveva irremissibilmente condannati. Non intendiamo per ciò di dare l'ultima esclusione alle rimanenti opere ora pubblicate, giacché queste puranco contengono tanto pregio in sé medesimo, da porgere sufficiente istruzione a chi si diletta nello studio dell'uomo, ed ama d'investigare le recondite cause che producono lo svolgimento delle nostre facoltà mentali.

Le odi del Parini riconosciute per le migliori sono quelle composte nella sua età avanzata; ma siccome non erano destinate alla stampa, appaiono per conseguenza nel loro primo getto. Tuttavia sono osservabili per il buon senso, e per la semplicità che spirano, quantunque vi si ravvisi scarsità d'immagini poetiche, e quelle poche, presentate in uno stile privo di energia e di nobiltà. Da questo fatto si può con giusta ragione arguire proporzionatamente, quanto tempo e quali fatiche egli dovesse impiegare, onde mantenere quella costante elevatezza di stile che tocca quasi la sublimità, nei ponderati suoi componimenti.
La frequenza con gli uomini gli procacciò il conoscimento dei più secreti recessi del cuore umano, e lo pose in grado altresì di rintracciare l'origine delle naturali nostre debolezze, e svelare con tanta aggiustatezza e perfetto sapere, nel principal suo poema e nelle prescelte sue odi. Parimenti la continua ed esatta contemplazione della natura in ogni suo aspetto, lo fornì di un dovizioso tesoro di bellezze poetiche onde adornare i propri lavori, rendendolo abile non solo a riconoscere l'essenza del vero bello negli scritti degli antichi classici, ma a dimostrarlo agli altri col mezzo della sua chiara facondia.
Non mai lo studio e la coltura dello spirito ebbero un risultato più felice di quello che ci porge l'esempio del Parini: in lui si scorgono tutte le qualità che sono gli evidenti effetti del genio; pure egli nacque con una tendenza piuttosto atta a giovarsi delle cognizioni altrui, che a creare da per sé, mediante un'intrinseca fecondità. Ma anche la terra non produrrebbe che sole piante selvatiche, se la cura e la fatica dell'agricoltore non la ponesse in istato di poter con profitto ricevere le sentenze, e partecipare il nutrimento ai più necessari e delicati prodotti
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Ugo Foscolo

© 2009 - Luigi De Bellis