Impegno morale
e ricerca formale nel Parini
La
difficile composizione del Giorno, rimasto incompiuto, e la
complessa vicenda delle correzioni a cui il Parini sottopose
costantemente la sua opera, testimoniano l'affievolirsi
dell'iniziale slancio polemico e satirico e,
contemporaneamente, il prevalere di una sempre più
assorbente attenzione alla perfezione formale, alla
limpidezza e all'eleganza della descrizione, all'armonia e
all'equilibrio dell'espressione. Il Giorno non presenta,
quindi, una forte poesia civile né un'acuta delineazione di
carattere, ma, piuttosto, una perfetta raffigurazione del
mondo settecentesco, nei termini di una preziosa perizia
letteraria. Non diverso è il caso delle Odi, anch'esse
equilibrate fra un moralismo moderato e sapiente e
un'attenzione vigile per la parola elegante e ornata: ma il
Parini raggiunge i risultati poetici più intensi nelle odi
più personali e intime, dove, nella luce di un'alta e
commossa malinconia, compiutamente si attua l'armonia di
vita morale e di ricerca formale.
Il Giorno vide la luce parzialmente negli anni 1763
(Mattino) e 1765 (Mezzogiorno). Dalla dedica, premessa al
Mattino, appariva che il poeta aveva in animo, in un primo
tempo, di completare presto l'opera sua con una terza parte,
la Sera. Ma poi questa terza parte si venne sdoppiando in
altre due (Vespro e Notte), alle quali il Parini non cessò
mai di lavorare, così come non smise di correggere e mutare
anche le prime due parti già pubblicate, senza tuttavia
decidersi mai a stampare per intero il suo poemetto,
nonostante le numerose sollecitazioni ricevute e le sue
stesse promesse. II Vespro e la Notte videro perciò la luce
soltanto dopo la morte del poeta, per iniziativa dell'amico
Francesco Reina. Questa laboriosa gestazione dell'opera,
protrattasi per anni e anni e rimasta senza una risoluzione
definitiva, ci rivela almeno due cose: il progressivo
esaurirsi nel Parini dell'iniziale stimolo polemico, della
giovanile accensione moralistica (cosí fervidamente esplosa
nel Dialogo sopra la nobiltà), e la sua costante
insoddisfazione stilistica, il suo desiderio di una sempre
più assoluta perfezione poetica. Non solo, infatti, il
confronto tra le prime due parti pubblicate e gli autografi
delle ultime due, ma anche un esame delle correzioni e
varianti che risultano inserite dal Parini nei manoscritti
del Mattino e del Mezzogiorno, ci confermano lo spostamento
dell'interesse pariniano dalla polemica antinobiliare, che
pur aveva costituito il primo impulso dell'opera, alla
descrizione artistica, nitida e controllata, in perfetto
equilibrio ed armonia di toni e di sviluppi, di quel mondo
settecentesco. Non è casuale, del resto, che tutte le
correzioni del Giorno denuncino l'intento, da parte del
poeta, di smorzare o almeno di attenuare in parte quanto vi
era di più decisamente acceso nella prima stesura, di
ricondurre il discorso poetico ad una linea rappresentativa
più fluida e coerente. Questo non significa che il Parini
non avvertisse più, col passare del tempo, l'antica
antinomia tra la vuotezza morale della società aristocratica
(ormai sorpresa dal suo occhio vigile di moralista e non
facilmente obliabile) e l'eleganza delle sue apparenze, ma
piuttosto che l'atteggiamento del poeta si era fatto più
distaccato e lucido rispetto alla materia che trattava, che
l'artista aveva ormai preso il sopravvento sul polemista e
che la sua aspirazione non era tanto rivolta alla efficacia
pedagogica dell'opera quanto alla evidenza, alla precisione
e alla perfetta riuscita della sua forma artistica. Non
gioverà quindi cercare nel Giorno (in questa elegantissima
favola, in questa sapiente sceneggiatura della commedia che
il giovane signore del tempo recitava mirabilmente ogni
giorno con raro sincronismo di atteggiamenti) né un
documento di poesia civile né la creazione fortemente
incisiva, se non addirittura drammatica, di un carattere.
Per questa via il Giorno minaccerebbe di frantumarsi tra le
nostre mani in una miriade di scaglie luminose, tanto
attraenti quanto disutili o stucchevoli, e potrebbe anche
ingenerare l'impressione, che alcuni hanno voluto
criticamente suffragare, di un meccanismo arido e
intellettualistico, di un puro giuoco e di una
marionettistica vicenda. È necessario in sostanza non
chiedere al Giorno ciò che esso non può darci, perché
incompatibile con la natura per nulla rivoluzionaria ma
appena riformistica del suo autore, limitandoci invece a
interpretarlo per quello che effettivamente esso è o almeno
per quello che esso è sempre più divenuto con gli anni nelle
mani consapevoli del suo autore: cioè un'opera
essenzialmente letteraria, tutta compenetrata di
quell'ideale umanistico dell'arte che costituì il maggiore
ideale del Parini. In questo modo molte riserve, già
avanzate sul suo conto, verranno a cadere e il poemetto
pariniano ci apparirà come uno specchio, quasi perfetto, del
mondo settecentesco, ritratto con estrema perizia e con
gusto sottile, con, inimitabile virtù di mimesi, da una
posizione che si è venuta via via disacerbando, permettendo
al poeta, proprio per il distacco raggiunto e l'attenzione
vigile alla rappresentazione artistica, la diversa e
tuttavia duttile e sciolta alternativa della caricatura
morale, se non anche della sanzione mordente, con gli indugi
compiaciuti, le minuzie descrittive, i dorati arabeschi.
Come per il Giorno (la cui revisione interna s'intreccia
appunto con la stesura delle grandiliriche pariniane), anche
per le Odi si può dire che l'arte del Parini si sviluppi
secondo una linea ascendente di sempre maggiore maturità e
perfezione, con una inclinazione evidente verso un
temperamento dei toni, verso un linguaggio sempre più sereno
e pacato, nello sforzo di realizzare un sicuro equilibrio
tra occasione sentimentale e forma espressiva. Anche in seno
alle Odi, dunque, il moralista e l'umanista, l'uomo e il
letterato, hanno cercato di realizzare un comune accordo, di
bilanciare, senza sopraffarsi a vicenda, le reciproche
istanze: l'intento didattico, cioè, e l'amore della parola.
L'incontro di queste due esigenze, non contrastanti tra loro
ma complementari (riflessi ugualmente schietti e naturali
della personalità pariniana), non poteva realizzarsi
felicemente, sulla pagina, se non attraverso il rifiuto
delle molli cadenze arcadiche e l'assorbimento delle
definizioni morali in un discorso poetico vigorosamente
espressivo, i cui ritmi non obbedissero più soltanto
esternamente ad una troppo facile e spiritualmente esangue
cantabilità, ma si sforzassero piuttosto di raggiungere una
musica più alta e sostenuta, oppure si snodassero in modi
teneramente affabili, sobri e commossi. Anche nelle prime
odi tuttavia, come nelle prime parti del Giorno, queste due
esigenze non si rivelano sempre armoniosamente fuse. Accade
spesso, al contrario, che le sentenze vi si allineino un po'
troppo seccamente, con un accento forzatamente perentorio,
senza riuscire a disciogliere certa loro durezza e senza
filtrare interamente i loro residui polemici. E questo è
visibile, più o meno, non solo nelle odi più giovanili ma in
quasi tutte quelle dichiaratamente sociali e civili (dalla
Salubrità dell'aria all'Impostura, dalla Educazione
all'Innesto del vaiuolo, dal Bisogno alla Caduta ecc.),
anche se è vero che il poeta ha cercato di non venire mai
meno, neppure in questi casi, al suo ideale di misura e di
saggezza, costringendosi a contenere l'espressione in forme
pacate ed esatte, mitigando la sua eloquenza in toni
affettuosi e temperati. E anche quando la polemica
sembrerebbe prendergli la mano e minacciare di esagitarne il
linguaggio, il freno dell'arte contribuisce a conservare
alle parole una rara precisione, un lucido rilievo, al di là
dei risentimenti e dello sdegno morale. Ma è certo,
comunque, che il Parini ha dato la migliore prova delle sue
singolari virtú liriche, soprattutto nelle odi intime o
personali: in quelle ispirate dalla bellezza femminile (Il
pericolo, Il dono, Il messaggio) e in quella dedicata Alla
Musa, che è stata giustamente considerata come il suo
testamento morale e poetico. Particolarmente nel Messaggio,
quell'equilibrio tra ispirazione, tono e linguaggio,
costantemente perseguito dal Parini come la vera fedele
misura di se stesso, è più che altrove felicemente
raggiunto. Qui infatti, dietro l'eleganza e il nitore delle
immagini, brilla un fuoco sapientemente frenato, mentre il
gioco galante, reso con una perizia estrema d'arcade
consumato, si anima di una vibrazione interiore che nasce
dall'amore intenso della bellezza, illeggiadrito da un'ombra
di virile malinconia. |