IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

Critica letteraria

SETTECENTO

 

 

 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 CRITICA DELLA LETTERATURA: IL SETTECENTO

L'ILLUMINISMO DEL PARINI

Non vi è contrasto fra il Parini umanista e il Parini poeta e maestro di vita morale: così intimamente congiunti erano nel suo spirito oraziano lo studio amoroso della bella parola e l'abito e il gusto del retto sentire. «Sai tu, vergine Dea, chi la parola Modulata da te gusta od imita: Onde ingenuo piacer sgorga, e consola L'umana vita? Colui cui diede il placido senso E puri affetti e semplice costume...». E qui, sappiamo, ciel nella consonanza di buon gusto e di senso morale il centro vivo della personalità del Parini: il quale ha coscienza della moralità che è intrinseca nel gusto delle parole dei classici e nella ricerca assidua e paziente di altre, simili a quelle e al pari di quelle «vere» e definitive, e sembra pensare che nulla di più degno, di più suo possa dire chi abbia conseguito, mercé quello studio, il dono della poesia, che le convinzioni morali, su cui poggia la sua vita di uomo e d'artista. La poesia gli si configura perciò come giudizio: così un giudizio della società fra cui vive vuole essere il Giorno, e se in più d'un punto il lavoro umanistico in cui è impegnato, sembra tutto assorbito e l'osservazione di quella società divenire scopo a se stessa, e farsi quasi compiaciuta, sentiamo che soltanto quel giudizio e il credo morale a cui si ispira, gli hanno concesso, col distacco dalla sua materia, quella varia e vasta rappresentazione, che si sarebbe altrimenti dispersa in notazioni frammentarie (più fini certe una non diverse da quelle dei Sermoni dell' «apatista» Gozzi), e nella quale invece trovano il loro luogo anche le pause di pura descrizione mentre nelle Odi più liberamente, perché il poeta-giudice non si costringe in un atteggiamento satirico, che qua e là nel Giorno ha del programmatico, si dispiega la sua ispirazione morale fissando in sentenze epigrafiche e svolgendo in più ampie figurazioni il giudizio, sicuro e sereno, del poeta sugli uomini e su se medesimo. Il gusto della parola esatta e precisa diventa una cosa sola col senso della giustizia, che dà a ciascuno il suo approvando o riprovando, e distinguendo sempre e nel biasimo e nella lode («Umano sei, non giusto»): l'interesse artistico per il particolare psicologico o pittoresco non si scornpagna mai dall'interesse morale, per cui quell'aspetto della realtà è assunto nell'arte del poeta e che lo impronta col suggello del giudizio: valga per tutti, l'esempio di quelle rappresentazioni, che il Parini ci ha lasciato, di qualche monstrum, da cui più è offesa la sua coscienza, e che sono fra le sue più potenti, i ritratti dell'ipocrita («Di tua man tu il collo alquanto Sul manc'omero mi premi...») e del cantore evirato («Aborro in su la scena Un canoro elefante...») nelle sue prime odi, e nell'ode A Silvia, alcuni aspetti della corruzione romana, descritti con orrore crescente («Baccanti e cupide D'abbominando aspetto, Sol dell'uman pericolo Acuto ebber diletto... Il gladiator, terribile Nel guardo e nel sembiante, Spesso fra i chiusi talami Fu ricercato amante...»). Qui è la forza, qui il limite dell'arte pariniana, a cui noli sarà da chiedere, per quella cura costante della definizione morale (palese, fra l'altro, nell'aggettivazione) l'abbandono di una poesia aperta al vario moto degli affetti: ma nei limiti che le son propri, essa è ricca di toni e di sfumature, come si conviene alla vivacità e freschezza della moralità pariniana, moralità non magistrale od arcigna, che non si impone come astratta precettistica, ma si rivela in configurazioni concrete e talora audacemente realistiche, e riconosce, e se ne compiace, il diletto della bellezza e dei più teneri affetti. Vengono così a collocarsi fra le altre odi, senza contrastare con lo spirito che tutte le informa, le tre odi ispirate dalla bellezza femminile, nelle quali il trepido omaggio - non si parli di poesia d'amore - è temperato dal sorriso di quello spirito saggio che conosciamo, e può, in quella più commossa, esprimersi la coscienza che il poeta ha della propria vocazione - un'altra, e la più insigne, delle sue definizioni morali: «A me disse il mio Genio Allor ch'io nacqui...»; si giustificano parimenti le immagini mitologiche, che compaiono in queste o in qualche altra ode a ingentilirle con una nota di antica bellezza, e che della bellezza, com'è sentita dal Parini, sembrano essere simbolo, splendore e sorriso della verità, sia che chiudano come una cornice le massime dell'Educazione; «le più alte insieme e necessarie massime della morale dell'uomo», direbbe il Bettinelli («A lui che gli sedea Sopra l'irsuta schiena Chiron si rivolgea Con la fronte serena... Tal cantava il Centauro. Baci il giovin gli offriva Con ghirlande di lauro E Tetide ch'udiva A la fera divina Plaudia da la marina»), o si intravedano accanto alle bellezze terrene di Cecilia Tron («Parve a mirar nel volto E ne le membra Pallade»), sia che, immagine delicatissima fra tutte, la Musa venga a illuminare con la sua presenza così da farne sentire meglio il valore umano e poetico, una scena d'intimità familiare: «Musa, mentr'ella il vago crine annoda, A lei t'appressa; e con vezzoso dito A lei premi l'orecchio; e dille... Però ch'io stessa, il gomito posando Di tua seggiola al dorso, a lui col suono De la soave andrò tibia spirando Facile tono». Siamo lontani dalla mitologia del Foscolo, non più leggiadra decorazione, rna sostanza resa dalla poesia! Ma come bene anche questa Musa settecentesca, non troppo dissimile dalla giovine sposa, s'inserisce nel discorso poetico del Parini, di cui queste immagini letterarie sono un bell'ornamento; non diversamente le favole mitologiche del Giomo sono introdotte a variare la descrizione della società nobiliare, simili agli affreschi delle volte, o ai pannelli dipinti delle porte, che decorano le sale dov'essa trascorre i suoi magnifici ozi...

Quale aspetto si prenda a considerare del Parini, sempre si ritrova, qualità fondamentale, l'equilibrio o la misura, ben posta in rilievo dal De Sanctis in pagine a cui i critici posteriori non possono non rifarsi (il De Sanctis parla di «una tranquillità che non è idillio ma armonia e misura nella forza»): così è nella poesia, in cui per quella qualità si compongono senza dissidio motivi e toni in apparenza opposti ed essa diventa elemento essenziale del ritratto che il poeta delinea di se medesimo (né importa che per qualche particolare la realtà biografica ne diverga), così è nella morale che della sua poesia è ispiratrice pruina. Come «Pindaro» e «Anacreonte» nel gusto del letterato, si conciliano nella sua mente il moralismo e l'edonismo, ed egli può accogliere l'istanza del «piacere » che non sente in contrasto con le sue idealità morali e col severo motivo del dovere, scrivendo fra l'altro quel pensiero così caratteristico sulle «sensazioni piacevoli» che più d'una volta abbiamo ricordato nel leggere i suoi versi. «Dio e la Natura ci comandano non già solamente coli una legge scritta e pubblicata come proveniente dai motivi della religione e dell'onore universale ben conosciuto: ma molto più con un'infinita serie di sensazioni piacevoli, delle quali rispettivamente a noi è composto e formato il nostro vivere. Queste, senza anticipamento della riflessione ci rendono caro il momento attuale della nostra esistenza... . Ma egli scriveva pure che «tutta la sapienza consiste nel diffidare de' nostri sensi e delle nostre passioni»; e i due pensieri, che non vorremmo gravare di profondi significati filosofici, valgono, lumeggiandosi l'un l'altro, a compiere l'ideale di saggezza che sorride al poeta e che è al fondo della sua poesia una saggezza che sa scegliere e dominare le «sensazioni piacevoli» e trarne quella felicità che «l'uomo perpetuamente cerca» e che gli è dato conseguire non in un mondo ultraterreno, non in condizioni singolari e fuori del comune, ma nella vita di ogni giorno con l'esercizio, sempre moderato della ragione, delle sue facoltà e dei suoi affetti.

Questa è la morale del Parini: non eccelsa se si vuole, né peregrina, conforme a quella enunciata con accenti nuovi e più vigorosi nei libri dei moderni «filosofi». Non era del resto in quell'incontro dell'antica saggezza con la moderna «filosofia» e dell'una e dell'altra coi suoi sentimenti più profondi il segno della sua perenne validità, della sua ragionevolezza? Direi che essa si compendia in una parola «sanità» - «il core sano e la mente» - vale a dire integrità e pienezza di vita fisica e spirituale, conforme ai dettami della natura: ma il saggio paramano non resta pago del bene da lui raggiunto, delle sensazioni piacevoli, che gli procura e di cui gli è dato godere «in stuol d'amici numerato e casto», bensì sente il dovere di combattere contro quanto si oppone nel mondo in cui vive, al conseguimento di quel bene, gli abusi, le storture, le perversioni, di cui soffrono i suoi simili, e la «filantropia» che lo ispira trasfigura il suo edonismo, dandogli un carattere di vera moralità. Siamo lontani, più forse che il Parini non pensasse, da Orazio e dalla sua, per dirla col Vico, «morale di solitaria», e riconosciamo invece in quell'animoso combattere lo spirito e gli ideali dell'illuminismo, a cui s'informa, si può dire, tutta l'opera pariniana
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Mario Fubini

© 2009 - Luigi De Bellis